Migliorarsi o accettarsi o nessuna delle due?

Allora, come va la domenica, puledroni miei? Io sto così così. Ogni mattina si riuniscono sul mio tetto, una quindicina di piccioni, a non voler esagerare. Quando ci hanno montato i pannelli fotovoltaici pioveva e così gli operai se ne sono andati senza finire il lavoro, vale a dire installare tra i pannelli e il tetto una rete che impedisse quello che poi è successo. Quindi ogni mattina (wo wo), già dalle cinque, io mi sveglio con questi esseri odiosi che mi tubano sulla testa. Sembrano dei cellulari con la vibrazione. Abbiamo già sollecitato l’azienda dei pannelli, ma nonostante le molte promesse di occuparsene quanto prima, io e la mia famiglia continuiamo a trovarci in questa situazione da mesi e mesi. Lunedì vado a fargli la cacca in ufficio.

Ma non era di questo che volevo parlarvi. Era per dirvi che sono già sveglio alle sei e trenta e vi scrivo nonostante sia domenica e io potrei godermi qualche ora di sonno in più. Colpa dell’azienda dei pannelli fotovoltaici e dei piccioni. O forse colpa mia che non ho ancora preso una drastica risoluzione per costringerli a finire il lavoro che, tra parentesi, gli abbiamo già abbondantemente pagato. Ma ho paura di me stesso. Perché se mi arrabbio, poi…

No, stavo riflettendo, mentre quei cosi tubavano sopra di me, a cose più gravi. Problemi personali, già, ne ho due o tre che tento di risolvere da molto tempo. E che non riesco a risolvere, nonostante abbia provato varie soluzioni: sedute di terapia, meditazione, droghe e ritualismi pagani.

Però poi ho pensato a questa tendenza che abbiamo tutti di vedere il problema, riconoscerlo e iniziare a volerlo risolvere, come se dovessimo continuamente perfezionarci, in questo mondo, in vista di chissà quale crescita conclusiva.

Si tratta di una scelta sana, dicono in tanti: nella vita bisogna sempre migliorarsi.

E c’è chi invece dice che dovremmo accettarci così come siamo e anche quei discorsi lì suonano bene, vi pare?

Salvo che siano incompatibili con quelli più sopra sul migliorarsi.

Esempio: se io decido che ho un problema con la rabbia (e fino a qualche tempo fa ero convinto di averlo sul serio per quieto vivere) e che devo risolverlo, questo significa che io non accetto quella parte di me e voglio cambiarla. Quindi io non mi accetto e provo a migliorarmi. E non ci riesco. In definitiva no.

Ma non incazzarsi più significa davvero essere persone migliori?

Magari potrei “incanalare l’energia della rabbia in altre vie più proficue e costruttive in tre mosse” ma sono discorsi psico-baggianotti da youtuber della mente.

Se io non accetto la mia rabbia e voglio iniziare a controllarla o ancor meglio trasformarla in una cosa positiva, questo significa che io non voglio essere come sono quando mi incazzo.

Quindi che non mi accetto come sono quando mi incazzo.

Quindi io non mi accetto.

Quindi io mi incazzo.

Succede che io mi prenda una grande arrabbiatura un brutto giorno che qualcosa va particolarmente storto e che esageri con le parole e magari pure i fatti. Appena riprendo il controllo su me stesso, il senso di colpa subentra a mangiarmi vivo. Per venirne fuori mi risolvo ancora una volta a curare la mia rabbia, così devastatrice e dolorosa. Devo curarmi. E riprendo droghe, meditazione, riti pagani e masturbazione animica.

Passo un altro lungo periodo da essere umano riflessivo, pacifico e accomodante. Tutti mi vogliono bene. E poi un giorno ammazzo qualcuno. E il mondo dice: sembrava tanto una brava persona.

Ma quello che ho notato è questa cosa del colpevolizzarmi.

Io ho sempre dato per scontato di avere ragione a non volere la mia parte rabbiosa, a trattarla come un male, una deviazione di cui vergognarsi e da amputar via.

Ma forse l’errore è qui.

C’è chi mi suggerisce di ascoltare cosa vuol dirmi la rabbia che provo.

Probabilmente ce l’ho con me stesso e non con il mondo fuori che mi fa incazzare. Ce l’ho con me perché non ho fatto nulla per soddisfare i miei bisogni o per difendermi dagli attacchi degli altri. O da quello che dentro di me qualcosa riconosce come aggressioni.

Sopportando il mondo intorno a me, per forza di cose smetto di ascoltare le mie esigenze. E un giorno, quando la misura è colma, un berserk esce allo scoperto e dice che è sufficiente così e ora ci pensa lui.

Allora, mi spiegano su you tube, psicoterapeuti e altre persone di non ben specifica competenza, che “accettare la rabbia vuol dire considerarla come un’alleata”. Cioè capire cosa mi dice e fare qualcosa in linea con ciò che mi dice.

E ascoltare la rabbia vuol dire accettarla e accettarmi, perché la mia rabbia sono io.

Certo, trasformarla in un’entità che mi possiede di tanto in tanto è il modo migliore per distaccarmene e ignorarla, rimpinzandola per bene in vista della prossima esplosione.

Ma ancora di più: io in fondo non ho un “vero” problema con la rabbia.

Sì, insomma… Sono una persona che a volte perde il controllo, come tutti. Rispetto ad altri ho più energia (creativa, emozionale, sessuale) e quando perdo il controllo, tendo a superare il limite della buona educazione. Ma vi domando che cosa significhi per voi perdere il controllo e rimanere educati nel mentre. Porco cane.

Ho vissuto dal 2017 a oggi una serie di forti stress. Sono passato attraverso una separazione con figli e un divorzio, impieghi infami e mesi di disoccupazione. Ogni tanto mi sono incazzato di brutto. Ho urlato, ho pianto e un giorno sono arrivato persino a far male a me stesso o spingere qualcuno.

Durante questi periodi particolarmente difficili ho avuto delle brutte… anzi delle belle incazzature. Dire brutte significa spregiarle e io non voglio più spregiare una parte di me che vuole difendermi.

Ma le avevo anche prima di lasciarmi, queste incazzature, quando ero impiegato fisso e retribuito.

Quindi il problema mia sarebbero le incazzature? E guarda caso chi la pensa così sono i miei ex datori-sfruttatori e le mie ex mogli e compagne. E io stesso, ingolfato di sensi di colpa e di paura di perdere lavoro e amore.

Non sto giustificando le mie intemperanze, ma dico solo che forse è un tantino esagerato definirle un problema di rabbia. Non ho mai picchiato uno sconosciuto che mi ha fregato un parcheggio e non ho mai gridato come un pazzo contro una cameriera che si è sbagliata a portarmi la pizza. Sono ancora una persona che sa controllarsi, quando deve farlo.

Ma perché divento aggressivo?

Per difendermi, ho detto.

E da cosa mi difendo?

Dal mondo che mi ferisce e mi spaventa.

Perché il mondo mi ferisce e mi spaventa?

Perché io mi lascio ferire e spaventare da esso.

E cosa posso fare per impedire questo?

Lavorare su me stesso. Quindi le due cose di cui sopra: non accettarmi e frustrarmi nel tentativo di trasformarmi in un uomo migliore.

Come fanno tutti quanti. Tranne mio zio.

Eh, sì. Nella vita bisogna cercare di essere sempre più saggi e posati, anche di fronte a una fidanzata delusa e accusante o un datore di lavoro che non mi paga da mesi e mi dice che sono un coglione di fronte ai colleghi. Saggi. Posati. Sfingi.

Ma se una parte di me, quella più infida, paludosa, sprofondata, non crede davvero che non reagire in simili casi sia tutto tranne che saggio, allora non potrò mai farcela sul serio. Perché non siamo tutti d’accordo qui dentro. E se in un ambiente c’è anche solo uno che non la vede come gli altri, il sabotaggio è fattibile.

Essere insultati e non reagire a volte è saggio ma altre è solo autolesionistico. E in tutti i casi subisci una doppia violenza, da chi ti insulta e da te stesso che non ti difendi e quindi ti tradisci.

La vera saggezza che ho dentro però mi dice anche: rispondere produce altra violenza e farne o subirne, significa comunque soffrire.

Soffrire non è necessario, ma ormai, in questo mondo, è inevitabile.

Allora devi accettare. E migliorare. E rifiutare e sopprimere. E ascoltare, anche. Sopprimi ma ascolta. Accetta la tua rabbia ricusandola e nel mentre fatti dire cosa cazzo vuole. Non considerarla un errore, perché se la vedi come una cosa sbagliata e la rifiuti, ella crescerà, però nello stesso momento, conducila con tatto verso la propria cella, provando a spiegarle che sì, ha ragione, ma non ti è permesso darle ragione. Non completamente.

L’unico modo che mi impedisca di arrabbiarmi sarebbe farmi rispettare di più dagli altri, senza glissare, senza abbozzare mai, perché ogni piccolo torto, ogni minimo sgarbo, è un debito che cresce e che un giorno un gigantesco, inarrestabile e furioso esattore irromperà a domandarne soddisfazione e allora saranno guai ma…

Ma questo non è per niente semplice.

Anzi direi che non è quasi fattibile.

Posso adottare tecniche assertive o sottili manovre psicologiche per aver la meglio ogni giorno su un collega stronzo o un’amante egoista, ma in fin dei conti la vita non è praticabile mandando avanti le tecniche e non facendola scorrere un po’.

Quindi cosa fare?

Non lo so, ne riparliamo dopo la prossima mega-incazzatura.