Facendo ricerche per questo articolo, ho scoperto Elisa Zangari di HM. Fu lei che intervistò i Testament nel periodo 1990-92. La prima volta al telefono con Alex Skolnick, per la promozione di Souls Of Black e la seconda per The Ritual parlò con Chuck Billy presumo a Modena, durante il Monsters Of Rock.
La Zangari mi piace perché al tempo era sì una ragazzina, ma scriveva in modo molto diretto e, all’incontro con il gigantesco e intimidatorio Billy, non gli mandò a dire le proprie considerazioni sull’involuzione dei Testament di allora.
Era chiaro, da quello che scrisse nell’introduzione all’intervista con Chuck, che lei adorava Skolnick, considerando invece il frontman e gli altri come una specie di zavorra; degli immaturi borchioni aggrappati al santo stinco dell’angelo frezzato della sei corde.
Cito:“La creatività di un musicista non può essere segregata a lungo in un posto così angusto quale è quello in cui si costringono i Testament”.
Il dualismo (o se preferite il conflitto) tra Alex e il resto del gruppo era esploso alla fine del tour di The Ritual, ma covava già da almeno tre anni.
Quando diventò ufficiale che il chitarrista avrebbe lasciato la band per darsi al jazz e altre cose “puzzonasiste” in pochi fecero obbiezione: non i giornalisti, né i fan, e tantomeno i musicisti stessi della band (questi almeno all’inizio).
Tutti ripetevano che era ormai inevitabile e per certi versi anche giusta la separazione tra Alex e la band. Fu come lasciare che il calciatore di talento prendesse la via dei grandi club, invece di irrancidirsi nella mota provinciale di una squadretta cazzuta ma che sarebbe rimasta nelle parti basse della classifica e prima o poi a rischio retrocessione.
Dunque, The Ritual secondo me è un buon album ma non ciò che i fan si sarebbero aspettati dalla band. Esce nel 1992. Sappiamo che quell’anno, almeno da noi in Italia si parlava solo di Guns, Metallica, Nirvana e Iron Maiden. Poi c’erano i Megadeth di Countdown, più discusso che compreso.
Tutta la retroguardia del metal anni 80 stava morendo o mutando in grunge nel tentativo di sopravvivere. I Testament si presentarono con le camicie a scacchi da boscaioli, in buona forma fisica e forti di un singolone dal titolo sgicio: Electric Crown; yeah decisamente accattivante.
Con gli anni mi sono reso conto di una cosa. Le linee vocali di quel pezzo sono simili a quelle di Children Of The Grave dei Black Sabbath; così come quelle del brano Souls Of Black sono scippate a Hole In The Sky, ma questo non toglie nulla a due pezzi che mi piacciono ancora molto.
Electric Crown era un pezzone ma non era roba thrash. Niente di The Ritual lo era. Citando Peterson due anni più tardi in un’intervista a Metal Shock: i Testament erano diventati “un incrocio orribile tra Def Leppard e Venom”.
Per me non è proprio così, però bisogna ammettere che pezzi come Let Go Of My World e Deadline si spingevano davvero lontano dalle origini estreme del gruppo, fin quasi all’hard rock puro fatto con la voce grossa.
Come mai Petersen cita i Def Leppard? Beh, non è un caso. Il disco non lo produsse Rosen, ma un certo Tony Platt, allievo di Mutt Lange.
Sapete chi è Lange, vero? Foreigner? Gli AC/DC di Back In Black? Bryan Adams? E i Def Leppard più commerciali, appunto.
Puntelliamo un po’ il contesto. Nel 1992, di interviste a Chuck Billy in occasione di quel disco ne uscirono due in Italia:
Una su Metal Shock a maggio, con tanto di cover dedicata alla band, e quella della Zangari su HM a novembre del 1992 (Suicidal Tendencies in copertina).
Nella prima intervista Billy era fiero di The Ritual. Nella seconda era delusissimo. In cinque mesi era andato tutto storto. Era partito con: “Il disco spacca. Siamo vicini a diventare una grossa band metal. Ci manca poco. Quando avremo superato gli ultimi ostacoli otterremo la nostra rivincita”. E finiva con: “The Ritual è una merda. È un disco creato su misura per Alex. La band non ne è mai stata felice. Troppo leggero per le esigenze aggressive e di sfogo degli altri, c’era pure un fottuto lento che odio letteralmente cantare!”
In effetti, qualcuno ricordò che Alex nel 1991 aveva detto cose abbastanza inquietanti per un thrasher, tipo: “Spero che anche i Testament facciano funky prima o poi”
La band sapeva di non potersela cavare senza di lui e pur di accontentarlo ammorbidì il sound, rallentò i tempi e fece The Ritual…
Ma fu inutile perché un giorno, durante l’estate del 1992, Alex convocò gli altri, improvviso ma prevedibile. Guardò tutti negli occhi disse: “è finita, me ne vado. Vi seguo per il resto del tour ma ne ho abbastanza. Non posso più fare questa cosa”
Il disco non vendette granché. E a settembre per Chuck fu dura continuare a promuoverlo fingendo che gli piacesse. “In futuro è nostra intenzione” ruggì alla Zangari, “di tornare subito ai livelli di aggressività del primo album. Se ci fai caso abbiamo iniziato con un tipo di musica molto pesante, poi ci siamo via via ammorbiditi finendo per suonare heavy metal! Vogliamo tornare aggressivi come una volta, questo anche perché Alex lascerà la band e a lui non piace il metal. Lo odia. A lui gli piace la musica funk!”
La cosa che impressionò la Zangari e anche gli altri lettori, non era sentire cosa ci fosse dietro un disco “fuffoso” come The Ritual, ma che Chuck Billy parlasse di un futuro per i Testament senza Skolnick!
Ma guardiamo nello specifico alcuni pezzi del disco.
THE RITUAL PIECE BY PIECE
RETURN TO SERENITY – Personalmente trovo che sia un gran bel brano e soprattutto che Billy abbia scritto uno dei testi migliori della propria carriera.
“Questa canzone parla del mondo incasinato in cui stiamo vivendo, serve a tutti un’isola di salvezza, un posto sereno e pieno di pace dove portare gli amici, un posto dove lasciarsi andare… non ci sono molti posti tranquilli dove poter ritrovare il proprio equilibrio”. Billy, 1992
“Il mondo sta andando a farsi fottere. Non esistono luoghi senza criminalità e violenza. Ciascuno pensa a fregare l’altro per i propri interessi. Chi sta al governo ti controlla e ti impone un modo di vita che tu non vuoi, ma lo devi seguire, non hai scelta. I luoghi che più si avvicinano a questo paradiso immaginario sono le riserve indiane dove vive la mia famiglia. Non ci sono uomini bianchi, non c’è un governo che ti dice ciò che devi fare o non devi fare. Non ci sono città caotiche e inquinate. La terra è degli indiani, ed essi vivono in stretto contatto con la natura”. Billy, 1992
Alessandro Ariatti avrebbe scritto su un Metal Shock del 1996, sempre in quella Scheda Story dedicata ai Testament, che Return… “è la migliore ballata della band”.
E considerato che già c’erano state The Ballad e The Legacy, ci si domanda come mai per Chuck fosse così dolorosa da cantare.
Ti porterò in un posto lontano da qui
Nessuno ci vedrà
Guarda il dolore mentre scompare
Non c’è tempo per la rabbia, non c’è tempo per la disperazione
Verrai con me?
C’è posto per noi lì
THE RITUAL – Si tratta del brano più lungo dei primi cinque lavori della band e ha un andamento molto oscuro. Ho sempre pensato che i due dischi, The Ritual e I Hear Black degli Overkill, si somiglino proprio per questo aspetto darkly.
Sgrassando tutta la violenza e la rabbia, e facendo bollire il suono a fuoco lento, fino a frollarlo per un pubblico dai denti fragili, la sola cosa che affiora coerentemente è l’oscurità del sentimento che pervade da sempre la creatività di queste band.
Il brano The Ritual è un cammino cupo, anche se non parla di roba pagana e minacciosa. Medita sui riflessi sacrali che formano la vita di chiunque ed è una perfetta metafora del fare canzoni come se fossero rituali in grado di scatenare la propria creatività interiore.
ELECTRIC CROWN – Parla di esecuzione capitale, così come Ride The Lightning dei Metallica, di cui potrebbe essere un ideale remake. Facendo un raffronto tra questi due pezzi, uno del 1985 e uno del 1992, diventa palese il passaggio dal ribellismo adolescenziale alla maturità nichilista dell’intero genere. Nel primo brano, con i foruncoloidi Metallica del ‘85, il pezzo mostra i pensieri di un assassino che sta per friggere, non si reputa colpevole e accusa qualcuno, forse un demone, di averlo condotto a certe azioni, abbandonandolo in galera a pagare per responsabilità non proprie.
Nel secondo caso, quello dei Testament, c’è sì un assassino che sta per friggere sulla sedia, ma non si pente, accetta le responsabilità e accusa l’opinione americana di aver preso una strada senza uscita, uccidendo tutti i cainos. In entrambi i casi, la pena di morte è vista come un orrido sipario che cala sulle colpe di un’intera società. Di Electric Crown si può dire che è troppo commerciale e furbo, ma alla fine fa scapocciare il mondo da anni.
Il testo però, attenzione, ha degli aspetti suggestivi perché il giustiziato non sente niente, giustifica i propri crimini e non vede l’ora di entrare nel mondo spirituale. Questa è una cosa da indiani fottuti, come Chuck Billy, il quale, va bene, è americano, ma soprattutto è un pellerossa.
SO MANY LIES – So Many Lies è il pezzone assoluto del disco, per quanto mi riguarda. Metallissimo botulinico anni 90. Riff panciuto di tre note che vi trascina per la colottola fino alla gogna sozza e vischiosa di bava ribollente. Il testo è sui predicatori televisivi, bersagli inflazionati per il metallo di quel periodo. Tra il 1988 e il 1992 non so quanti gruppi se la siano presa con questi figuri ridicoli e pagliacceschi della TV via cavo U.S.A. In Italia avevamo altri venditori di sogni catodici: Wanna Marchi e Roberto Da Crema, mentre una repubblica crollava col sound delle cento lire in cascata su un sentiero di disilluso peperino.
POCO ECCITANTI PROSPETTIVE
Prima dell’uscita di Low ci fu l’attesa di Low. Senza Skolnick nessuno pensava che i Testament sarebbero tornati a livelli apprezzabili. Nel 1993 era tutto cambiato dall’anno di The Ritual e del Monsters di Modena. I gruppi anni 80 del glam non se li cagava più nessuno. I Metallica non stavano ancora mortificando i vecchi metallari con Load ma erano sempre più inquietanti intervista dopo intervista. Bruce Dickinson usciva dai Maiden… e i Testament chi se li ricordava?
Appena fuori dal gruppo, Alex Skolnick entrò a sorpresa come turnista nei Savatage, scombussolati dalla morte di Criss Oliva e in procinto di pubblicare un nuovo album perché Anyway, The Show Must Go One. Con l’occasione di nuove interviste promozionali, il “frezza” non fece complimenti e parlò (male) del suo ex gruppo.
“In realtà ci sono paio di ragioni che mi hanno spinto a scegliere i Savatage. Primo, Criss Oliva, che io sostituisco con orgoglio e mio grande dolore, visto che lo conoscevo. Inoltre sono un fan della band, specie i vecchi dischi. Voglio aiutarli. Seconda ragione: prima di lasciare il genere, volevo almeno incidere un album “metal” in cui le persone potessero davvero ascoltarmi. Io ci tengono a far sentire il mio lavoro, e i Savatage non lo seppelliscono sotto montagne di sovra-incisioni e missaggi cupi, quasi come i miei fraseggi jazz fossero una specie di vergogna per dei thrasher duri e puri.”
Intanto le aspettative intorno ai Testament nel 1993 erano ormai quasi nulle. C’era chi li dava già per sciolti in attesa dell’ufficializzazione. Così, approfittando dell’uscita di un live EP, Return To Apocalyptic City, Chuck ed Eric tranquillizzarono pubblicamente i fan, ribadendo l’intenzione di spaccare il culo a tutti con il prossimo album, che era in dirittura d’arrivo.
Nel maggio 1993, Metal Shock pubblicò un’intervista dal titolo “Testament – Chi ha detto che è finita!?”
La band assicurò che il disco nuovo sarebbe arrivato nei negozi non più tardi di gennaio. A parte questo, sorpresero di più le dichiarazioni di Eric sull’addio di Skolnick.
“La prima cosa che ho fatto quando Alex ha annunciato di essere fuori dal gruppo è stato di fare attenzione alle reazioni degli altri. Greg non sembrava minimamente colpito. Si è limitato a dire che lo capiva, “se non ti piace più ciò che fai è giusto che te ne vai, dude”. Louie e Chuck erano come inebetiti. Lo sguardo loro diceva, “cosa ne sarà di noi, adesso? Io invece ero felice. Sorridevo tra me e me e pensavo che avrei potuto finalmente essere considerato come chitarrista e far tornare i Testament un gruppo degno di rispetto.
“Ero frustrato. Alex ormai era la prima donna a cui venivano tributati tutti gli onori. Io ero invece l’ultima ruota del carro. Se qualcuno pensava al chitarrista dei Testament, correva subito con il pensiero ad Alex. Non certo a me. Ed è buffo se consideri che sono stato io a fondare la band nel 1985 e ho composto da allora la stragrande maggioranza dei riff. Questa cosa mi seccava. Certo, Alex è uno dei più grandi talenti in giro e sono ancora legato a lui da una profonda amicizia, ma professionalmente non siamo proprio compatibili. Per dirti come girano le cose ora nel gruppo: abbiamo recuperato una vecchia canzone che Alex non sopportava. La escludemmo da The New Order perché per lui era troppo veloce. Ora la risuoniamo con grande giubilo di tutti”. (Eric, 1993)
Oltre all’addio di Alex Skolnick, atteso e annunciato con un certo anticipo, nell’intervista il gruppo affrontava un’altra defezione, stavolta assai più repentina e sorprendente. Tra il 1992 e il 1993 anche Louie Clemente, il batterista storico della band, se n’era andato.
“Che è successo con Louie?” Beh, le date europee dello scorso settembre avevamo un tour americano e dovevamo suonare la prima a Los Angeles. Quel giorno siamo arrivati al locale e abbiamo fatto il sound check. Una volta terminato siamo scesi tutti dal palco, compreso Louie, che si è allontanato con la sua ragazza… E non è più tornato”. (Chuck Billy, 1993)
“Non so perché. Non aveva mai accennato a insoddisfazioni o altro. La sua ragazza lavora presso la nostra casa discografica e per quanto ci è dato di sapere è stata lei a suggerirgli di lasciare la band”. (Eric Petersen, 1993)
“Sono fuggiti e poi abbiamo scoperto che si sono anche sposati. Sapevamo che lui si era innamorato e aveva perso la testa per lei, ma non avremmo mai pensato che ci piantasse in asso così”. (Chuck Billy, 1993)
Intanto il gruppo poté presentare il sostituto di Alex Skolnick. Per chi si aspettava un nome grosso, fu una delusione:
Signore e signori, MR. GREG ALVELAIS!!!
Chi?
“Già, è lui il sostituto di Alex. Suonava nei Forbidden, che hanno due album all’attivo. Greg ha un’attitudine metal, non come Alex, che era tutto con l’impostazione jazz. Quando suonavamo con lui sembrava di tornare sui banchi di scuola”. (Eric, 1993)
E al posto di Clemente arrivò John Tempesta, ormai licenziato dagli Exodus dopo aver sostituito per loro Tom Hunting dal 1990.
Ma riguardo il nuovo album?
Eric: “Faremo tesoro dell’esperienza di The Ritual. E lo uniremo a elementi tipici del nostro sound. Ti spiego: su quel lavoro non c’era neanche un pezzo con un ritmo thrash o per esempio con la doppia cassa. Il prossimo avrà un po’ di tutto: pezzi veloci, ritmi thrash, melodia, novità, ossia quello che abbiamo sempre cercato di fare. Ci lasceremo in ogni caso guidare dall’istinto. Glen Alves ci sta aiutando parecchio, abbiamo buttato giù qualcosa. Ha delle idee molto interessanti e uno stile davvero potente”.
Nonostante le rassicurazioni sulla qualità delle nuove canzoni e il ritorno a uno spirito coeso della band, (“oltre a scorreggiare nello stesso seminterrato durante le prove, dopo andiamo tutti insieme a berci una birra”) a gennaio non uscì nessun nuovo disco dei Testament.
Fece capolino soltanto una news in merito alla sostituzione di Alvelais con James Murphy (Death, Cancer, Obituary) e sempre nella stessa velina era resa pubblica la scaletta del disco nuovo intitolato Low.
Ricordo di averla letta al tempo su Metal Shock, questa news. Chi l’aveva scritta chiudeva l’annuncio domandandosi: “c’è ancora un posto per i Testament nel metal del 1994?”
Ma cos’era ormai, il metal, nel 1994? (Continua…)