Ho risentito ogni giorno per una settimana intera Heavy Demons dei Death SS. E non mi è successo nulla di sgradevole. Chi legge sa perché scrivo questo. Certo, dopo essermi sparato in testa Where Have You Gone? è scoppiata la guerra tra Russia e Ucraina, ma questo dice soltanto una cosa: che le canzoni sul mondo che va nel cesso non passano mai di moda.
Heavy Demons è un disco che ho amato molto negli anni della mia adolescenza. I Death SS allora mi suggestionarono alla stregua dei Megadeth, i Metallica e gli Iron Maiden. Non avevo alcun pregiudizio verso il metal italiano, e nonostante poi negli anni mi sia ingolfato di tristezza e di pessimismo nei confronti del nostro paese in ogni settore espressivo, dal cinema alla letteratura, dalla politica al design, ricordo bene che allora Heavy Demons mi conquistò subito.
Oggi so che allora i Death SS arrivarono tanto così dal traguardo internazionale. E so pure come mai non riuscirono in questa impresa. L’album era all’altezza delle proposte straniere, una bomba. Le canzoni, il livello tecnico dei musicisti coinvolti, l’artwork, la produzione affidata a un professionista vero come Sven Conquest (Rage, Coroner, anche se la prima scelta era stata Terry Date !) c’era tutto il necessario per realizzare un discone e così fu.
Quando uscì tutto filò alla grande. Vendette benissimo in Italia, i concerti andarono sold-out ovunque, ma Heavy Demons subì un grosso colpo quando i Death SS si affacciarono sul mercato internazionale. Le due S significavano Steve Sylvester (e Death stava per Paolo Catena) ma vallo a spiegare in Austria e in Germania nel 1992?
Ricordo che quando lessi di queste vicissitudini censorie, con alcuni negozi allemandi che subirono multe per aver esposto l’album, mi sembrò tutto fichissimo. Era roba da band grosse, capite? E poi vedevo il metal come un attacco al potere dei benpensanti. Associai le rogne subite dai Death SS a quelle dei Cannibal Corpse e Dismember, Non potevo capire che nel caso del gruppo italiano non si sarebbe trattato di pubblicità sensazionalistica gratuita, semplicemente perché poi non ci sarebbe stato un nome in grado di fruirne.
Ma il gruppo che altro avrebbe potuto fare? Con i Dismember il problema della censura era una copertina e loro la cambiarono. I Cannibal Corpse invece erano così osceni che avrebbero dovuto andare a Casablanca se avessero davvero desiderato entrare nei negozi di Berlino e Monaco. Rinunciarono a uscire da quelle parti, ma avendo già una distribuzione potente in giro per il mondo e un crescente successo in America, sti cazzi, no?
Chi si ricorda i Sylvester’s Death? Il nome fece cagare a tutti quanti allora, non favorì l’exploit della band all’estero e confuse il favorevole mercato italiano.
Capite la situazione? Tra il 1992 e il 1993, i Death SS attraversavano un momento davvero buono, senza precedenti per un gruppo italiano. Considerate che erano finiti persino nel calderone post-moderno di Dylan Dog. Stefano Marzorati, esperto di horror rock, li coinvolse addirittura in una collaborazione ufficiale con la serie di Bonelli, in quegli anni popolarissima, commissionando alla band la realizzazione di un brano dedicato all’Indagatore dell’incubo da far uscire in CD allegato a un albo della serie, cosa che non si fece mai, purtroppo.
A pensarci bene, oltre alla copertina di Black Mass, che si intravede in un albo di Dylan, l’impatto estetico del gruppo e lo stile dark heavy riemerge ogni volta che l’indagatore infilava un locale satanico dove c’era un concerto di demoni o di malati mentali (Golconda, Dopo mezzanotte).
Che poi ho sempre pensato questo. Non erano tanto i bravi musicisti coinvolti da Sylvester a dare al gruppo quel tocco mefitico e realistico, ma proprio la voce di lui. Molti pensano che sia sempre stato una pippa a cantare, ma io credo che nel metal, così come nella vita (e lo ha scritto anche Carlo Masoni) siano proprio i limiti, i difetti, a fare lo stile di un artista. E solo un vero stile permette di sopravvivere.
Quanti chitarristi fenomenali avete visto passare negli anni? Quali vi ricordate tra loro? Sono certo che i soli ad avervi colpito davvero sono stati quelli che non riuscivano a essere così perfetti. Steve Sylvester in Heavy Demons, nonostante fosse “doppiato” da Morby e una certa Rossella (Rox) è sgraziato, un po’ sghembo. Su Way To Power si arrischia in un lento sinfonico dove la voce è sul filo del fallimento e ogni volta questa cosa mi genera tensione, ma vi rivolgo una domanda? Se un vero vampiro prendesse in mano un microfono, pensate che avrebbe un’ugola impeccabile come quella di Geoff Tate?
Io un Nosferatu a San Remo sono più propenso a immaginarlo proprio come Steve, invece. Ribadendo che nessuno canta come lui. Ogni tanto può ricordare il primo Alice Cooper, ma solo quando le cose vanno male, altrimenti il suo modo di gnagnare e rueboare le parole è il suo, totalmente, riconoscibile tra un milione!
C’è da dire, a proposito di stile, che la band, specie quella dei tempi classici di Heavy Demons, non aveva una forma forte e decisa. Vi è mai capitato di sentire l’influenza dei Death SS su qualche band successiva? A me mai.
Eppure la miscela di brani come Baphomet, All Soul’s Day, Inquisitor resta un intrigante miscuglio tra i Megadeth di Rust In Peace e i Black Sabbath dei tempi di Heaven And All. C’è anche una spruzzata di tastiere dark-pop qui e là (Heavy Demons, Where Have You Gone) e due strumentali (Walpurgisnacth e Sorcerous Valley) che mi ricordano lo score di Don Tonino, ma questo non è necessariamente un difetto.
Credo di aver sempre notato che la scaletta di Heavy Demons sia un po’ troppo varia, senza una direzione netta, ma che Sven Conquest abbia mostrato proprio in questo le sue capacità, amalgamando il power e l’elettro-ambient, il thrash e il doom in un solo budello metallico.
E dopotutto, Heavy Demons dopo trent’anni è ancora un lavoro che mi coinvolge parecchio e proprio per questa sua varietà impastata. Ormai pezzi robusti e guasconi come Baphomet o Inquisitor non mi dicono più nulla, sono belli ma hanno perso parte della loro potenza suggestiva lungo i decenni, risultando anche un po’ datati, mentre episodi più cupi e introspettivi come Family Vault, Way To Power e All Soul’s Day, mi risultano cresciuti.
C’è qualcosa di più sinistro e genuino in quei tre brani che oggi è la vera crema di quel disco. A parte la ballata, la cui genialità è nell’idea e non nella scrittura: invece di menarci in una brutta storia d’amore malato, Steve esorta il pubblico a compiere un percorso esoterico verso una forma di potere che è la vera conoscenza. Non il potere potere, capite? Non quello di uno come Putin, che ce l’ha, ma solo per fare danni…
Però sono gli altri due brani, entrambi che girano intorno al tema della morte e dell’oltre-morte, a suggestionare questo stanco cuore di metallaro quarantenne. Family Vault e All Soul’s Day mi suggeriscono immagini dolciastre come la putredine, tetre e fatiscenti. Mi invadono la calotta cranica. Vedo un sentiero di foglie croccanti sotto i piedi di un solengo camminatore, un fratellino di Poe che è diretto a una tomba dimenticata. Scende le vecchie scale e rimane nel buio a fissare i violenti movimenti della fiamma sulla candela, sforzandosi di interpretarli come fossero le correnti morse emesse dalle bocche invisibili dei suoi avi, i quali tentano di raccontargli del freddo, noioso viaggio nel disfacimento, la tristezza nera della morte, pesta come il fondo delle orbite dei loro logori scheletri.
Questa vena poetica di Heavy Demons mi si palesa solo ora, è un cuore di crepuscolo autunnale, e lievita nel mio tempo, surclassando i mostri, i diavoli, i demoni heavy e le invettive sul mondo occidentale con cui Steve Sylvester, nel 1992 conquistò la mia notturna cameretta ormonale, festonata di orridi figuri e capelloni vari.