Il titolo originale è The Wraith, vale a dire qualcosa come uno spettro. Replicante in italiano suona meglio.
Inizio. Un ragazzo e una ragazza su una bella macchina sportiva. Lei lo occhieggia eccitata, lui preme l’acceleratore sulla strada deserta. Musica AOR nel mondo extradiegetico. Qui abbiamo già tutto ciò che un giovane possa desiderare: donne e motori. Ma arrivano i cattivi, quelli che non si accontentano e desiderano sempre di più. Il loro capo è ciò che gli anni 80 ci insegnato essere un duro. Stivali da cowboy, capello lungo ma non troppo. frangettone e sguardo teso, spietato. Il tipo è circondato da una corte dei miracoli di bruttoni vestiti da punk. Prendono in ostaggio i due piccioncini felici e propongono a lui una gara di velocità. Deve scegliere, o la donna o la macchina. Dei due lui, che è un cavaliere, dice la seconda, ma solo se perde la gara.
Sappiamo che la perderà. La musica di Ozzy ce lo anticipa: Secret Loser parla chiaro.
Il pezzo è tratto da The Ultimate Sin, uno dei dischi meno stimati e soprattutto meno presenti nella mente del vecchio Osbourne.
Intrappolato in questo corpo
Sento che fatico a controllarmi
Non posso mostrare le mie emozioni
E sto perdendo l’anima
Sarò ossessivo
Sto alimentando la malattia?
Non posso saperlo
Sono le cose nascoste che nessuno vede
Forse il pubblico bada soprattutto alla melodia e le chitarre, ma se si ascoltano le parole, l’effetto è piuttosto suggestivo. I due duri rischiano la vita per capire chi ce l’ha più grosso e sopra la voce di caramella andata a male di Ozzy dice: perdente, sono un perdente nascosto. La corsa continua e così anche la canzone:
Combatto una battaglia persa
Fingendo di vincere
Mi pento davanti a santi sconosciuti
Fingendo di peccare
Tutto quello che faccio è nascondere le ferite
Dove il sangue non si coagula
Non potrei mai riappropriarmi della mia anima
Se non rubandola
Lo so, queste ultime due strofe non sono proprio tradotte in modo fedele, ma sentite quanto sono fiche.
OZZY IL PERDENTE CANTERINO
Oh, badate bene l’anomalia. Ozzy canta un testo che sembra una verace confessione dell’uomo dentro il costume da pipistrello, ok? Ma le parole non le ha mica scritte lui! L’autore è uno che ha realizzato praticamente tutti i testi di Ozzy dal 1979 al 1988 ed è lo stesso tizio che poi ha portato in tribunale gli Osbourne per un intruglio di soldi e diritti non pagati. A noi arriva solo il risultato finale ma non posso fare a meno di pensare che Bob Daisley (ecco il nome del paroliere) avrebbe potuto anche fargli cantare: sono uno stronzo perché non pago gli amici, e probabilmente Oz, nel ruolo di Oz, avrebbe cantato quei versi.
Ma torniamo a Il replicante. Mettere un brano che parla di essere perdenti lì dentro non è un errore. Avrebbero potuto usare la scanzonata Never Surrender dei Lion (e lo faranno in un altro momento) ma qui c’è un pezzo che vuole smascherare il testosterone come filosofia di vita dei giovani americani, perché il film parte da un fatto di cronaca avvenuto davvero in Arizona, come dice Wikipedia.
Vale a dire una serie di morti a causa di corse illegali tra ragazzini. Il film qui sembra subito prendere le distanze dalla foga da maschi alfa dei personaggi e mentre vanno a tavoletta verso la morte, gli mette sul tettuccio un gelido cielo desertico, cactus indifferenti e Ozzy che li chiama patetici perdenti nascosti.
Ovviamente il film non è una ramanzina di un’ora e mezza con dimostrazioni pratiche per tutti gli scervellati che vogliono giocare a super-car perdendo la vita o facendola perdere a qualcun altro, c’è di mezzo un alieno vendicativo e Charlie Sheen che giunge in moto, con l’aria del bravo ragazzo senza paura.
Dietro di lui, sempre il deserto e l’AOR, che negli anni 80 probabilmente era in stereofonia nella tundra d’Arizona. Stan Bush è un compositore noto soprattutto per aver scritto pezzi suonati poi da altri (Quiet Riot, House Of Lords) e per le colonne sonore dei primi film di Van Damme. Questo è un classico brano in quattro quarti che riflette sui legami amorosi e dice una cosa che mi ha colpito e che ho creduto di interpretare così: “fa male quando apparteniamo a qualcuno ma poi arriva QUALCUNO”. Sottile come osservazione, non trovate?
Si scrivono canzoni sull’essere lasciati e canzoni sulla ricerca di una persona speciale, eppure c’è anche chi trova la persona speciale e non è ancora stato lasciato, e magari deve lasciare perché sentendo forte il cuore battere per questo nuovo essere, capisce che non può più rimanere con la compagna di sempre. Come dice Galimberti: “l’amore tuo dovrà essere più forte di qualsiasi altro amore che lei incontrerà e questo film, che ha la storia d’amore di ordinanza come qualsiasi produzione americana dal 1919 a oggi, sembra preannunciare qualcosa del genere. Sembra. O forse no, era solo una bella canzone baldanzosa ma non troppo, per introdurre il protagonista Charlie Sheen.
Il ganzo arriva in città, solo con la giacchetta jeans, gli occhiali a goccia e il dorso nudo. C’è una ragazza carina e lui si ferma per domandarle se è la direzione giusta per la via che sta cercando. Lei è Sherilyn Fenn, un’attrice che a un certo, punto, tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 sembrava destinata a sfondare tutto, ma che poi incontrò la figlia di David Lynch e fu peggio di un incidente d’auto.
Lei sembra gradire il ganzo e sta per accettare un giro in moto con lui, ma arriva qualcuno e la pischella si mette sull’attenti, d’umore improvvisamente diverso. Dice che non è il suo ragazzo ma sale in fretta nella sua macchina e ovviamente lui è il bullo delle corse, il tipo con gli stivali da cowboy che estorce macchine minacciando stupri di gruppo. La bella è nelle sue grinfie, quindi il singer Stan Bush, con quel verso di appartenere a qualcuno e soffrire perché magari si incontra qualcun altro, parla di lei. Lei che appartiene al bullo, anche se non vorrebbe (“tu sei mia, non dimenticarlo”) e che invece avrebbe tanta voglia di fuggire sul dorso di un cavallo motorizzato con il giovane cavaliere dagli occhiali a goccia che chiedeva la strada.
Non temete, non vi racconto tutto il film, vado avanti solo un altro pochino, giuro. Beh, Il replicante è una canzone continua. Ogni scena è accompagnata da un pezzo: che siano i Motley Crue di Smoking In The Boys Room o Ian Hunter dei Mott The Hoople in veste AOR da spiaggia con Wake Up Call. La cosa in sé offre uno scenario degli anni 80 come nei migliori sogni dei nostalgici vintage, convinti che davvero, la decade dei lustrini fosse proprio tutta rock, bionde e birre.
Insieme a uno scorcio tanto sbarazzino per un film chiaramente da teenager, viene fuori la scorrettezza proverbiale di quegli anni: stupri, accoltellamenti e morti giovani. Ecco di cosa tratta Il replicante. Il protagonista ha la schiena piena di cicatrici e dice di essere forestiero ma fino a un certo punto. Il cattivone lo vede e ricorda di averlo visto da qualche parte, anche se non sa dove. Insomma, capiamo che Il replicante è una versione per ragazzi e modernista di Il cavaliere pallido di Eastwood, uscito un anno prima.
IL VECCHIO PACKARD E I LION
Il cattivo si chiama Packard ed è interpretato da Nick Cassavetes (figlio del grande John) che qui sembra Cristian De Sica in Grandi magazzini. Come duro è più un guappo napoletano, sempre con quel coltello pronto a scattare e posarsi sotto la gola dei suoi uomini come delle vittime che deve terrorizzare. Per lui non c’è gran distinguo tra chi è dalla sua parte e chi è contro, tutti devono ubbidire.
Il personaggio è abbastanza squallido e odioso e a stento possiede charme a sufficienza per essere un temibile cattivo. I suoi seguaci però sono molto peggio. Tutta una feccia senza empatia, nichilista e messa insieme dalla paura del capo e del suo coltello a scatto. Sono loro a subire il bodycount alla rovescia che porterà il fantomatico Replicante (Wraith- Spirito) a punire il gran cattivo per ultimo, spogliandolo del suo gregge e di ogni corazza che riesca a nascondere il secret looser di cui parla Ozzy da subito.
Ci pensate che roba sia stata il bodycount? Negli anni 80 la scuola narrativa ha raggiunto livelli tali di cinismo da trasformare gli esseri umani in cadaveri che scandiscono i blocchi narrativi. Non succede praticamente nulla tra un omicidio e l’altro. E i personaggi che devono morire sono talmente odiosi da spingere noi del pubblico a non compiangerli, per non dire a desiderarne addirittura la morte. Uno cresce con roba del genere e la giudica normale, ma non è normale.
Negli film degli anni 80 c’è sempre spazio per qualche scienziato pazzo. Qui abbiamo il meccanico geniale che modifica le macchine di Packard, il cattivone. Un volto caratteristico della decade, Clint Howard, che ne Il replicante ha una capigliatura terrificante, alla Eraserhead. Lui ascolta i Lion di Powerlove mentre mette a punto i nuovi motori truccati delle macchine che Packard estorce agli sventurati che gli capitano a tiro.
Packard sfida a correre sapendo di vincere, visto che ha dei motori troppo potenti. In questo modo si prende le macchine degli altri e… niente, ha un commercio e velleità di alzare il livello di criminalità da teppista a boss organizzato, ma il sospetto è che viva nel suo piccolo mondo, con un ricco garage, i suoi tirapiedi punkeggianti, le violenze di gruppo la notte e la corte forsennata a Sheriliyn Fenn di giorno.
Packard ha una concezione tutto sommato romantica dell’amore. Lui ama Sherilyn ed è pronto a tagliarsi col coltello davanti a lei per dimostrarglielo. La ragazza non resta sedotta dal sangue in giro per l’auto e lo respinge ancora più decisa, ma la retorica anni 80 è inamovibile: se vuoi qualcuna, credici, imponiti e l’avrai. Infatti, davanti all’ennesimo rifiuto sprezzante e l’assicurazione che lei non andrà mai a letto con lui, Packard le risponde senza scomporsi: “lo farai”. È sconvolgente ma sembra uscito da una canzone dei Lion, solo che Kal Swan col suo vocione alla Coverdale e il faccino sexy è tutta un’altra cosa, neh?
Ogni venti minuti c’è un inseguimento. Ma gli inseguimenti sono proprio fichi, girati benissimo. Poi ci sono aspetti che producono ansia nell’uomo del futuro, ormai messo al guinzaglio dalle regole stradali. Per dire, Charlie Sheen e Serilyn Fenn corrono in moto entrambi senza casco e dietro di loro due balordi li inseguono a tutta velocità con una macchina truccata, senza cinte. Chiaramente sono destinati a una brutta fine, ma viene spontaneo pensare a quanto se la siano rischiata gli attori stessi a girare senza alcun tipo di protezione.
La scena del bacio tra Charlie Sheen e la Fenn, con il cattivo Nick Cassavetes che li spia da dentro una delle sue auto truccate, l’occhio lucido da cuore spezzato, mentre Bonnie Tyler rassicura il ragazzo insicuro che è solo una questione di cuore, è uno dei momenti più spiazzanti del film. Si sa dal primo momento che i due sono destinati a baciarsi e amarsi, ma…
Poi arriva Hold On Blue Eyes, suonata dai LaMarca e scritta da Haden Gregg, Mark Tiemens and JD Souther. Sapeste quanta gente ama questa canzone! C’è chi ha creduto in dio nel momento stesso in cui è riuscito a recuperarla su Napster. Si tratta non solo del più bel pezzo della colonna sonora ma di una delle più riuscite canzoni AOR di sempre, secondo me. Viene usata nel momento topico, (anche nel senso della topa, ovvio) quando lei gliela dà, confessandogli di trovarlo molto simile al suo ragazzo morto. Amore e morte, a palla. Aspetta occhi blu, resisti…
Tralascio il resto del film, che quasi dimenticavo è diretto da un certo Mike Marvin, e parlo della profonda ironia macabra che c’è dietro Il replicante. Ha preso spunto da una serie di morti giovanili a causa delle corse clandestine e ha finito per registrare un morto durante le riprese. Il film è dedicato a lui. Bruce Ingram, un operatore deceduto in scena. E c’è pure un superstite gravemente ferito. Non correte clandestinamente, ragazzi, neanche per fiction.