Ti West

X di Ti West e la perversione dell’arte

Ti West non girava un horror dal 2013, quando chiuse in bruttezza con The Sacrament, ispirato al Massacro in Guyana.  Un momento, The Sacrament a me era piaciuto, ma so che al tempo deluse un sacco di gente e ancora oggi c’è chi non vuole neanche sentirne parlare. Di sicuro c’è stato qualcosa in questi nove anni che ha bloccato e impedito a West di tornare al genere che ne ha rivelato il talento. Non ha smesso di lavorare. Ha diretto un western (Nella valle della violenza, 2016) e qualche episodio… ehm, ormai non si può più dire ” per la TV” dato che c’è lo streaming e quindi il cellulare, il portatile, il PC fisso, la TV sono tutte possibilità paritarie… (comunque ha diretto alcuni episodi delle serie Scream e Loop e via così).

Ma niente horror per il cinema. Come mai questa interruzione, gli è stato chiesto?

Risposta: aveva perso interesse per il genere, sentiva di aver fatto tutto ciò che desiderava, vale a dire una storia di spettri indie (The Innkeepers), un film satanesco (The House Of The Devil), un seguito commerciale in parte rinnegato (Cabin Fever 2) più  un trattato sugli estremismi del fanatismo religioso (The Sacrament, appunto).

Balle, Ti West aveva solo bisogno di tempo per ricaricarsi, distaccandosi dall’horror cinematografico e permettendo alla sua testa di ricominciare a percepire stimoli nella direzione oscura.

Il suo ritorno, che si intitola X, non è semplicemente uno slasher. Si tratta di un meditazione (Scream docet) sul genere slasher e horror, nonché del primo capitolo di un progetto meta-terrorifico molto più ambizioso da suddividersi in tre film distinti.

Ognuno di essi si ispirerà a un determinato sottogenere. X, che cronologicamente sarebbe la seconda parte della storia, è il primo atto concepito e compiuto. A seguire arriverà subito entro l’anno il prequel, girato in contemporanea con X e che si intitola Pearl. Poi il terzo capitolo per il 2023.

Non aspettatevi la stessa estetica southern di X, però. Pearl infatti spiegherà gli eventi che hanno portato alla carneficina, ma esteticamente si ispirerà a tutto un altro contesto cinematico, vale a dire i film colorati e melò di Douglas Sirk. A detta di Ti West, Pearl sarà “una versione horror di Mary Poppins”.

Il terzo capitolo, che seguirà cronologicamente le vicende raccontate in X, si ispirerà a un altra decade filmica codificata e appartenente al passato, ma non sappiamo ancora quale. Magari sarà un fac-simile di Nightmare 1 o Re-Animator 2. Boh!

L’intenzione di West è di mostrare come l’arte abbia ispirato e condizionato la fantasia umana sul piano storico-sociale. Dovrebbe voler dire che, se immaginiamo una storia violenta ambientata negli anni 70, la concepiremo già nella nostra testa usando la grammatica e la sintassi filmica del capolavoro di Tobe Hooper, per esempio. Così se racconteremo fatti risalenti agli anni 30-50, saranno William Wyler o Billy Wilder a rivestire le nostre visioni di colori, profondità di campo e colonne sonore melense.

X non è semplicemente una celebrazione dell’immaginario di un regista come Hooper (c’è anche il coccodrillo che si riallaccia al suo sottostimato Quel Motel in fondo alla palude) ma anche il tentativo di raccontare, così come ha provato a fare Tarantino con Once Upon A Time in Hollywood, un momento sismico della storia del Cinema: quando iniziò un nuovo tipo di fruizione dei film, indipendente e a domicilio, grazie a dei nuovi elettrodomestici tipo il videoregistratore. Una rivoluzione che avrebbe stravolto parecchi mercati e generi, primo fra tutti il porno.

E proprio di fare un porno si parla in X.

Una troupe all’osso affitta una casetta fuorimano da qualche parte del Texas, per girare in un paio di giorni un pornazzo da farci un sacco di soldi vendendolo direttamente al mercato home-video.

I proprietari della casa affittata per le riprese sono una decrepita coppia di campagnoli devoti a Dio ma con dei gravi problemi carnali. E una volta scoperto che le reali intenzioni degli affittuari sono di celebrare Satana nella loro devotissima proprietà, ecco i due veliardi decidono di far fuori la troupe in modo furioso e spietato, come piace al vecchio Geova.

Ora vi dico un paio di cose su X.

La prima è che mi è piaciuto. Da vecchio fan di un certo genere slasher anni 70 e maniaco della saga di Tobe Hooper e Kim Henkel, io l’ho trovato ingegnoso, intelligente e girato con gusto. In particolare Ti West restituisce al genere un elemento andato perduto nel corso degli anni: la paura.

Siamo chiari, lo slasher non è solo violenza, coltelli che fottono corpi e scream queens in fuga. Io ricordo bene un senso di malsana solitudo e di latente paura intorno alle figure degli assassini e dei luoghi dove lontane tragedie hanno rovinato la vita a qualcuno. Pensate a Sleepway Camp, a Curtains, Jolly Killer, i primi due Venerdì 13 e soprattutto Black Christmas.

Questi film non erano solo pieni di sangue, tette e ammazzamenti fantasiosi, ma suscitavano un turbamento sotterraneo, più profondo e intimo. Per dire, ripensate con me al finale del film di Bob Clark e ditemi se la prima volta che l’avete visto siete poi riusciti ad andare a letto con il cuore leggero. Io no. Dormii male, con uno strano pizzicore alla schiena.

In X il personaggio della vecchia Pearl (interpretato da Mia Goth in doppio ruolo con quello della porno-attrice arrivista Maxime Minx) è davvero inquietante e non è un caso che Ti e lei abbiano deciso di dedicare un intero film a questa anziana signora con irrefrenabili pulsioni malandrine.

Vecchia sì, ti chiameranno vecchia e avrai ancora voglia di scopare il mondo. Come farai?

Beh, a dire il vero non c’è solo Tobe Hooper alla base di X. I due anziani assassini arrivano dall’universo malato di Pete Walker, n’est pas?

E qui andiamo alla seconda cosa che vi voglio dire.

Ho apprezzato X perché so un sacco di cose sul genere slasher e sull’horror anni 70. Frequento questi tropi da tanti anni e sono in grado di capire gli effettivi meriti di West e il suo revivalismo ragionato. Lui ha deciso di giocare a scattarella col pubblico e in più di un’occasione ha avuto la meglio, almeno su di me. Potevo sentirmi smaliziato come mi pare, ma X mi ha infilato la palla sotto il culo.

Ma il punto è proprio qui. Se non me ne fregasse nulla degli slasher d’annata e tantomeno di tutto il meta-pippone di West sul porno in casa, Tobe Hooper eccetera, apprezzerei comunque X?

Io penso di ni.

Non saprei proprio. Sono troppo condizionato dal mio background per riuscire a vedere X con gli occhi di una verginella.

Di sicuro il lavoro sui personaggi è sopra la media. La candida puttanella Lorraine (Jenna Ortega), la disinibitissima Bobby-Lynne (Brittany Snow), il super-dotato nero Kid Cudi (Scott Mescudi) e l’artista frustrato RJ (Owen Campbell) non sono i classici, odiosi, adolescenti meritevoli di essere fatti a pezzi dal bruto mascherato di turno.

Sanno di persone vere.

E lasciatemi dire una cosa. Il film di West sembra un furto al cassetto dei progetti di Rob Zombie. X è proprio il tipo di cose che farabutte concepite da lui. Ma Zombie non sarebbe riuscito a mostrare la realizzazione del film porno senza esagerare con quintali di volgarità surreali. West ha una misura che Rob non sa proprio dove stia e si vede. Le scene spinte sono girate bene, in modo realistico ma senza risultare fastidiose. E sono inquietanti pure quelle.

Perché?

Il sesso spaventa quanto il gore, se non di più.

Pensate agli occhi di Lorraine, che è lì per tenere il microfono, occuparsi dei suoni di scena e intonarsi con la tappezzeria.

Lei studia affascinata i corpi degli attori. Ci danno dentro e mentre lo fanno e rifanno, la ragazzetta matura una fascinazione per ciò che vede, che fatica a tenerla nascosta al suo ragazzo, RJ, che è il regista del film.

Alla fine Lorraine scatena un dibattito che coinvolge l’intera troupe, partendo da una domanda che pone tutta d’un fiato, e che sembra giudicare e condannare le relazioni aperte degli attori e del produttore ma solo in apparenza.

In pratica, Wayne Gilroy (Martin Henderson) ci mette i soldi e sta con Maxime, che scopa insieme a Kid Cudi davanti a lui. Come riesce a gestire questa cosa, domanda Lorraine?

Maxime e Bobby-Lynne si sentono piccate e rispondono subito che il sesso è una cosa da vivere liberamente.

“Il cuore è di chi vuoi, ma l’attrazione sessuale non puoi controllarla” le dice Maxime.

RJ, il fidanzato regista, guarda con sufficienza la povera Lorraine. Lei è rassicurante per lui, perché è ingenua, repressa e su misura per l’ombra di un ambizioso creativo in ascesa. Ovvero lui, il regista, l’autore, il genio destinato a lasciare un segno nel mondo del cinema, anche se partendo da un porno indie.

RJ le dice che “la finzione è finzione. Un film non è la realtà, capisci tesoro?”

Lorraine annuisce pensierosa. Tace per un po’ e dopo bum: propone di partecipare alle riprese.

Nonostante le vaghe obiezioni di RJ lei va fino in fondo. Fa sesso davanti alla cinepresa con il negro superdotato Kid Cudi. E il suo ragazzo la filma mentre un crescente senso di nausea gli monta dentro, fino a esplodergli nel cuore durante la notte.

Questo è il punto davvero interessante di X, quasi da portarci fuori dal sentiero rassicurante che ci aspettavamo di percorrere ancora una volta, come pubblico avvezzo agli slasher: gli assassini in agguato e il bodycounting che inizia da un momento all’altro e…

Ed RJ invece è sconvolto. Piange sotto la doccia mentre Lorraine dorme il sonno dei giusti nel letto a due piazze. La sua Lorraine, così innocua, si è rivelata un puttanone scatenato. Probabilmente ha eiaculato in gloria alla faccia sua, a cavalcioni del biscione di Kid Cudi mentre lui ha visto sbriciolarsi da dentro l’obiettivo il suo sogno di riscossa cinematografica.

RJ, come la mettiamo ora con la distinzione tra finto e vero? Tra Cinema e vita?

Peccato che lo slasher imponga la solita trafila di omicidi e sangue a schizzo, perché la vicenda di RJ e Lorraine è spazzata via in pochi minuti. Così come il bel pezzo di cinema videoclipparo all’interno del film, il duetto chitarra voce tra Kid e Bobby-Lyne. in un fugace ricordo di un cinema che allarga le braccia e inspira forte prima di ricacciarsi nel tugurio creativo con cui ha scelto di compiacersi e compiacere lo spettatorio.

E torno a chiedermi se non sia soltanto la mia dimestichezza con gli slasher a farmi piacere l’ultimo film di Ti West.

Cosa penserebbe mio padre di una roba del genere?

Che piacere, se mai, proverebbe a vedere X?

Se il film fosse davvero arte, direbbe Tolstoj, piacerebbe anche a lui. Piacerebbe alla mia ragazza, che di slasher ne sa poco e quel poco per lei è anche troppo.

E invece piace solo a me e a quelli come me, così viziati da visioni e visioni dello stesso sostanziale canovaccio ripetuto in centinaia di sfumature diverse, da avermi reso perverso, esattamente come quest’arte che si rimira e si rigenera da se stessa.

Quest’arte si nutre di fantasie congelate. Non attinge più dalla fonte primaria, fresca e nutriente: vale a dire la realtà.

Non aprite quella porta catturò un po’ di vero in quelle lande texane. Hooper e la giovane troupe fu così determinata ma soffrì davvero il caldo, la puzza, la desolazione dentro e intorno alla casa della famiglia Sawyer.

X ricostruisce quel vero a modino, come dicono a Livorno, rimasticando insieme a noi la visione ormai cristallizzata nei secoli dell’incubo di di Tobe Hooper e Henkel.

Tanto più che X non è nemmeno girato in Texas ma in Nuova Zelanda, per dire.