SOILENT GREEN – UNA BAND MORTA MALE

Per prima cosa devo specificare che non sono un ammiratore dei Soilent Green. Alcuni aspetti della loro musica mi lasciano per così dire, perplesso. Da scrittore però trovo la vicenda di questa band piuttosto stimolante e del resto, non so voi ma io non scrivo solo di quello che mi appassiona, il più delle volte scrivo di quello che mi fa pensare. Ogni band ha una storia e ogni storia mi permette di capire delle cose.
I Soilent Green non sono famosi in Italia. Ho cercato in quasi quarant’anni di archivio giornalistico specializzato o meno e non ho trovato una misera intervistina di mezza pagina. Probabilmente, cercando bene, recupererei qualche recensione; in fondo sono usciti per la Relapse e la Metal Blade, ma non ci perdo neanche tempo.

Non mi sorprende questo disinteresse considerando il genere modernario che hanno sempre praticato. Però alcuni pezzi grossi hanno fatto parte di questo gruppo: Brian Patton degli EyeHateGod è sempre rimasto nella line-up ufficiale e inoltre, dalla loro costola sono poi spuntati fuori i più acclamati Goatwhore.

Mi stupisce però che siano stati ignorati dalle riviste “nonostante” la loro Storia.

La storia dei Soilent Green, giornalisticamente è davvero ghiotta. Ci sono incidenti più o meno mortali, omicidi e suicidi. Non siamo ai livelli dei MayheM, ovviamente, ma solo perché questi ultimi hanno mescolato disgrazie, violenza e musica insieme.

I Soilent Green sono soltanto stati molto sfortunati, ammesso che crediate alla sfortuna come una forza estranea all’uomo e non un altro modo per scaricare la responsabilità all’esterno invece di assumersi la responsabilità delle proprie sciocche azioni.

CAPITOLO 1 – GLI INIZI

Cercherò di essere un po’ più didascalico per questo articolo, visto che nemmeno in rete, nella nostra lingua c’è molto sui Soilent Green. Cominciamo con un po’ di dati. Nascono nel 1988 a New Orleans ma riescono a incidere un vero album solo sette anni più tardi.

Durante questo periodo di crescita “pasturano” nell’underground, subendo i prevedibili assestamenti di line-up: un paio di cambi, rispetto alla formazione iniziale, al basso Scott Williams prende il posto di Marcel Trenchard e alla voce, Ben Falgoust II sostituisce Glenn Rambo.

Per la verità, i primi anni di carriera dei Soilent Green non sono stati costellati di morti e disgrazie e il gruppo sembrerebbe quasi predestinato a far carriera. Dopo l’uscita del promettente Pussysoul (1995) la band pubblica il buon EP A String Of Lies e quello che è considerato l’album migliore, Sewn Mouth Secrets (1998).

Il Rolling Stone americano li mette inaspettatamente in una classifica dei dieci gruppi metal più fichi in circolazione, ignettando un’ulteriore siringata di interesse intorno al gruppo. Ma poco prima che esca A Deleted Symphony For The Beaten Down, nel 2001, le cose cominciano a scivolare in una fogna profondissima.

Eccovi una cronologia:

2001: Il 4 dicembre Brian Patton e Scott Williams hanno un incidente terribile ma riescono entrambi a salvarsi.

2002: Incidente d’auto ancora più grave per Ben Falgoust: frattura delle gambe, caviglie e tallone sinistro. È messo così male che i medici gli dicono, “scordati di camminare”. Non è andata proprio in questo modo, Ben è ancora in piedi e scalcia più di prima sui palchi con i Goatwhore, ma il cantante ha ammesso di non poter più correre granché da allora.

2003-2005: Ecco le botte più grosse, anche se a ben guardare sono capitate a due membri ormai fuori dalla band. Scott Williams è ucciso dal coinquilino, che poi si ammazza pure lui. Glenn Rambo, il primo cantante del gruppo, non sopravvive all’uragano Katrina.

Ovvio che in tutto questo gran casino di morti e menomazioni, la band ha rallentato un po’ il passo, anche se sono usciti altri due dischi: uno nel 2005 (Confrontation) e uno nel 2008 (Inevitable Collapse In The Presence Of Convinction), entrambi prodotti da Erik Rutan.
A detta della band, tra tutti i produttori avuti (3 diversi su cinque dischi) lui è stato il migliore.

E da qui devo addentrarmi un po’ nella loro discografia. Per quanto mi riguarda, la prima parte sembra quella con uno slancio e una freschezza maggiori. Forse i primi due album sono davvero i più riusciti, mentre gli altri tre mantengono un livello di qualità buono, senza però aggiungere granché all’insieme.

I Soilent Green hanno sempre mescolato due sottogeneri. Lo sludge-core e il death-grind, che a voler essere pignoli sono entrambi la fusione di altri due sottogeneri.

Da lì non si sono mai mossi davvero, pur offrendo una versione abbastanza personale e ispirata di queste commistioni.

La cosa che più mi ha colpito, e non mi permetto di dire che siano loro gli unici ad aver praticato una soluzione così esasperata ed estrema, è che le strutture dei pezzi non hanno ripetizioni di alcun genere. Iniziano e vanno avanti senza mai voltarsi indietro. Si comincia da un Riff A e si prosegue con un altro B e C e così via fino al G o H. Poi tutto finisce e questo c’è per altri quaranta minuti di parti montate assieme e proposte una sola volta.

Non so voi ma io mi smarrisco e mi annoio ad ascoltare strutture senza ripetizioni, ritornelli eccetera. Il mio cervello non è in grado di mantenersi attento davanti a uno zapping continuo di idee anche interessanti, belle, ispirate, ma che non si ripetono mai.

Se i Soilent Green avessero optato per una struttura più classica, così come hanno fatto i Crowbar, i Pantera e persino gli EyeHateGod, probabilmente avrebbero sbancato il tavolo prima dei successivi Lamb Of God.

Brian Patton: “Sai, abbiamo gusti molto eclettici. Ascoltiamo di tutto, dal Blues al Jazz all’R&B e cerchiamo di incorporare alcune di quelle parti, ma per quanto riguarda la scrittura, noi la intendiamo come un flusso costante, un getto di idee che poi è in realtà la parte più difficile della scrittura dei nostri brani, perché in quella successione apparentemente casuale noi cerchiamo comunque di mettere insieme queste parti e fare in modo che scorrano. È impegnativo, amico, perché chiunque può prendere un mucchio di parti e sbatterle insieme e fare una specie di taglia e incolla, ma per ottenere quel flusso, ci vuole un po’ di lavoro. E ci tengo a specificare che non usiamo il computer per assemblarle. Il primo disco registrato in digitale è l’ultimo. Niente edit, niente trigger e cose del genere. Solo la nostra testa e le nostre mani. Siamo noi a suonare ogni traccia e memorizzarla dall’inizio alla fine. È tutta roba organica al 100 per cento!”

In più di un’intervista a Brian Patton salta fuori il concetto di “flow” e probabilmente è il vero senso alla base di composizioni così ostiche. Ogni frammento sfocia nel successivo mantenendo quella che secondo la band è una possibile armonia complessiva.

Si comincia da un fraseggio in mid-tempo e poi si scatta a tutta birra con un segmento grind, poi ci si apre in un bel giro di accordoni da scapoccio e proprio dove uno si aspetterebbe la riproposizione di tutte e tre le parti, ecco che invece il brano aggiunge roba ancora e ancora fino alla chiusa.

Per certi versi possiamo paragonare un pezzo dei Soilent Green a una spoken word e non è caso che i testi di Falgoust siano lunghe invettive contro qualcuno che gli ha spezzato il cuore oppure sono gli sfoghi di uno psicopatico in libera uscita.

CAPITOLO 2 – QUANDO UN’ETICHETTA AMMAZZA I PROPRI CUCCIOLI

In termini di carriera la band ha iniziato ad accusare il colpo, non dopo la morte di Scott Williams, davvero traumatica e crudele ma del tutto ininfluente visto che dal gruppo era già fuori. No, è stato l’incidente di Falgoust a creare i problemi veri.

La Relapse poco dopo ha fatto sì uscire il terzo album ma non ha sprecato un soldo a promuoverlo. Ha dato per scontato che il gruppo non sarebbe mai tornato in studio per un disco successivo; cosa che invece è successa appena due anni dopo, con grande sacrificio e buona volontà dei Soilent Green. E comunque l’etichetta ha chiesto espressamente di non farlo.

Ma meglio leggere come sono andate le cose dalle dichiarazioni di Falgoust: “Esatto, è proprio così. Io ero su una sedia a rotelle e la Relapse si comportava come se il gruppo non esistesse più. Hanno definito Deleted Symphony for the Beaten Down un disco morto e hanno detto che non avremmo fatto nient’altro. Non pensavano che saremmo tornati. E invece rieccoci al lavoro, ma loro non erano felici di vederci di nuovo in giro. Ci dissero che non c’erano soldi per finanziare un altro disco e tanto meno di pagarci il tour in Europa. So che non eravamo i Dillinger Escape Plan o i Mastodon, ma di sicuro eravamo una buona band degna del loro rooster. Al tempo di Confrontation, la situazione era a dir poco frustrante e le cose sono andate avanti solo grazie alla nostra tenacia. Ci sono un milione di fottute band a cui è capitato di essere scaricate e praticamente uccise. Si tratta di una cosa importante che non viene menzionata molto spesso, perché molte etichette cercano di insabbiare le cose. Non vogliono che le persone sappiano come si comportano a volte, specie con una band che è appena uscita da due tragici incidenti. Dire “il vostro disco non ha speranze e voi siete finiti”, ce ne vuole per comunicare una roba del genere a dei tizi che hanno appena passato delle disgrazie grosse così. Che poi almeno fosse stato, sai, che eravamo ubriachi marci sulla fottuta inter-statale e ce la fossimo cercata… Le cose andarono in quel modo per cause fortuite. Il primo incidente fu per via del ghiaccio e il secondo lo causò un veicolo a diciotto ruote che si schiantò su di noi e semplicemente schiacciò l’auto in cui eravamo. Diavolo, io non bevo nemmeno!”

CAPITOLO 3 – LA FINE DEI SOILENT GREEN

Tornando al discorso delle etichette, i Soilent lasciano la Relapse subito dopo il quarto album e passano alla Metal Blade. Al tempo i giornalisti americani gli domandano come si trovino ed è prevedibile sentirli sbrodare complimenti per la nuova label, ma non di rivedere certe parole aspre dette sulla prima.

Brian Patton nel 2008 dice: “No, amico, anche con la Relapse è stato fantastico. Certo, ci sono stati problemi, ma vedi, molte delle cose successe dipesero da noi. Tutti gli incidenti e tutte le cose che stavano succedendo nella storia della nostra band, dal loro punto di vista erano solo un incasinamento con cui non avevano e non avrebbero voluto avere a che fare. Come puoi lavorare con una band che prima ha un incidente con un furgone, poi gli viene ucciso qualcuno e poi un altro incidente o addirittura qualche altra cosa meno grave, magari ridicola, una sciocchezza, ma che ancora una volta ci paralizzava come gruppo e quindi non potevamo garantire un tour già in fase di organizzazione? È comprensibile, e in realtà abbiamo lasciato la Relapse in buoni rapporti. Ora siamo con la Metal Blade, nostri fan da prima ancora che firmassimo con loro. Avere effettivamente la sensazione che loro spingeranno l’album e siano estremamente positivi nei nostri confronti, sul nostro futuro, beh, per una band come noi, che ha passato quello che ha passato, è fantastico. Ci piace la Metal Blade… ehi, è per loro se ti sto parlando ancora dei Soilent Green!”

Nonostante l’entusiasmo di circostanza, l’ultimo album, Inevitable Collapse In The Presence of Conviction, un concept riflessivo sulle sfighe della band stessa, non ottiene grandi risultati e poco dopo il gruppo viene parcheggiato una volta per tutte. Tanti saluti.

Brian Patton: “So che non è la risposta che la gente vuole sentire, ma quella Soilent Green è stata sempre una macchina complicata. Eravamo unici per certe cose e mi mancano ancora parecchi aspetti di quell’esperienza ma ho dovuto farmene una ragione. Mai dire mai, però diciamo che le cose ormai sono davvero diventate troppo difficili per ripartire da dove ci siamo fermati”.
Ben Falgoust: “Mettiamola così, abbiamo avuto una possibilità, ma nonostante la purezza della nostra proposta, l’impegno, i grandissimi sforzi per risollevarci dopo una serie di “tramvate” che non sto qui a rivangare, è andata male. Del resto il mercato discografico è una merda. Non conta niente che tu meriti di avere successo. Guarda chi c’è là fuori. Tante band che onestamente non valgono un cazzo e hanno una musicalità che non vale un cazzo. Tante altre band che conosco io meritano molto di più, per lo stile e le abilità, ma non contano niente queste cose, sai? Non per l’economia che regge tutto quanto. Per l’arte e l’anima, voglio dire, ci sono band che meritano più di noi e nessuno è mai riuscito a sentirne parlare. Ci sono così tante persone che lavorano così duramente e scrivono musica così fantastica, poi ce ne sono altre che da autentiche figlie di puttana, buttano lì due brutte idee in croce e ne escono milionarie”.

CAPITOLO 4 – LA SCELTA DEL NOME, LE COPERTINE DI MUCHA E IL FANTASMA DI PHIL ANSELMO

Prima di chiudere vorrei specificare un paio di cose sui Soilent Green. La prima riguarda il nome e le copertine di Alfons Mucha; la seconda coinvolgerebbe Phil Anselmo.

Allora, persino Metalitalia ha rivelato da dove il gruppo ha preso il nome, vale a dire un vecchio film uscito in Italia col titolo 2022: I sopravvissuti (in originale Soylent Green), diretto da Richard Fleischer e interpretato tra gli altri da Charlton Heston.

Il gruppo non ha mai spiegato bene le reali ragioni per aver preso spunto proprio da lì. Il Soylent Green, con la y e non la i, un cambio di lettere pensato per evitare grane sui diritti, è nel film con Heston, un alimento particolare, è il sostentamento base ottenuto dal plancton oceanico, in un mondo futuro dominato dalle carestie, l’inquinamento e la morte violenta. Il Governo dice che viene dal mare, ma in verità si scopre essere la carne dei cadaveri degli anziani, fatti fuori con un’eutanasia di massa.

Il film è spassoso e toccante, a patto che non si voglia approfondire il discorso cannibalesco, del tutto impraticabile sul piano scientifico. Ma stiamo parlando di un gruppo di ragazzini, tutti in fissa con Charlton Heston, e che trascorrono gli afosi pomeriggi di New Orleans, guardando in un salotto quel vecchio film.

A un certo punto uno di loro salta su e propone come nome Soylent Green. Gli altri accettano e nessuno ci pensa più. Ma la verità è che il gruppo l’ha scelto perché, come ha rivelato Patton anni dopo, “così come la ditta Soylent nel film mescola le persone per ottenere un cibo nuovo e sostanzioso, la band avrebbe mescolato ogni forma di metal e oltre per realizzare qualcosa di unico. È come mettere Celtic Frost, Napalm Death, Naked City, Neurosis, Merzbow, Queen, Gwar, Creedence Clearwater Revival e così via, tutti in un grande frullatore e infilarne un po’ nella gola delle persone. Eravamo, nelle intenzioni, dove la vecchia scuola estrema incontrava la nuova scuola estrema con un tocco di tutto il resto”.

La metafora è perfetta anche per rappresentare il metal di oggi, sempre più riciclato e “confetturato” sulle macerie dei gruppi passati. Ascoltare un gruppo del 2021, di qualsiasi sottogenere faccia parte, non so voi ma, il più delle volte a me sembra di mangiare una barretta pressata di vecchia carne metallica sfuggita alla necrosi e trasformata in cibo insipido e scarsamente nutriente per le nuove generazioni affamate. Amen.

La questione stilistica va associata anche a un altro aspetto davvero intrigante dei Soilent Green; vale a dire le copertine dei dischi.

Tutto penseresti tranne che si tratti di roba estrema a vedere gli artwork.

La band infatti ha scelto come rappresentazione della propria musica, l’opera del pittore e illustratore ceco, Alfons Mucha, morto nel 1939.

Brian Patton: “Se la musica non è scontata, la copertina pure deve adeguarsi”.

Mucha al suo tempo, ha realizzato un sacco di poster pubblicitari mettendo al centro una donna avvenente che si gode la vita.

Secondo gli studiosi d’arte, nella sua opera la figura femminile ha un riscatto sociale, ma secondo Patton non è questo che interessa la band.

“Si tratta di bellissime copertine molto elaborate con dentro una bella ragazza, ok? Ma cosa si nasconde dietro quella sua bellezza? Fuori c’è il bello ma dentro? Te lo dico io cosa: il represso, il veleno fermentato nella stagnazione che attende di essere liberato, scatenato”.

La seconda questione è su Phil Anselmo.

In base a diverse fonti, proprio lui avrebbe cantato nel secondo album del Soilent Green, Sewn Mouth Secrets, e che addirittura l’abbia prodotto lui.

Non è mai successo niente del genere, anche se Falgoust è talmente bravo con i vari registri vocali, che è facile immaginarsi, tra un growl e uno scream, qualche borbottio del vecchio Phil.

Anselmo invece non ha mai messo piede in studio. Il solo legame tra lui e i Soilent è una relazione di buon vicinato metallico.
Ben Falgoust: “Non è stato in alcun modo coinvolto in “Sewn Mouth Secrets”, sia a livello vocale, come produttore o altro. O qualsiasi cosa. È sulla lista dei ringraziamenti perché c’è stato un periodo di tempo in cui noi eravamo praticamente come la pecora nera di New Orleans. La merda che stavamo facendo era totalmente più oscura di quella di chiunque altro e nessuno la capiva. Quindi, tipo, non abbiamo avuto molto clamore qui intorno perché eravamo troppo strani. Ma Phil ha davvero compreso la nostra roba. E poi successe che qualcuno fece irruzione nella saletta dove provavamo e si portò via quasi tutto, ampli e strumenti vari. (Ti pare che non gli mancasse pure questa di sfiga? ndr) Quindi ci mettemmo a cercare un nuovo posto dove suonare e Phil aveva un seminterrato nella sua casa, non proprio una cantina. Era un piccolo studio dove si esercita e tirava su alcune band collaterali e cose del genere. Ci ha permesso di usare quel posto per un po’. E dato che ci ha aiutati, è stato naturale per noi ringraziarlo. Ma tutto lì”.