Enterprise Earth

Enterprise Earth – Cosa farete quando i leoni inizieranno a ruggire?

Gli Enterprise Earth nascono nel 2014. Questo significa che in quanto gruppo hanno alle spalle meno di dieci anni di vita. Non conosco l’età media dei membri di questa band, ma a guardarli in foto sembrano molto giovani. Avranno intorno ai venticinque anni. Non c’è (ancora) una pagina dedicata a questa band di Encyclopaedia Metallum. Solitamente le esclusioni di quel solerte sito sono volute e non frutto di una distrazione. Pensate che c’è persino una scheda dedicata alla band power metal in cui suonavo quindici anni fa, ma non ci sono i Kiss perché ritenuti NON METAL.

Esiste una pagina su Wikipedia dedicata agli Enterprise Earth e lì sono definiti death-core. Bene, io vorrei con tutto il cuore liberare il nostro genere preferito dalle fottute etichette, almeno su questo blog, perché isolano le band in piccoli recinti dove muoiono presto o tardi di inedia creativa. Questi ragazzi, per dire, grazie al loro fottutissimamente grande nuovo album, The Chosen, hanno pisciato fuori da quel recintino e dopo ne sono usciti scalciando.

Dove si trovano ora? In un territorio libero e selvaggio chiamato heavy metal.

Per chi scrive, l’heavy metal non è il genere commercialmente e socialmente codificato nel range temporale 1979-1991. Non è morto. Si tratta di una cosa che continua a crescere, evolversi, involversi, magmare ai margini delle nostre stanche e pigre orecchie di ieri e di oggi. Ovviamente c’è una versione di metal per ogni generazione. Se io nasco nel 1992 e inizio a sentire musica nel 2002, avrò i miei miti indiscutibili, i miei maestri assoluti. Dirò Pantera e avrò detto tutto. Se invece sarò nato nel 1971, dirò Iron Maiden e avrò detto tutto. Se sarò nato nel 2001, dirò Slipknot e avrò detto tutto. Se sarò nato nel 1961 dirò Black Sabbath e avrò detto tutto.

Gli Enterprise Earth sono probabilmente cresciuti ai tempi tra il nu metal e il metalcore, quindi hanno inglobato soprattutto quel tipo di influenze lì, ma non solo. A sentire il loro ultimo disco ci potete un corollario genetico che è dominato dai gruppi che questi ragazzi sentivano ai tempi del liceo. Quindi non ci saranno i Whitesnake o i Raven, ma Killswitch Engage, Lamb Of God, Slipknot, Linkin’ Park, Meshuggah e Nevermore, il che secondo me è sano. Non mi piace la tendenza che tanti ragazzi di oggi hanno nel tuffarsi nel mondo dei loro padri e non godersi il proprio tempo. Nessuno lo può capire meglio di loro, mentre la terra dei padri è un luogo mitico, confortevole e innocuo. Si tratta di un rifiuto del presente e quindi della vita.

Ma che dicevo?

Ah sì. Qualcuno potrà pure sentire nelle cose degli Enterprise Earth gli Slayer, gli In Flames e i Death, ma già predigeriti nel sound e l’influsso di quegli epigoni citati più sopra da me. Chi ama il metal degli anni 80 e crede che sia il solo vero metal, considererà l’elenco che parte da Killswitch e si chiude con Nevermore, come tutta una nebulosa inquietante e puzzosa che è solito racchiudere sbrigativamente dentro l’arbitraria voce di “merda modernista” o qualcosa del genere. Purtroppo per questa persona c’è ormai davvero poco di moderno in band che hanno sul groppone vent’anni di carriera di media e che rappresentano mondi ben distinti e sovente contrapposti tra loro.

Gli Enterprise Earth hanno pescato dal metalcore, dal death, il thrash-speed, il djent e molte altre orribili etichette per nevrotici insalubri epperò l’hanno fatto nel tentativo, nove volte su dieci riuscito, di realizzare le loro cazzo di CANZONI.

Infatti la buona impressione che mi ha suscitato The Chosen è proprio questa necessità di scrittura che usa certi ingredienti un vero piatto espressivo, mentre ci sono gruppi che si immedesimano così tanto negli ingredienti da finire per essere una riproduzione di quelli e non il cazzo di piatto realizzato usandoli. Non so se mi spiego.

Where Dreams Are Broken, Overpass, I Have To Escape hanno un suono pieno di estrogeni, pompato al massimo, figlio del proprio tempo digital-dictatorio. Gli Enterprise saranno sicuramente incapaci di riprodurlo dal vivo, ma non importa perché oltre a quello ci sono delle grandi melodie che potrebbero farvi emozionare anche se qualcuno le riproducesse con una chitarrina e un spiedo pieno di marshmellow davanti a un fuoco spiaggiato.

The Chosen è grandioso heavy metal, esattamente come gli integralisti potrebbero considerare “grandioso heavy metal” un album qualsiasi dei Charred Walls Of The Damned o dei Primal Fear. Esattamente come questi gruppi tradizionali pescano da tutto il metallo tra il 1981 e il 1991, gli Enterpise tirano la canna in un lago che lambisce le rive temporali tra il 1990 e il 2010. E ripeto, fanno bene, è sano. Non circoscrivono il mondo e le cose dove gli fa comodo, vanno a patti persino con Chester Bennington e Sade Adu.

Provate a sentirlo, c’è di tutto. Ci sono le tetre e cruente visioni mortifere del death metal più filosofico ed esistenzialista (Reanimate/Disintegrate). C’è la voglia di combattere e trovare se stessi (The Chosen). C’è l’esoterismo individualista (Unhallowed Path-Legends Never Die). C’è la violenza narcisista pura (Unleash Hell). C’è il vittimismo bimbominkia metallaro (You Couldn’t Save Me) e il complottismo da social (They Have No Honor). Ci sono lo shredding a culo stretto di Jeff Loomis e il vittimismo cazzodurista di Phil Anselmo, c’è il disagio liceale di Corey Taylor e il priapismo gargarotico di Randy Blythe.

La cosa che più mi è piaciuta di The Chosen è che l’intero disco ha una struttura pensata per non annichilirci, è vario, proprio come i cari vecchi dischi di una volta. Parte di slancio all’inizio, mollandoci due sberle, poi ci rifornisce di ossigeno nel mezzo, concedendo alla fantasia (chi ce l’ha) di aggrapparsi a un riff o un fraseggio e immaginare pure un po’ d’azione narrativa e soprattutto ci lascia davanti al nostro futuro con un finalone che è una pacca sulla spalla grossa così. Parlo della title-track, otto minuti e rotti che descrivono una battaglia, la loro, la vostra, di tutti noi.

Il pezzo vi prende per la gola e vi urla in faccia di reagire. Voi siete in ginocchio, vomitate bile e sangue, non sentite più le gambe e vi tenete con una mano la pancia per non cedere al suolo polveroso il vostro stesso intestino. Intanto da qualche parte, chi urla vi fa notare che le spade e le mazze hanno cessato di cozzare e smembrare carne da un po’. Tutta la platea ha smesso di invocare la vostra morte e si gode il brivido definitivo. Da lontano come dei tuoni che annunciano la fine dell’ultima estate, i leoni iniziano a ruggire. Qualcuno sta per farli uscire dalle gabbie. La voce che vi urla in faccia sta cercando di dirvi che se non vi rimetterete in piedi, se non vi inventerete qualcosa, qualsiasi cosa, quei bestioni vi mangeranno e cagheranno.

Personalmente mi sono innamorato del metal per questa cosa. Ti porta l’apocalisse e ti convince che puoi godertela e sopravviverle. Non so bene cosa succeda negli otto minuti di The Chosen, ma nel finale io so che qualcosa, il tizio che agonizzava e si disperava all’inizio del brano, cioè io, cioè voi, è riuscito a inventarsela, una via di fuga, di evaporazione. I leoni non l’hanno preso, il suo intestino è ancora al suo posto e la sua vita continua, da qualche parte del mio cuore.