la bellezza del demonio

I classici di Dylan Dog – La bellezza del demonio

La bellezza del demonio è forse uno degli albi più riusciti di tutta la serie e per quanto mi riguarda rappresenta un vero salto di qualità. Ci sono stati gli zombi del numero uno, i serial killer nel due, i licantropi nel terzo, i fantasmi nel quarto, le pandemie omicide nel quinto ed eccoci arrivati al mostro per eccellenza, il più temuto, schifato, desiderato e bistrattato di tutti gli incubi: satanasso medesimo.

La storia è scritta da Sclavi e disegnata da Gustavo Trigo, che con il suo stile fosco offre il giusto sapore noir a una vicenda che è horror solo in parte. L’albo è pubblicato nel 1987, fa il paio con il film Angel Heart di Alan Parker, uscito sempre lo stesso anno.

Dubito che Tiziano Sclavi pensasse al film con Rourke e De Niro ed escludo pure che conoscesse il bellissimo romanzo da cui è tratta la pellicola: Falling Angel di William Hjortsberg, uscito in Italia sempre nel 1987 ma pubblicato in lingua originale quasi dieci anni prima.

Però è un fatto che le due opere, Angel Heart e La bellezza del demonio, siano uscite a poca distanza l’una dall’altra e in entrambe si parla di Satana, investigatori privati con qualche debito da saldare e ascensori cigolanti, in toni a metà tra il noir classico e l’horror.

Certo, l’albo di Sclavi ha molti altri rimandi consapevoli e la somiglianza con questo film credo sia vaga, più che altro accidentale. Per cominciare La bellezza del demonio prende il titolo da un film di René Clement basato sul Faust di Goethe e tratta di un patto satanico.

La storia che coinvolge Dylan non esattamente su questo.

Sì, ci sono i diavoli, la vita eterna, la puzza di zolfo, ma quando si arriva in fondo, la spiegazione è molto diversa dal genere di cose che il pubblico è abituato a sentirsi dire e ispira tutta una visione infernale tipicamente sclaviana sulle dimensioni parallele che fino a qui non mi è capitato di scovare in nessun testo o film e che di conseguenza sarei quasi propenso a riconoscere la paternità pura a Tizianone bello de casa.

Di sicuro affiora più che mai l’ironia di Sclavi, che sguazza gagliardo in un contesto alla Philip Marlow, ovvero dove le battute sarcastiche e il cinismo sono il termometro su per il culo della storia.

Dylan Dog è assunto da un tipo che sostiene di essere molto anziano e sopravvissuto alla forca quarant’anni prima. Costui ha una gran voglia di ritrovare due vecchi “amici”: un ometto che lo assoldò come killer (e poi lo fece incastrare) e soprattutto una donna meravigliosa, vera causa della sua rovina.

Al contrario delle apparenze, il tipo non vuole regolar conti, ha intenzioni pacifiche. Quando Dylan inizia a scavare nel tempo però si rende conto che la faccenda è molto più pericolosa di quanto potesse sembrargli in un primo momento.

Fa sorridere tutta la serie di rimandi dei vari luoghi o i nomi dei personaggi, costante di Sclavi, ma che soprattutto all’inizio, è fin troppo esplicita. Chiamare un paesino della Scozia Undead è già abbastanza esagerato (vedi L’alba dei morti viventi) ma mettere nome a una diavolessa, Mala Behemoth è quasi insostenibile, sebbene sia quasi certo che il pubblico dylaniato del 1987 avesse sentito il nome Behemoth per la prima volta grazie a questa storia, scoprendo trattarsi di uno dei tanti nomi di Satana. Più esattamente questo nome è citato nella Bibbia per indicare una delle tre grandi creature mitologiche divine (le altre due sono il leviatano e lo ziz) e in alcune versioni del libro dei libri Behemoth è sostituito con Ippopotamo (sic).

Tornando ai nomi sibillini dell’albo numero 6 (66) c’è anche l’Hell’s Hotel ma oggi capitombolo dalla poltrona solo quando mi imbatto nell’indirizzo Heaven Road 666.

Anche per il numero 666, immagino che il pubblico non fosse così preparato a sentirlo nominare come ora, fan dei Maiden esclusi. Insomma, nel 1987 si imparavano un sacco di cose con Dylan Dog, e su questo non c’è dubbio: dalla simbologia satanica alle citazioni di Oscar Wilde.

Tra le curiosità si vede per la prima volta un’ispettore Bloch molto giovane e già dipendente dagli antiemetici e il personaggio del piccolo, viscido e ambiguo signor Oddbody (Clarence di nome, come l’angelo di La vita è meravigliosa di Frank Capra, altro film stracitato da Sclavi nella serie dei primi 100 numeri dell’indagatore) è il primo di una lunga galleria di figli morbosi nelle grinfie di autentiche madri mostro, come direbbe Paolo Di Orazio.

La necrofilia patetica che si cela dietro l’apparente morbosità affettuosa di una madre oppressiva verso il proprio figlio è un assaggio della reiterata concezione pessimista che Tiziano ha sempre espresso sull’idea di famiglia. Spesso i padri nelle storie di Dyd sono violenti, assassini, le madri tradiscono, soffocano, i figli subiscono e sfogano la propria sofferenza sul mondo fuori, pieno di altri figli abbandonati, maltrattati e delusi.

La bellezza del Demonio non è una storia sulle ombre del rapporto edipico madre-figlio, ma una volta finito di leggere l’albo è tra le cose che rimangono più impresse di Dylan Dog, anche se penso che dietro la scelta di tingere una madre in modo così orrendo ci sia l’influenza letteraria di King, più che una vera esperienza esistenziale da parte di Sclavi.

Tra i rimandi colti c’è la canzone Goodbye, Eddie, Goodbye di Paul Williams che Dylan ascolta mentre riflette sul caso. È tratta dalla colonna sonora de Il fantasma del palcoscenico di Brian De Palma, capolavoro di horror musical ispirato tanto per cambiare al Faust, ma anche a Dorian Grey e a Psycho di Hitchcock (di cui fa una divertente parodia nella scena della doccia). Nel finale poi, quando Dylan va a casa di Mala Behemoth, tra i cognomi degli inquilini del palazzo all’ingresso, ecco che troviamo il signor Conrad, il signor Stevenson, Burroughs e ancora Wilde, tutti scrittori e tutti un po’ sataneschi.