EYEHATEGOD – UNA FACCENDA PIUTTOSTO COMPLICATA
Sapete cosa mi intriga degli EyeHateGod? Dietro la loro musica non c’è un omicidio rituale, chiese bruciate o rapine a mano armata per sovvenzionare qualche gruppo terrorista volto al ripristino della razza bianca. C’è giusto un decesso, ma in circostanze piuttosto ordinarie. Del resto sono poche le band, con almeno 30 anni di carriera, che non abbiano un defunto sul groppone.
Eppure non mi viene in mente una band metal storica più estrema e sovversiva degli EyeHateGod. Vi basta ascoltare uno qualsiasi dei loro album, un pezzo a caso e vi renderete presto conto che, tolta una progressiva pulizia del suono, restano sempre gli stessi indigesti figli di puttana che abbiate mai ascoltato.
Non c’è nulla che si possa ricondurre al normale sistema di valori con cui un critico (o un ascoltatore medio) solitamente decide se una cosa sia bella o no; o nello specifico se un disco metal sia fico o meno.
CAPITOLO 1 – MUSICA COME MERDA COME PIOVESSE
La musica degli EyeHateGod è fa schifo e sa di far schifo. È come un quadro di cose informi tracciate a mani nude con la merda di un cane malato di cirrosi: puzza e fa vomitare più ci si avvicina. E quello che conferma quanto detto sopra, vale a dire il sistema di valori condiviso, è che, sebbene io stia dicendo tante cose brutte sugli EyeHateGod, per il vero gli sto facendo i complimenti, perché è esattamente ciò che loro vorrebbero sentirsi dire.
Il metal estremo è nato per condurre al massimo possibile i giri di un vecchio e indistruttibile motore che molte band avevano già spinto parecchio a manetta lungo strade cosparse d’olio e benzina. Quando sono arrivati Napalm Death e Morbid Angel, Carcass e Mayhem molti di noi sono inorriditi e non ne hanno voluto sapere, altri invece sono riusciti a scovare, nell’esasperazione di quelle esasperate proposte, una specie di commestibilità.
Il Black Metal dei Darkthrone non voleva essere “carino” e nemmeno “accettabile”. A pensarci bene, gli EyeHateGod partirono nella stessa direzione di Fenriz e ottennero i medesimi risultati repulsivi e di osticità cementizia, ma senza avere nulla a che fare con la Norvegia.
Jimmy Bower: “Eravamo conosciuti per essere tipo “Fuck Speed Metal”. Aprivamo per una band Speed Metal come Exhorder o New Religion di fronte a un migliaio di persone e Mike creava i suoi volantini che dicevano: “EyeHateGod ospite speciale: A Very Nice, Talented Metal Band!!!” Stavamo prendendo in giro tutti al principio, ma eravamo anche amici di gente come Exhorder e così via. Eravamo un po’ come i clown della classe di tutta la scena. A New Orleans a quel tempo, la gente ancora ci considerava un scherzo. Anche se avevamo un album in uscita, la gente non ci dava nessuna possibilità. Ricordo di aver passato una cassetta a Phil Anselmo e Pepper Keenan, e loro mi hanno detto: “Che cazzo, amico? Pensavamo che fosse tutta una barzelletta”.
Uno scherzo di band ma con un nome davvero minaccioso e terribile. Anche lì però la scelta è dettata dall’ispirazione cazzona volta a dar fastidio alla gente e suscitare reazioni grottesche, quasi quanto la storia che c’è dietro al nome stesso.
L’idea è venuta al cantante originale del gruppo, Chris Hilliard, una notte del 1987.
E che ci crediate o no, questo tizio, che aveva tutto uno strano concetto sull’occhio di Dio che ti osserva e disprezza i tuoi vizi e altri vaneggiamenti da Bible Belt americana, beh, lui a un certo punto ha avuto un esaurimento nervoso ed è diventato cristiano rinato.
“Tutto questo praticamente dopo aver inventato il nome EyeHateGod” dice Jimmy Bower sghignazzandoci su. “La band era originariamente chiamata The Eyehategod, esattamente come nel primo album dei Pink Floyd, c’era scritto The Pink Floyd”, puntualizza.
Mike IX Williams: “Iniziammo nel 1988 a farci sentire in giro. Il pubblico che ci sentiva era principalmente composto di thrashers e il nome che ci eravamo messi li mandava tutti fuori di testa. Ci odiavamo e spesso finivamo i concerti in risse e persone che lanciavano cose. Ma questo ci piaceva, volevamo provocare una reazione, quale che fosse”.
Gli EyeHateGod comunque se ne sono sempre fregati della filosofia Black Metal. Loro vivono a New Orleans, dove il pubblico in fissa col metal non è mai stato molto. C’era già alla fine degli anni 80 una piccola scena piuttosto unita, ma non è che la gente impazzisse a sentirne suonare gli esponenti. Via via che passava il tempo però, Jimmy, Mike e gli altri, si ritrovarono a fare sul serio, fino a comprendere che non c’era stato mai proprio un cazzo da ridere.
“E per la verità è così” dice Jimmy, “nessuno ha mai riso molto degli EyeHateGod. I più inorridivano e fuggivano via. Altri accusavano e insultavano e noi ce la godevamo così. Nel mentre però ci ammalavamo della cosa che avevamo creato, fino a non poterne più venir via sani e salvi”.
Fatemi spiegare una cosa, innanzitutto. Non è mai stato possibile sentire un disco degli EyeHateGod come un qualsiasi album metal. Non esiste che vi mettiate seduti con le cuffie in testa, spingiate play e tiriate avanti per un’ora senza mai fermarvi. Vi prenderà davvero a male. Non c’è nulla a cui possiate aggrapparvi, capite? Non una melodia, un assolo, un riff particolarmente significativo. A forza di ascoltare e riascoltare dischi come Dopesick famigliarizzerete con qualcosa qui e lì, ma l’insieme risulterà sempre ostile, come un vecchio cane pieno di cicatrici che vi abbaierà contro fino all’ultima scorreggia rimastagli nell’intestino, nonostante voi gli lanciate biscotti e salsicce.
E a parte l’origine del nome (bellissimo), quello che mi interessa è capire come sia nato il sound.
“Non è difficile” spiega Jimmy. “In pratica parte tutto con il disco dei Black Flag. Non il primo, quello adorato dai fighetti dell’Hardcore . È il secondo che dico, My War, l’album che fece incazzare i fans e i detrattori insieme, soprattutto chi stravedeva per i Black Flag e l’Hardcore prima maniera”.
E mentre nel circuito fanzinaro storcevano il naso occhialuto dicendo che i Black Flag di My War parevano la versione incapace degli Iron Maiden, Buzz Osbourne si innamorò di quel disco e rallentò il battito forsennato del suo gruppo.
“Giusto” dice Bower, “E My War in aggiunta al primo album dei Melvins, che si intitola Gluey Porch Treatments, sono da sempre stati la ricetta per creare il suono degli EyeHateGod. Amen”
Gluey… non è mai stato questo granché per il normale pubblico rock e metal, ma alcuni ragazzini di New Orleans subito impazzirono a sentirlo. C’era l’attitudine cruenta dei Flag rallentata al ritmo dei primi Black Sabbath. Ed è da qui che gli EyeHateGod partirono per la loro strada.
Da qui arriviamo ai maledettissimi feedback.
Allora, chi suona una chitarra elettrica sa cosa significhi avere un jack difettoso. In base a come ti muovi senti questo fischio dolorosissimo che ti scortica la corteccia cerebrale. Puoi ottenerlo anche se stai troppo vicino all’amplificatore. Non è una cosa tanto carina come i feedback di cui parlano gli esperti di marketing della cazzo di rete.
Ebbene, gli EyeHateGod, trasformarono i feedback della chitarra in una specie di orchestrazione infernale a sostegno delle proprie schifezze mentali.
La faccenda dei feedback non è sempre uguale. Anch’essi nel corso degli anni, così come il berciato di Mike IX, si sono evoluti. Potete sentire cosa diventano nel quarto album, Confederacy Of Ruined Lives: nello specifico la traccia intitolata 0.001%. Non si tratta solo di questi fischi che fanno capolino prima e dopo un brano, ma è una specie di coro gregoriano alieno fatto di feedback.
Non c’è niente di piacevole o divertente nei feedback. Sono sgradevolissimi, esattamente come gli EyeHateGod. Esattamente come la vita quando non riusciamo a sfuggire alle grinfie della noia e alle tenaglie del dolore esistenziale.
CAPITOLO 2 – LA NOIA
Andando in cerca di recensioni e interviste sulla stampa specializzata italiana, mi sono accorto che:
1 – non ci sono mai state interviste agli EyeHateGod, almeno fino al 2000, vale a dire la parte di carriera più significativa.
2 – a proposito delle due sole recensioni riesumate (una su HM e una su Metal Shock) sembra di leggere qualcuno che prova a descrivervi non troppo negativamente un film porno tra un cavallo e una donna.
LC, che ora mi pesa il culo a capire chi sia, scrive su HM del 1992 a proposito di In The Name Of Suffering:
“Gli Eye Hate God (scritto staccato) sanno essere profondamente soporiferi, come sanno essere maldestramente pungenti”
Soporiferi. La noia è dolore. Ci sono un’infinità di gruppi che giocano a fare la parte del nemico del buon gusto. Trattano tematiche irriferibili, “blurpano” e ruttano e usano suoni tremendi, ma hanno tutti paura a risultare noiosi. E invece è proprio la noia quella cosa che il mondo teme di più. L’inferno ci spaventa ma lo immaginiamo in mille modi tranne che noioso. E se invece l’inferno fosse solo questo: una lunga partita a bridge incatenati per sempre a un tavolo con dei vecchietti arabi che non capiscono la nostra lingua?
Gli EyeHateGod ci fanno male, sono “fisicamente dolorosi” ma soprattutto ci lasciano a galla in una mota distorta con brutte copie dei riff più scontati di Tony Iommi. Mike IX è solo uno che urla cose incomprensibili al microfono. Non è uno che canta male per scelta stilistica, non lo sa fare per niente.
È un grande paroliere però, questo sì. C’è Jimmy Bower che ancora ricorda con meraviglia di quando, durante le registrazioni del secondo album, Take As Needed For Pain, a un certo punto Mike prese il microfono e in un breve interludio di due minuti, intitolato a posteriori Who Gave Her The Roses improvvisa tutto un monologo senza che gli altri se lo aspettassero e probabilmente nemmeno lui.
Leggete qui che roba:
“…si mise altro rossetto, le sue lacrime si mischiarono con l’urina che le inzuppava la bocca e il petto, attraverso le mutandine bianche tirate di lato. Amo il suo cuore così come il suo piscio caldo e i tagli e i lividi sul suo corpo, i punti sono necessari in questo santo giorno del terzo di nove anni”.
Capite da soli che Mike IX ha portato prima di chiunque altro William Burroughs, Charles Manson e Hank Bukowski nel metal, alla faccia dei fedelissimi di Tolkien e Hitler, Lovecraft e gli anonimi cantastorie con la pancia piena di kartoffeln.
Soprattutto è il crooner dell’overdose e del barbonismo. E non è tanto per dire. Oltre ad aver avuto la consueta dipendenza tossica da spappolargli il fegato, sostituito di recente, non è un segreto che Mike IX sia vissuto proprio per strada in alcuni momenti della sua vita.
“Eccome” racconta lui, “ero stato cacciato di casa da un’ex fidanzata e vivevo per strada nel quartiere francese. Ero in tutto e per tutto un senzatetto mentre registravamo il secondo album Dopesick. Stavo a casa della gente ogni tanto, e qualche volta mi fermavo a dormire sopra questo strip club di Bourbon Street chiamato Big Daddy’s. C’erano degli orribili, orribili piccoli appartamenti lassù e io…
Mike non aveva una casa, ma al tempo di Dopesick, che è il terzo album della band, si spostava in giro con… un’ambulanza???
“Sì, l’ho comprata usata dai genitori di una mia vecchia amica. Me la vendettero per tipo 500 dollari. Non li ho mai pagati per intero quei soldi e alla fine ho dovuto restituire loro l’ambulanza. Ho guidato quella cosa per alcuni mesi e ci dormivo anche dentro, ogni tanto. Caricavo dietro un certo numero di persone e andavamo in giro per la città. Sono sorpreso di non essermici mai schiantato”.
CAPITOLO 3 – I DOMINATORI DELLO SLUDGE METAL
Cos’è lo Sludge Metal?
Allora, tecnicamente è Doom Metal con la voce Hardcore. Non ricordo da che parte ho letto questa definizione ma è la cosa più netta e chiarificatrice che abbia trovato. I Crowbar sono Sludge Metal e a quanto pare lo sarebbero anche di più gli EyeHateGod.
Ovviamente loro non si riconoscono molto in questa etichetta. Le vecchie band non si sono mai sentite proprio agio con le etichette inventate dai giornalisti, e non si trattava di una civetteria. Alla fine si arrendevano e le accettavano (anche perché dopo decenni di polemiche blande, le riviste e le zine continuano ancora a usarle) ma i gruppi storici e quelli dello Sludge in particolare non si sono mai identificati con una parola che significa “fango”, anche perché sentivano di doversi tenere più larghi possibile e pensare a bonificare di note un’intera palude.
“Se dovessi descrivere in due sole parole la nostra musica a qualcuno che non l’ha mai ascoltata gli direi Hardcore Blues”, dice Jimmy Bower. “Per me invece è solo Rock N’ Roll” aggiunge Mike, “solo un’altra forma di Rock N’ Roll e basta”.
Capite? Rock N’ Roll (detto con la voce impastata di Ozzy).
Anche Lemmy definiva i Motorhead così. Rock e Roll.
I gruppi del passato non ci stavano troppo a pensare. Non sapevano dove e come sarebbero andati; un timbro di appartenenza a una sotto-categoria gli metteva l’ansia. Erano sempre in cerca di stimoli. Venivano dagli insegnamenti dei Queen, dei King Crimson, gente mai ferma sul posto per più di un album.
Le nuove band hanno capito bene invece la questione della settorializzazione e di quanto possa essere vincente un’etichetta efficace e suggestiva. Ecco perché ne creano da subito di proprie nella speranza di poterle diffondere da soli tra il pubblico e ideare un piccolo brand rivendicabile. Djent Metal è un’invenzione dei Meshuggah. Viking Metal dovrebbero averla tirata fuori gli Amon Amarth, se non sbaglio, e via così.
Ma torniamo agli EyeHateGod. Momento divertente.
Mike: “Una volta, credo in Canada, la polizia ci fermò. Dissero che c’era un tizio ricercato di nome Michael Williams. Si chiamava come me, è giusto ma non ero io, chiaro? Si trattava di un caso di omonimia. Tanto più che venne subito fuori che non eravamo nemmeno della stessa razza. Lui era un nero o un ispanico. Comunque i piedipiatti ci portarono lo stesso dentro, prendendosi tempo per controllare il nostro furgone. Ci presero i passaporti e poi li vedemmo cercare su google “Eyehategod”.
Dopo un po’ scoppiarono a ridere. Noi eravamo tipo, “Oh merda… almeno stanno ridendo”. Uno dei poliziotti si avvicinò a me e disse: “Ragazzo, lascia che ti faccia una domanda… ma c’era proprio bisogno di “Sisterfucker Part II?” Quella volta finimmo per ridere tutti quanti, è fu un sollievo perché poco dopo ci lasciarono andare”.
Sister Fucker è un classico della band, certo. E al riguardo Jimmy ci dice: “Io e Mark Schulz, il vecchio chitarrista, abbiamo scritto “White Nigger” e “Sister Fucker” in circa 10 minuti. Voglio dire, quelle canzoni non sono un intervento chirurgico al cervello, ma per gli Eyehategod erano buone canzoni rispetto al primo disco, che era molto più disastroso”.
Ora non starei qui a parlarvi degli EyeHateGod se alla fine non abbia scorto un certo fascino da qualche parte nelle tracklist di Dopesick o di Take As Needed… ma non è la musica in se stessa. Posso ascoltare quei pezzi anche mille volte (e vi garantisco che ci ho passato moltissimo tempo) senza riuscire a ricordare quasi nulla.
Sono la versione ragionata di un continuo invito a lasciare la sala. Col tempo la gente ha smesso di tirare chiavi inglesi al gruppo sul palco e considerarli degli scemi sfigati per la semplice ragione che se tu sei un pazzo, ma riesci a tirare avanti da pazzo per oltre 30 anni, il mondo finirà col rispettarti, qualsiasi cosa tu abbia fatto in quei trent’anni da pazzo.
Per dire, Dopesick oggi è considerato un classico ma allora su Metal Shock scrissero:
“Trovare qualcosa di consistente in un prodotto così è veramente un’impresa”
E avevano ragione. Non voglio dire che con gli anni la musica di quel disco sia migliorata e si sia schiusa alla mente delle nuove generazioni. Oggi come ieri ascoltare quei pezzi è sempre un’agonia, ma è cambiato il contesto attorno. Non c’è più la rigidità di un tempo. Altrimenti non si spiegherebbe il successo recente degli Electric Wizard, i quali ai giorni dei primi EyeHateGod erano sbertucciati dagli stessi recensori che pazziavano per i Neurosis.
I primi album degli EyeHateGod (e dicendo questo corro il rischio di essere accoltellato da qualche derelitto acustico” sono strutturalmente mediocri. Però fanno la schiuma, capite che intendo?
Dentro c’è un cuore che sborra fiele infettivo ed è ammirevole sentire questo malsano livore per l’universo protrarsi fuori da un disco d’esordio. In The Name Of Suffering, è riconosciuto persino dal gruppo stesso come “la porcheria di un pugno di ingenui ragazzini che nemmeno sapevano dove si trovassero quando lo registrarono”.
Ma non è che il secondo lavoro, Take As Needed For Pain, avesse chissà quali differenze con il suo predecessore al catramato lessato in salamoia. Sicuramente è registrato meglio e suonato meglio, ma la sbobba è sempre quella.
Sbobba sabbathica. L’album urla come se stessero tagliando le palle a Henry Rollins e qualcuno prima di fuggire per non fare la stessa fine, avesse gettato le chitarre addosso agli ampli senza abbassare i volumi, quindi si sentono fischi qui e là mentre Henry muore dissanguato.
Questo stress continuo è scandito in capitoli folli dai titoli irresistibili come appunto White Nigger, Sister Fucker, Disturbance e via così.
Ma se tu prendi delle feci fumanti e le chiudi in un bel barattolo dandogli un titolo fuori, nessuno potrà dirti che sono semplicemente delle feci.
Gli EyeHateGod probabilmente conoscevano il Piero Manzoni (no, non quello dei Promessi sposi, ma quello assai più ganzo di “Merda d’artista”) e non è un caso che tutti si siano sempre sperticati a dir bene delle “suggestive” copertine dei dischi del gruppo.
Sono bellissimi collage, specie quelle dei primi lavori, che riescono a mescolare malattia, romanticismo e qualcosa che puzza di vecchia latrina, tutto insieme. Osservi gli artwork e pensi, è roba insana, però ti commuovi perché c’è anche bellezza.
In particolare il discorso che sto facendo riguarda la cover di Take As Needed e c’è un divertente aneddoto che riguarda Jodie Foster. Continuate a leggere se vi interessa.
“La foto della ragazza è di Jan Saudek, un fotografo/pittore davvero eccezionale. So che Rorschach e Soul Asylum hanno usati anche loro qualcosa di suo. Ma non abbiamo ottenuto il permesso o altro, quindi spero che non venga a cercarci. Immagino che avessimo pensato che non l’avrebbe mai visto. Quando l’abbiamo presentato, la Century Media è andata fuori di testa perché pensavano che fosse Jodie Foster. La cosa divertente è che, una volta capito che non era lei, nessuno si preoccupò di ottenere i diritti per usarla come copertina del disco”. Mike IX
“Siamo andati in California” dice Bower “e Oliver Withoft, proprietario dell’etichetta, ci ha portato nel suo ufficio e ha detto: “State cercando di farmi citare in giudizio?” Eravamo tipo, “Di che cazzo stai parlando, amico?”. E lui: “Come osate mettere Jodie Foster sulla copertina del disco?”
E noi, “ma quella non è Jodie Foster. La foto è degli anni ’50. Allora lui ci ha urlato contro di sparire dalla sua vista. Ricordo che aveva anche una macchina per l’air hockey, e la lanciò addosso al muro. Viene da ridere a ripensarci ma litigammo così tanto con la Century Media, in quegli anni”.
“Lo so che abbiamo rilasciato circa 80.000 interviste in cui abbiamo detto “La Century Media fa schifo” dice Mike, “ma eravamo come un fottuto ragazzino degenerato che dà problemi ai suoi genitori. Comunque le altre foto sulla copertina di Take As Needed For Pain erano tratte da un folle manuale medico. Amo i vecchi libri di medicina in bianco e nero. Ho avuto l’idea dai Discharge: le loro copertine erano tutte vecchie foto di guerra, ma io ci volevo mettere cose mediche. Le vecchie cover degli SPK, tipo Leichenschrei e Auto Da Fe, avevano tutto quel bianco e nero. Penso che ti colpisca più forte del colore. Ho collezionato vecchie foto come quella della copertina di Take As… per anni, e ho fatto quel tipo di collage prima ancora di avere una band con un disco in uscita. Andavo in biblioteca per ore e mi metteva a cercare vecchie foto. La foto della ragazza sulla quarta di copertina, non so dove l’ho presa, ma sembra così triste, no? E quello che mi piace è che non è nemmeno in bianco e nero; è quel tono seppia. Sembra che sia a un matrimonio orribile o a un funerale ancora peggiore”.
Ed eccoci alla fine. Magari penserete che questo pezzo necessiti una conclusione o che, peggio, debba ancora trattare tante cose, tipo l’incidente di Mike IX durante e dopo l’uragano Katrina o vi aspettate che io, con la mia penna acuminata scenda più a fondo nella faccenda degli scazzi trentennali con la Century Media, ma temo di non essere d’accordo con voi e chiudo qui.