THE DARK AND THE WICKED – NON CHIAMARLO SATANA

Il nuovo film di Bryan Bertino è forse il più estremo tra quelli che questo regista ha realizzato. Rinasce un senso di tragedia, associabile non a quelle intese al tempo di Shakespeare, ma le tragedie degli antichi greci. Ne parla spesso Umbertone Galimberti di questa roba. Ci dice che la vera tragedia è quella greca, perché allora esisteva un concetto di morte come finitezza di tutto, non c’erano il Paradiso e l’Inferno. Il concetto di vita oltre la vita, inserito dai cristiani, ha portato invece un tipo come Shakespeare a scrivere tragedie per modo di dire. Non è mai completamente e profondamente tragico, se c’è un riscatto o una redenzione e un Dio che tutti ci salva e ci ama in questa e soprattutto nell’altra dimensione.

Nel caso di Bertino e di Oz Perkins, due dei più promettenti autori di nuova generazione in ambito terrorifico (e non horrorifico, esatto, per terrorifico intendo quei film che fanno cagare sotto sul serio dalla paura, lo spettatore) è palese un concetto di male liberato dall’impalcatura rassicurante creata dalla Chiesa. Esiste un diavolo ma non c’è un dio. Esiste il male ma non c’è fede che possa aiutarci ad affrontarlo.

Questa cosa è sconvolgente e sublime allo stesso tempo. Sconvolge a livello emotivo chi guarda The Dark And The Wicked ma allo stesso tempo eccita l’appassionato che aspettava qualcosa di diverso dal solito.

Molti assocerebbero il film di Bertino con Hereditary e in parte è inevitabile. Le colpe peccaminose dei padri ricadono sui figli, i quali, pur evitando di affrontare le scelte dei genitori per tutta la vita, un giorno si troveranno costretti a scontarne le conseguenze, con le buone o le cattive (altro concetto cristiano).

Ma in Hereditary non è specificata questa totale assenza di Cristianesimo. I figli di Madre e Padre, che detengono il loro carattere archetipo senza avere un nome (potrebbero essere Joan o Dan, ma no, sono soltanto father e mother) i figli, che si chiamano Louise e Michael (femmina e maschio).

I due tornano nella fattoria di famiglia perché ufficialmente il vecchio è molto malato e la mamma non ce la fa più a occuparsi di lui da sola.

Nulla di più comune, giusto?

Sbagliato. Nonostante la donna non riesca più a tirare avanti, con il marito in quelle condizioni, insiste affinché i due figli, assenti ingiustificati da lungo tempo, non tornino.

“Non tornate” gli scrive la mammina. Loro invece a quel punto si precipitano. Come tutti i figli, se gli dici di non fare qualcosa, la fanno. Tornano ma la trovano appesa. Da piedi c’è un diario pieno di farneticazioni inquietanti.

Non fanno in tempo a riprendersi dallo shock che scoprono nella casa qualcosa di strano. Una presenza. Però non si tratta di uno spettro infestante, è qualcosa di più ostile, oscuro e malvagio.

Il diavolo?

Nel diario della donna si parla proprio di quello. Satana.

“Ma come può essere”, domandano a un prete che fa loro visita (personaggio chiamato semplicemente Priest). “Come può essere”, gli chiedono, “che nostra madre temesse un diavolo affamato dell’anima di papà?”

Michael e Louise non se ne capacitano perché i genitori sono da sempre, nonostante l’aria rurale, sudista e da gotico americano, atei.

Il prete allora risponde la frase migliore del 2020. “Credete che un lupo sia interessato al fatto che lo crediate vero o no?”
Ecco, il punto è tutto qui. Bertino, e un’altra persona che presto introdurrò in questo articolo, credono che si possa anche rinunciare a una Chiesa, alle solfe metafisiche degli angioletti e dei demonietti sulla spalla, ma questo non ci libera dal male. Non ci riusciva dio, figurarsi noi da soli.

Il male esiste, è tra gli uomini, come un lupo gira intorno alla loro casa odorando l’anima sempre più olezzante a mano a mano che si avvicina alla morte.

Chiamatela anima o consapevolezza esistenziale, demone platonico o quel che vi pare: il diavolo ci vuole. Non è il diavolo? Ci sono fin troppi nomi per indicare ciò di cui stiamo parlando.

Non a caso una delle frasi preferite di Mefistofele è “ho tanti di quei nomi!” (Cit. Angel Heart, yep)

Ora però bisogna che vi presenti una persona decisiva per l’evoluzione estremista di Bertino, passato da un incipit spietato in un mondo senza Dio (The Strangers) a qualcosa di più consolante e disneyano (The Monster). Lei si chiama Adrienne Biddle ed è il produttore esecutivo del film.

Bertino e la Biddle hanno anche collaborato in Mockingbird (devo vederlo) ma è soprattutto il legame tra The Dark And The Wicked e un altro film che dovete assolutamente recuperare, se già non lo conoscete, e che aggiunge corposità al concetto di male liberato: The Blackcoat’s Daughter di Osgood Perkins, (il figlio di Anthony “Psycho” Perkins, esatto).

Magari affronteremo questo grande film in un altro post, oppure no, ma qui possiamo dire che è esattamente lo stesso universo, dove un demone possiede una giovane, la spinge a decapitare tre donne e poi svanisce, sospinto via dall’esorcismo più loffio mai visto in tutta la storia del cinema.

Se nel finale di The Dark And The Wicked la protagonista deve affrontare da sola una delle prove più dure dell’intera esistenza di un individuo: la morte dei genitori e la perdita dell’amore incondizionato, in The Blackcoat’s Daughter, la ragazza ex posseduta vaga in un mondo in cui nemmeno Satana risponde più alle sue preghiere.

Concetti grandiosi che il nuovo cinema ci sta donando con una disinvoltura bastardissima.

The Dark And The Wicked tecnicamente non è un gran film. La sceneggiatura è la cosa più peccaminosa di tutte, con i non detti che diventano un po’ troppi, la malaugurata scelta di usare il CGI per delle scene che era meglio suggerire e non mostrare (male) e alcuni escamotage prevedibili: il diario segreto della madre e i corpi che si sollevano da terra.

Apparentemente Bertino e la Biddle paiono volerci mettere in guardia sulla perdita ormai inesorabile della fede religiosa e la liberazione del sacro in un mondo senza più codici in grado di contenerlo. Un mondo quindi disastroso oltre ogni immaginazione.

Ma non dobbiamo commettere questo errore. Il cinema terrorifico non ha la valenza reazionaria di certi slasher anni 80. Qui c’è uno sguardo profondo in un mondo desolato, in cui la morte è la morte e poi si rimane soli con i demoni, i mostri che da piccoli proprio i nostri genitori tenevano lontani dal letto, ricacciandoli nell’armadio accendendo la luce, ora dilagano nel nostro mondo passando dalle piaghe da decubito di papà e dalle fetide esalazioni del cadavere di mamma.

Come se non bastasse, in The Dark And The Wicked è il demone stesso ad accendere la luce, levandoci di dosso la coltre di buio protettivo e consolatorio.

The Dark And The Wicked va scusato nei suoi limiti (anche dovuti al budget) e va aiutato, è come un vecchio degente consumato dal male, che vuole dirci qualcosa di molto vero su ciò che quel male gli sta insegnando e vuole farlo prima di morire. Abbiamo pietà, rispetto e compassione del vecchio malato, ma nei suoi occhi noi vediamo la stessa pietà, rispetto e compassione che egli ha per noi, costretti ancora a vivere in un mondo senza rimedi, dove dio è morto e ormai il solo padrone di tutto è il lupo cattivo.