Al tempo di The Ritual si criticava la somiglianza della band con i Metallica, qui i recensori se la presero con la scelta di usare spesso il growl da parte di Chuck Billy e la sua vicinanza con lo stile urlato di Phil Anselmo.
“Per la verità”, disse il frontman (ed era vero) “io il growl lo usavo pure negli anni 80. Potete sentirlo su Falling Fast, Envy Life e così via, adesso ho solo deciso di usarlo un po’ di più perché sono tremendamente incazzato e devo esprimermi adeguatamente”. (Billy, 1994)
Il disco nuovo uscì a ottobre. Stavolta su Metal Shock l’intervista era raccolta da Francesca Fabi, e lei scrisse nell’introduzione che il produttore dell’album era Michael Wagener, cosa non vera. Costui si era occupato solo del mixaggio.
A produrre davvero Low fu un certo Gggarth. (Non ci sono refusi, il suo nome era proprio questo, Gggarth!)
Intanto, John Tempesta, che suonò la batteria sul disco, aveva già mollato i Testament per entrare nei White Zombie. Al suo posto arrivò Gene Hoglan.
E a proposito di Gggarth. Vediamo chi era costui nel 1994. Nel curriculum spiccavano i Melvins (Stoner Witch) ma a parte loro, principalmente prima di cimentarsi con i Testament, Gggarth era stato ingegnere del suono di vari gruppi teteschi: Warlock, Bonfire, Pink Cream 69.
Era ed è il figlio di Jack Richardson, considerato tra i pionieri anni 60 e 70 della produzione discografica. Insomma, questo Gggarth non era una cima. Ah, si faceva chiamare GGGarth per una leggera balbuzie. Non mi risulta che usi ancora questo nome a livello professionale, ma al tempo era una specie di auto-bullismo compiaciuto. Dovrebbe essere vivo e canadese allo stesso tempo.
Low uscì ancora per Atlantic. Come con gli Overkill di I Hear Black e W.F.O. l’etichetta rispettò l’impegno contrattuale ma senza grande entusiasmo. Per lanciare il disco, la band lo presentò in modo drammatico: un lavoro sofferto, una sorta di purgatorio da cui erano tutti usciti più forti di prima.
Gli sarebbe piaciuto, certo. L’impressione dei recensori e del pubblico, allora come oggi, è che si tratti di un’istantanea di quel purgatorio, ma con la band ancora molto lontana dal cancello d’uscita.
“Non sapevamo se i Testament sarebbero sopravvissuti alla crisi” diceva Chuck nel ’94. “Intanto componevamo. Musicalmente abbiamo dato a Low un’impronta ben precisa: è muscoloso, irresistibile in certi suoi grooves e maledettamente heavy”.
Come potete notare qui si parlava ormai di “grooves”, benvenuti negli anni 90.
“Già, e noi non siamo più quelli di una volta” chiarì Eric Peterson. “È un dato di fatto. Molte cose sono cambiate. Anzitutto la sezione ritmica non è più la stessa. Alex se n’è andato e chi ha eseguito tutte le ritmiche sono io, che come chitarrista ho una personalità molto diversa dalla sua. Il disco l’ho scritto tutto di persona, escludendo qualcosa di Chuck”.
“Siamo intenzionati a dimostrare che i Testament sono tosti come agli inizi” assicurava Billy, “anche se ci siamo persi per strada con del materiale troppo “molle”.
E poi c’era James Murphy….
James Murphy oggi è considerato davvero tantissimo, probabilmente anche grazie all’esperienza con i Testament, ma nel 1994 il suo nome non diceva granché agli appassionati di thrash metal classico, venendo dal giro del Death floridiano (Obituary, Disincarnate, Death, Cancer).
“È entrato nel gruppo quando il disco era pronto” spiegò Eric. “Non ha potuto contribuire al materiale, se non su Hail Mary, di cui ha scritto la musica. È stato per noi una boccata d’aria fresca. Ci ha ridato fiducia ed è stato un prezioso consulente”.
Si dice che i Testament lo fecero trasferire nella Baia senza pensare a dargli un alloggio e un po’ di vitto. Arrivò dalla Florida e si ritrovò per strada. “Le prove sono domani alle 5, ciao bello!”
Non so come andò, ma James Murphy di fatto rimase con la band dalla fine del 1993 al 2000, con qualche pausa nel mezzo non decisa da lui.
Sfido però chiunque a ricordarsi un suo assolo suonato in Low, Demonic o The Gathering. Io ci provo ma non riesco a farmene venire in mente nemmeno uno. Anzi, ogni volta che sento questi dischi, per quanto provi a starci attento, spesso mi capita di distrarmi un po’ prima e un po’ dopo la parte in cui Murphy svisa.
È una cosa strana, e magari a voi non è mai capitata, però io credo che Murphy abbia finito per sprofondare nel cratere lasciato da Skolnick. Va bene un chitarrista diverso, meno elegante e virtuosistico, più aggressivo e sanguigno, ma se ascoltate Cause Of Death degli Obituary, almeno a me fa lo stesso effetto di un disco dei Testament degli anni 80 con Skolnick. Da una parte c’era la band tutta compatta e un po’ limitata e dall’altra queste improvvise aperture soliste di gran finezza e spicco melodico. Murphy con gli Obies era lo Skolnick del Death metal, non vi pare? Nel pit dei Testament invece, orfani bambinoni lasciati indietro dal loro Alex custode e per certi versi dispotica guida, Murphy come solista svaniva. Le ritmiche di Low erano tutte incise da Peterson, che si concedeva anche degli assoli piuttosto innocui. Senza nulla togliergli, ma non era Alex. Nessuno era Alex, quando Alex era nei Testament!
Il responso della critica per Low al tempo fu altalenante. Francesca Fabi su Metal Shock lo promosse con quattro punti su cinque, mentre Alessandro Ariatti, due anni dopo, ridimensionò tutto.
Scrisse così:
“Low esce nell’autunno del 1994 e vede un gruppo molto indeciso, a metà strada tra il classico Testament – sound e inclinazioni Death soprattutto nella voce di Chuck Billy, fattasi in alcuni punti gutturale. L’assenza di Skolnick si rivela pesantissima perché solo la sua genialità poteva risollevare mediocri tracks come Shades Of War, Chasing Fear, e Dog Faced Dogs; i Testament “toppano” anche con la consueta ballad di turno, quella “Trail Of Tears” ordinaria ma nulla di più. Personalmente salverei la title-track e la “bestiale” Hail Mary. E Legion In Hiding. Tutto il resto risulta decisamente deludente”.
Ovviamente Ariatti amava e ama il metal classico ed era difficile per lui apprezzare ancora i Testament nel 1994, senza la veemenza melodica e le scalate al paradiso di Skolnick. L’album nuovo sapeva di nu thrash, di Pantera, ultimi Sepultura e poi c’era quei growl alla Morbid Angel… quindi per carità.
Però Luca Signorelli, fan dei Testament, sul libro Metallus concludeva che il primo periodo, ovvero Low, “ha coinciso con un calo dell’ispirazione vistoso”.
Col tempo Low è cresciuto nelle simpatie della critica. Alcune canzoni sono rimaste nel cuore del pubblico, tipo… vediamo quali:
LOW
Uno dei pezzi più possenti e decisi. Sono quasi i Testament di The Ritual ma con la produzione giusta. Il brano parla di pedofilia e chiesa, tanto per cominciare (la successiva Legions (In Hiding) invece sposta l’attenzione sugli abusi domestici).
HAIL MARY
Si tratta di una preghiera a Maria, la madre di Cristo, rivoltale da un peccatore sul letto di morte. Lui le chiede perdono per i peccati commessi sperando nella redenzione ma lei rifiuta e non concede perdono. In effetti, musicalmente sa davvero un po’ troppo di Sep, però è buona.
DOG FACED GODS
Parte dal dio Anubi ed è un testo all’apparenza fantasy, ma è una dichiarata metafora di certi politici americani. Secondo Peterson, tra i nuovi pezzi di allora, dal vivo era quello che riscosse più successo nel tour di supporto a Low.
ALL I COULD BLEED
“Si tratta di una composizione autobiografica, una canzone d’amore e di dolore”, dice ancora oggi Peterson. “Quando l’ho scritta mi sono ispirato alla mia relazione sentimentale, era una di quelle storie in cui tu dai tutto di te ma l’altro non ricambia con la stessa intensità”.
La cosa buffa è che su internet c’è chi è stra-convinto che parli della frustrante relazione di un cittadino americano con il Ministero dell’Economia e le Finanze nazionale! E a leggere il testo un po’ l’impressione si conferma.
Can’t you understand
Grab life by the hand
Where’s democracy
I gave all I could bleed
UROTSULIDOJI
Brano strumentale che di sicuro sarebbe piaciuto a Skolnick. Il titolo è una parola giapponese ed è anche il nome di un cartone nipponico molto popolare negli USA. “Una roba davvero diseducativa” spiegò Eric nel 1994, “contiene una quantità di sesso e violenza altissime ma è divertente”. La canzone ricalca con i suoi numerosi cambi di tempo, lo stile bizzarro del cartoon. I dialoghi che si ascoltano in sottofondo sono stati ripresi da una puntata ma poiché i responsabili della produzione del programma non permisero ai Testament di utilizzare gli originali, loro decisero di ricostruirli in studio. Le voci che sentite sono di Eric e di James (Murphy); “io faccio il giappo e lui il tedesco” disse il primo.
TRAILS OF TEARS
Nonostante le polemiche sul fare ballad a tutti i costi e il ritorno alla purezza brutale del thrash, i Testament senza Skolnick un altro lento in scaletta ce lo infilarono eccome. Una ballad che oggi non dispiace e che è dedicata agli indiani d’America. Forse nella classifica dei languidi Testament è all’ultima posizione, ma resta un buon brano nel contesto di Low e del 1994.
Low fu un parziale insuccesso, ma visti i presupposti altamente sfavorevoli, andò anche troppo bene. L’Atlantic decise di declassare il gruppo presso l’Europea Music For Nations. Uscì quindi un altro album dal vivo, Live At Fillmore, salutato dai recensori con sbadigli e sbuffi.
In effetti, con l’EP del 1993 il gruppo aveva totalizzato due dischi dal vivo in due anni, e la cosa vollero rimarcarla tutti quelli che lo recensirono… Chissà cosa avrebbero pensato degli Iron Maiden post duemila?
Nel live nuovo veniva ufficialmente presentato il drummer John Dette, batterista tra i peggio sincronizzati con la storia del metal, da un punto di vista esistenziale.
Dopo il live a Fillmore, John infatti tornò già a spasso e su Demonic c’era di nuovo Gene Hoglan.
E Demonic fu “l’album Death Metal dei Testament”, anche se non doveva nemmeno essere un disco della band, quasi ufficialmente scioltasi nel 1995.
Chiudiamo con una sbirciata al percorso artistico del trasfugo Skolnick post-1993. Uscì presto dai Savatage perché disse lui, “vivono in Florida e io sono in California. Inoltre, non avevo un ruolo nella scrittura e volevo un gruppo in cui non fossi solo il chitarrista”. La ripartenza di Alex dopo l’addio al metal furono gli Exhibit A, progetto funky, fusion, prog rock e quant’altro. Alex li portò in tour con i Savatage sperando di trovare un contratto, ma la cosa non andò mai.
Di seguito mise in piedi il tanto sollecitato progetto fusion/jazz/rock concretizzatosi prima nei Skol Patrol e poi negli Attention Deficit, ma senza grandi responsi. Insomma, gente, se prendete la pagina di wikipedia sulla fusion, troverete un elenco di nomi di musicisti rappresentativi di questo genere ma non c’è Alex Skolnick, chiaro?
La figura di Alex era stata grande finché era sembrata sprecarsi in un contesto qualitativamente inferiore alle sue doti spiccate. Aveva bisogno di quei Testament per apparire un fuoriclasse e fu per questo che tornò con la band negli anni 2000, senza però più dare l’impressione dell’usignolo nella gabbia delle quaglie.