souls of black

TESTAMENT – ANIME NERE DELLO SHOWBIZ

Io e Greg (Christian, ndr) avemmo una conversazione nel 2013 quando i Testament aprirono per i Lamb Of God a Denver, la mia città natale. Beh, lui mi disse che fondamentalmente odia questo disco, perché l’etichetta li ha tolti dalla strada mentre erano ancora in tour per promuovere Practice What You Preach e li ha sbattuti in uno studio a registrare un altro album, senza che ci fossero canzoni sufficienti per realizzare qualcosa di decente. Per me questa è una dura realtà perché Souls Of Black è uno dei miei dischi preferiti. Voglio dire, The Legacy, Malpractice, la title track. Merda, mio zio mi ha regalato la sua vecchia felpa di Souls Of Black, quella che comprò nel Ten Days Of May Tour.

Questo commento anonimo l’ho trovato girando in rete. Ovviamente non si tratta di qualcuno che visse in diretta gli anni di Souls Of Black. Il tipo parla di uno zio che gli regalò la felpa originale risalente al tour di supporto a quell’album. Quindi lui deve avere come minimo venticinque anni o giù di lì. E sì, non riesce proprio a capire come mai Greg Christian gli abbia parlato tanto male di quello che per lui è uno dei dischi più fighi e riusciti dei Testament.

Chi invece era adolescente al tempo in cui l’album arrivò nei negozi nel 1990 (e seguiva già il gruppo da qualche anno) non si sorprenderà di un rigetto a posteriori così netto da parte della band nei confronti di Souls Of Black.

La stagione classica dei Testament, vale a dire dal 1987, anno di uscita di The Legacy, fino al 1990, a oggi è concepita dal piccolo mondo analogico metallaro come un piccolo stūpa, da sfoggiare sullo scaffale della cameretta. Basta però rileggere qualche rivista del tempo per accorgersi di quanto l’età aurea dei Testament fosse fortemente discussa e vilipesa negli anni in cui si realizzò.

Ogni recensione di allora, che si tratti di The New Order o Practice What You Preach, ogni introduzione a un’intervista promozionale, persino i report sui concerti del gruppo, erano pieni di dubbi e lamentazioni sul presente e il futuro dei Testament.

Non si può risalire ai commenti dei metallari di quegli anni ma è abbastanza chiaro che già nel 1990, per molti che ne scrivevano, i Testament avessero fallito l’obiettivo. Nonostante un esordio molto promettente, si erano bruciati presto e continuavano a ridursi in fumo, senza l’arrosto.

Oggi The Legacy, The New Order e Practice sono lavori indiscutibili e Souls Of Black è stato decisamente rivalutato, ma riascoltando quei dischi, senza foderarsi le orecchie di suggestioni retrive, è ancora palese lo sforzo disumano di una band costretta ad andare a mille nel tentativo di inserirsi come un virus nel sistema immunitario dei Big Four.

Ovviamente quattro dischi in quattro anni, escludendo Priest, Maiden e poche altre band essenziali del genere (nei momenti essenziali del genere) ucciderebbero qualsiasi formazione.

Ai Testament dal 1987 al 1990 andò come poteva andare. The New Order, secondo me ricevette critiche eccessive all’uscita, ma nel caso di Souls Of Black resto ancora oggi dell’idea che sia un lavoro stanco, registrato in fretta, quando il gruppo “non je la faceva proprio più”.

Inoltre, bisogna mettere in conto un altro fattore nel percorso di un gruppo agli inizi di carriera: si parte pieni di ormoni e foruncoli e nel giro di pochi anni c’è chi resta più o meno lo stesso e chi si trasforma nello zio degli altri.

Così un giorno, quest’ometto si sveglia sullo stesso tour bus di sempre, si studia bene il tipo che russa sul sedile accanto a lui e poi si domanda: “cosa cavolo ci sto facendo io qui?”.

Fu il caso di Alex Skolnick, entrato nei Testament quando era un pischello timido ma tecnicamente impressionante, nel 1983, a quindici anni, e divenuto sei anni dopo (a ventuno) il guitar hero più sofisticato del thrash metal mondiale, ma ormai in fissa con il jazz, la fusion, il funky e stufo di fare headbanging e olezzare i soliti accordi in mezzo a tutti quei capelloni birrizzati.

Nel 1990 esce Souls Of Black. Oggi in rete si dice che a penalizzarlo sia stata la produzione modesta. Curioso, non trovate, che si facciano le pulci a un disco del genere, giudicato “troppo riverberoso”, e poi ci si abbuffi di black metal registrato nella cantina della nonna?

Ma leggiamo cosa ne pensava Alessandro Ariatti nel 1996, vale a dire sei anni più tardi dall’uscita di Souls Of Black, dopo quindi The Ritual, il Black Album, i dischi dei Maiden con Blaze, il grunge, il successo degli Smashing Pumpkins e dei Green Day.

Scrive Ariatti: “Pubblicato nel 1990 si rivela essere una grossa delusione, risultando l’album più debole della produzione Testament. Caratterizzato da una bellissima copertina, il platter si salva solo per la title-track con quel riff ispirato alla celebre For Whom The Bell Tolls dei Metallica e la stupenda ballad The Legacy. Il resto è thrash scolastico e decisamente poco ispirato. In cui neppure il solito Skolnick può fare la differenza”

Tralasciando l’uso discutibile della parola platter, colpisce la riduzione del brano Souls Of Black a un rifacimento di For Whom The Bell Tolls. Oggi sembrerebbe eresia pura, ma dobbiamo renderci conto che nel 1990, era facile assimilare le cose dei Testament a quelle dei Metallica.

Ricordo che una volta, nel 1997, feci sentire The Ritual e The Years Of Decay a un amico che conosceva solo i Metallica e i Megadeth. Beh, lui valutò entrambi questi dischi come mere scopiazzature del Black Album e di And Justice For All.

Oggi, dopo quarant’anni di thrash, nessuno discute più che i Testament siano maestri del genere, spesso c’è chi invoca l’allungo del Big Four al Big Five, inserendoci proprio loro. Però nel 1990, esistevano altri parametri, altre sensazioni e altre aspettative.

MA ANALIZZIAMO IN DETTAGLIO SOULS OF BLACK

Per la prima volta, dopo tre dischi di fila, il produttore non è più Alex Perialas (lo stesso degli Overkill e tanta altra gente del giro Megaforce) ma Michael Rosen. Interpellati su di lui, Clemente e Skolnick risposero così ai giornalisti italiani, nel 1990:

“Era ora di cambiare; era ora di andare avanti. Voglio dire, non possiamo suonare sempre lo stesso disco in eterno, cazzo. Michael Rosen, che è stato l’ingegnere del suono di Practice, ha avuto la possibilità di produrci”. Louie Clemente 1991

“Ci sono voluti tre dischi per capire cosa realmente volessimo da un produttore. E ora Michael Rosen riesce a soddisfarci in pieno. Alex pensava da produttore e non riusciva a capire cosa noi cercassimo davvero come band”. Alex Skolnick 1990.

A riprova che le cose siano andate in modo diverso e decisamente meglio del solito (secondo loro, ovviamente) c’è il metodo usato dal gruppo per incidere, rispetto ai precedenti tre lavori.

“Non abbiamo suonato dal vivo in studio, stavolta. Io ed Eric abbiamo inciso per primi tutte le tracce di base insieme. E poi si sono aggiunti in sovra-incisione Alex, Greg e Chuck uno dopo l’altro”. Clemente 1991.

“Vedi, si può anche registrare tutti assieme e poi correggere qualcosa in un secondo tempo, ma Practice è stato registrato quasi tutto in presa diretta, cosa ideale per rendere il feeling di un gruppo. Questo sistema però spesso non porta i frutti desiderati. È difficile che nella stessa prova tutti i componenti diano il massimo assieme. Qui abbiamo preso il meglio dai due metodi. Prima hanno registrato Eric e Louie e poi noi separatamente”. Alex 1990.

Ovviamente alla domanda se i due fossero soddisfatti dell’album la risposta tra il 90 e il 91 fu:

“Sì, è il miglior album dei Testament di sempre” Clemente.

“Siamo contentissimi per come è venuto e per il metodo usato per registrarlo” Alex.

Andiamo a vedere i brani nello specifico, a distanza di anni.

FACE IN THE SKY – A proposito di questo pezzo gira una leggenda su internet, ovvero che “Faccia nel cielo” fosse il nome originale di Chuck Billy, datogli dalla sua tribù di appartenenza. Sapete tutti che è pellerossa, no?
Questa cosa non è chiaro come abbia avuto origine. La realtà però, a detta di Skolnick è che Face In The Sky sia l’ultimo pezzo che la band scrisse prima di chiudere l’album e il primo a essere messo in scaletta. Ci voleva un testo al volo e la cosa migliore che Billy pensò di fare fu ispirarsi alle facce che si intravedono sulla copertina già pronta, proprio tra le nuvole alle spalle degli inquietanti penitenti neri. Di sicuro è uno dei brani migliori. Non un classico ma se la band lo tirasse fuori in scaletta dal vivo, il pubblico giuggiolerebbe di certo con un boato di compiacimento.

MALPRACTICE – Non so voi ma questa per me è una gran canzone. Immaginate un titolo più bello per un pezzo metal (Malcostume), peccato che l’accezione sia riferita non alla ribellione giovanile “rutto, chiodo e satanasso” ma alla malapratica degli ospedali americani. Tra il 1989 e il ‘90, Alex Skolnick dovette accompagnare in ospedale una vecchia zia e il modo con cui vide il personale trattare i pazienti, (“come dei numeri o clienti che vanno lì a fare la spesa” disse a Metal Shock), lo fece incazzare di brutto. E così scrisse il testo di Malpractice, che resta uno dei brani più vicini allo status di classico della scaletta di Souls. Diciamo che nessuno obietterebbe su questa traccia se si trovasse su un greatest hits, sebbene a oggi ne siano uscite cinque ufficiali e nessuno l’abbia compresa.

THE LEGACY – Per me è la ballad più bella di tutto il thrash metal. La trovo superiore a Welcome Home dei Metallica e Solitude degli Overkill. Pensate che si tratta di un rimasuglio dei primi anni 80, quando c’era Souza alla voce e la band non era neanche consapevole di fare thrash metal. Non a caso, il pezzo ha una struttura e uno stile molto classici. Se escludiamo i chitarroni pompati, nella seconda parte potrebbe essere un lento dei Metal Church. Per quanto riguarda il testo, come dice Alex Skolnick ad HM nel 1990: “parla di chi entra nel cinema fin dalla più tenera età e si trova famoso quando è ancora bambino. Ciò lo porterà a dover fronteggiare grossi problemi con se stesso e chi lo circonda”. In pratica è un brano su Shirley Temple e anticipa la ricetta che poi rovinerà la vita a Macaulay Kulkin, il “pupo bionno” che esplose nei mesi di pubblicazione di Souls con Mamma ho perso l’aereo (1990) e implose appena quattro anni più tardi (e per sempre) con Pagemaster (1994), di cui ancora ricordo stroncature coprolaliache.

SEVEN DAYS OF MAY – Il pezzo è tra quelli a cui Alex Skolnick è più affezionato, almeno nell’intervista del 1990. Oggi magari ne parlerebbe con un certo imbarazzo. Il testo è suo e tratta i casini di Piazza Tienanmen del 1989. Basta leggerlo per capire: si cita una Repubblica popolare, una piazza, i carri armati, e via così fino “ar bagno de sangue”. Gli eventi reali culminarono proprio in una strage nella notte tra il 3 e il 4 giugno. Bisognerebbe ammettere che dal punto di vista storico, Seven Days Of May avrebbe avuto più senso se si fosse intitolata Seven Days Of July, ma come suggerisce un utente comprensivo di internet: “May” doveva essere più facile da cantare e rimare con “Grey” o “Way”. In ogni caso stiamo parlando di ragazzini di vent’anni che si lasciavano coinvolgere tra una notte di bagordi e un collasso mentale, da qualche servizio visto di sfuggita in TV o un articolo di giornale letto mentre si ingozzavano di hamburger in un MacDonald dell’Impero. Poteva starci una certa superficialità. Però sia questo che alcuni altri brani del disco mostrano una decisa progressione verso l’impegno sociale da parte dei Testament. E Alex di questa evoluzione tematica probabilmente fu il trascinatore. Due anni dopo Chuck Billy avrebbe detto a un’esterrefatta Elisa Zangari di HM:

Ehi, guarda che i Testament scrivono pezzi con dei messaggi!”.
E di che genere, satanici?”, chiese lei.
“Ma no, messaggi positivi. Del resto il metal è sempre più famoso in America. Sempre più ragazzi ascoltano la nostra musica ed è quasi un dovere scegliere gli argomenti con sempre più responsabilità. Sai, roba tipo l’inquinamento, piuttosto che il suicidio, piuttosto che la droga, piuttosto che la politica…”

Per chiudere con Souls Of Black bisogna considerare un dato. Nonostante la delusione generale, il disco iniziò a vendere discretamente grazie alla partecipazione della band al Clash Of The Titans. Il gruppo era praticamente lesso, ma con quella leggera impennata di riscontro nei negozi, sentì di aver chiuso la stagione in ripresa.

Due anni più tardi Billy avrebbe manifestato pubblicamente una certa perplessità nei confronti della stampa, così gentile e incoraggiante agli esordi della band e poi via via sempre più aggressiva e inspiegabilmente critica.

Del resto un uomo a corto di energie vorrebbe un passaggio a casa, non una folla di tifosi che lo riempiono di sbadigli, fischi e insulti”. Billy, 1992

Va detto che i Testament non sfondarono anche perché NON furono aiutati.

MTV NO THRASHING MAD!

Abbiamo lavorato duramente per anni ma nessuno ci vede mai su MTV. Non sappiamo perché, è un sistema del cazzo. Ci considerano troppo metal e quindi non accettano i nostri video, anche quando scriviamo cose più soft e orecchiabili”. Billy 1992

Per la verità, per un breve periodo, ai tempi di Practice What You Preach MTV sostenne i Testament, facendo schizzare le vendite a 285mila copie. Ma è così, la rete musicale non favorì praticamente mai i pesci più piccoli del thrash nel periodo commerciale di questo genere. Fuori dai Big Four gli altri potevano pure morire.

MTV applicò questa logica da bunker all’intero genere rock negli anni 90, quando tenne Red Hot Chili Peppers, Metallica, Aerosmith e R.E.M. e pochi altri, chiudendo fuori tutti gli altri dal palinsesto e dal mondo giovanile occidentale.

Comunque, i Testament nel 1991, dopo l’esperienza appagante ma dispendiosa del Clash Of The Titans, si videro concedere dall’etichetta un po’ di riposo prima di uscire con un altro album. Il gruppo si illuse di poter affrontare le cose con calma e ragionare bene il passo successivo.

Nel ‘91 non si poteva fare un altro disco in due settimane, registrandolo al volo e ripescando vecchi pezzi dal cassetto. Le scorte erano finite. Così mentre Alex Skolnick andava in tour con un certo Stu Hamm, gli altri iniziarono a lavorare sui pezzi nuovi.

Intanto uscì il Black Album e mentre i Testament sonnecchiavano su un divano pensando a qualche riff, con il collo di una birra infilato nel naso, i Metallica fecero definitivamente scopa e non ce ne fu più per nessuno. Nemmeno per gli altri Big Three.

Continua…