Il metallo senza capelli e senza futuro

Tornano i concerti, tornano i grandi festival estivi! Abubah! Stavolta sembra che ci siamo, eh, niente più annullamenti o interruzioni improvvise dei tour. Putin permettendo, of course. E guardando un po’ i bill sui cartelloni è chiaro l’andazzo revivalista di tutta la linea. Band storiche più o meno in reunion che suonano il disco più celebre e amato, per la gioia di un pubblico fuori forma e generalmente pelato nell’anima. Ci sono anche band che si tengono più larghe e dichiarano di suonare l’intero set del periodo old school (1983-1989). Parlandone con Marco Grosso ci è sembrato un po’ deprimente, sia perché io e lui non pensiamo che il meglio del metal, come di molte altre cose, sia alle spalle, ci rifiutiamo di crederlo, e sia perché questa resa così palese a dare al pubblico ciò che il pubblico vuole è indicativa di un momento davvero passivo per il genere.

Tutti proni, tutti juke-box con la monetina che va infilata nel culo.

Negli anni 90, vi ricordate, i gruppi se ne fregavano di fare le vecchie canzoni, imponevano alla platea i nuovi brani, magari diretti verso lidi creativi difficili da accettare. Il pubblico doveva adeguarsi, i Metallica, i Paradise Lost, i Queensryche, i Judas Priest, persino gli Helloween cambiavano suono, stile, rifiutavano di parlare del passato, e la gente doveva farsene una ragione, seguirli o mollarli.

Oggi sembra che i grandi gruppi, ormai spompi, routinari, arresi alla devastazione economica post-covid (ma non è che prima le cose andassero meglio) si presentano sul palco con in mano il proprio menù metallico e chiedono alla gente: cosa volete sentire? Abbiamo il demo del 1984 o magari ci mettiamo d’accordo con quell’altra band storica e riproponiamo tutto lo split che facemmo assieme nel 1986. Ci venite a vedere se facciamo questa cosa?

Mi viene in mente Biff Byford che negli ultimi decenni si diverte (ormai solo lui) a porre al pubblico la solita domanda: “volete un brano vecchio o uno nuovo?”

Il pubblico grida: vecchioooooou!

Byford sorride e annuisce. Già lo sa, la gente risponde sempre così e in scaletta infatti è previsto un titolo storico. La band parte a contare quattro e…

E tutti sono felici.

Ma c’è stato un tempo in cui anche il vecchio Biff se ne fregava del pubblico, e mai avrebbe rivolto alla gente una domanda simile. Erano gli anni in cui i Saxon, sotto la sua direzione cercarono di evolversi in una veste più, ehm, più radiofonica.

Ma allora non è che Byford se ne fregasse dei fan, se ne fregava solo di quelli vecchi, voleva liberarsi di loro e guardava avanti, in direzione di un’audience più vasta e remunerativa: quella americana.

Gli andò male e oggi lecca il culo ai vecchi fedelissimi che ancora gli pagano il giocattolo. Sarebbe pronto a suonargli solo il primo album, se lo volessero.

La verità infatti è che nemmeno negli anni 90 le band storiche avevano questa grande personalità e necessità creativa integerrima da fottersene delle bizzose proteste dei loro ascoltatori.

Se ne fregavano dei metallari perché si erano tutti illusi, dagli Exodus agli Amorphis, dai Motley Crue ai Celtic Frost, di fare il salto che erano riusciti a compiere i Metallica. Se ce l’hanno fatta loro, ci riusciremo anche noi. Ogni gruppo metal più o meno affermato e sotto contratto all’inizio degli anni 90, nell’intimo della sala prove, si disse questo. Anche se oggi i più non lo ammetterebbero mai per non fare la figura dei peracottari.

Tutto qui. Allora i gruppi seguirono il sogno delle classifiche, la terra promessa del grande mainstream, chi solo un po’ e chi spudoratamente, fino a rinnegare le chitarre e votarsi ai campionatori. Accidentalmente uscirono fuori grandi album perché se ci investi soldi, paghi i produttori in gamba, la musica buona esce comunque, ma la molla di base di band come Paradise Lost, Entombed, Napalm Death, non era l’integrità artistica e il bisogno di evolversi, non era la fuga da un sottogenere costipante. Volevano solo fare tutti la crana (detto con la voce di Crozza Razzi)

E non la fecero.

E tornarono via via indietro.

Oggi sono tutti lì con le panze e i giacchetti smanicati pieni di toppe che sanno di muffa, il crine scarseggia ma l’attitudine è così vecchia scuola che non sembra essere mai successo nulla di diverso, a vederli sul palco, dal 1982 o dal 1981, tranne il diabete.

Il metal è sempre stato questo qui. Cornine e attitudine. Come no?

E invece ancora una volta, seguono tutti i soldi, che sono pochissimi, ma ancora veri.

E il solo dané che è ancora possibile guadagnare è proprio quello del pubblico integralista, conservatore, nostalgico, che vuole ascoltare ancora una volta il vecchio album con la vecchia formazione. Quel pubblico che tra il 1991 e il 1996, le band metal schifavano, detestavano, fingevano di non conoscere per strada.

Oggi tutti fratelli di metal.

E tutti contenti.

Contenti voi. Per me è ben triste (direbbe Cinello) che il pubblico che foraggia (si fa per dire) il metallo di oggi, sia così impantanato ai lieti giorni prima dell’alopecia, come se una volta caduti i capelli, la testa non possa ormai produrre altre idee pilifere interessanti.

Ecco! Se le idee fossero capelli, e non me ne voglia il mio amico Marco Grosso, le pelate dei vecchi defenders sarebbero il teatro più esemplare della situazione che si presenta a guardare i bill in cartellone.