wrathchild america

WRATHCHILD AMERICA REMEMBERING 3-D ALBUM – FIRMARE CON UNA MAJOR E SENTIRSI DEI FALLITI

I learned not to believe the hype
Just go with the urge to create (3-D)

Più scavo nella storia del metal e più mi ritrovo a raccontare la stessa favoletta triste. Un gruppo di ragazzi cerca di decollare sulla luna con un razzo costruito mettendo insieme la ferraglia che qualche vecchio zio gli ha lasciato nel garage (vinili, pot, una batteria scassata) e aiutandosi dal robivecchi in fondo alla strada. Dopo averci creduto e aver martellato sui chiodi come dei pazzi, ecco il giorno del decollo. La gente è incuriosita e sta lì, in gran numero a guardare il lancio. Ma il razzo rimane dov’è, in una coltre di fumo che, come per magia… non lo fa nemmeno sparire. “Perché la magia era tutta nell’impresa di costruirlo”, direbbe l’uomo pelato dalla biancheria molto comoda.

Però è per me sempre appassionante scovare tra carcasse di razzi rudimentali e trovare qualche struttura particolare, dei telai inquietanti o una punta aerodinamica dal design geniale. I Wrathchild America, chiamatisi specificando la nazione dopo un contenzioso con i Wrathchild UK (“un mucchio di froci che non sanno nemmeno suonare”, a detta di Brad Divens) ci hanno lasciato un paio di album davvero pregevoli; sempre che amiate il metal più intraprendente e sperimentale.

Il primo, Climbin’ The Walls, è già abbastanza sopra le righe ma più camuffato rispetto all’altro. Infatti i puristi lo tollerano perché è tutto sommato abbastanza power-thrash, ma come disse in un’intervista del 1990 Shannon Larkin, batterista della band e successivamente coinvolto in avventure discografiche assai più remunerative (Ugly Kid Joe, Amen, Godsmack) “non abituatevi allo stile di Climbin’…, perché il nostro prossimo lavoro sarà davvero un’altra cosa”.

Riascoltando 3-D è palese che si tratti di una sfida.

Persa, ovviamente, ma nella gloria dei sognatori.

La matrice thrash di fine anni 80 è ancora lo scheletro, ma impolpato e impastoiato di nuova carne funk, blues, progressive e scemenza rock varia.

Oggi 3-D risulta grandioso, non ci vuole molto a notarne la ponderosità, però al tempo non credo che il pubblico fosse tanto in grado di capirne e approvarne la tendenza sperimentale e contaminatrice. E non parlo solo dei Wrathchild America. Anche band come Scatterbrain, Dark Angel, Annihilator finirono per trovare un “muro senza orecchie” a questo bisogno di thrash liberato.

E per i Wrathchild America e il loro secondo album 3-D io userei il condizionale, perché quando in effetti l’album uscì, la situazione discografica alle spalle della band ne impedì la diffusione. Quei ragazzi se la giocarono senza squallidi tentativi di vendersi a un mercato inesistente per loro. E fecero bene.

Ora possiamo gustarci tutto l’estro e la follia che al tempo li guidarono. Erano al secondo album per la Atlantic, ma chi ne sa qualcosa può comprendere quanto questo fosse tutt’altro che un vantaggio.

La grossa etichetta nel giro di un anno aveva lanciato e mollato i Wrathchild America. Non credeva più in loro e non promosse 3-D, sperando che andasse male, così che viste (ma dai) le vendite inferiori a Climbin’ The Walls, l’etichessa potesse rescindere il contratto con il gruppo e abbandonarlo al proprio destino.

Le origini

Prima del salto mortale con la Atlantic, i Wrathchild si erano dati da fare nell’underground, pubblicando un paio di demo e suonando a più non posso nei pressi di casa.

Brad Divens (bassista e cantante): Il primo di quei demotape “Danger-us”, risale al 1983-84 e devo dire che ci fece guadagnare attenzione, anche se a riascoltarlo oggi è palese quanto quei brani fossero già allora lontani dal nostro stile e per nulla fedeli all’impatto che avevano sul palco. Ai tempi ci truccavamo come i Motley Crue, ma eravamo dei ragazzini e cercavamo di fare le stesse cose dei gruppi famosi. I Pantera iniziarono esattamente come noi, a livello visivo. Poi decidemmo di levarci tutto quel trucco e vestirci normalmente, estremizzando la musica e puntando tutto su essa. A quel punto realizzammo un secondo demo che rispecchiava lo spirito dei nuovi Wrathchild e fu quello che ci fece svoltare.

Terry Carter (chitarrista): Fino al primo demo eravamo in cinque. Cinque ragazzacci di Baltimora, anche se non era mica vero. Solo io venivo da lì. Gli altri erano di Martinsburg, West Virginia. Ovviamente nessuno sapeva dove fosse e allora decidemmo di dire che eravamo tutti di Baltimora, perché la gente conosceva quel posto.

Brad: A parte il look e il genere, la svolta dipese soprattutto dal cambio di formazione. Da cinque passammo a quattro perché un giorno il nostro bassista ci mollò. Siccome io suonavo già la chitarra e, in fondo, almeno per il metal, se sei capace con quella, puoi anche cavartela con il basso, dissi agli altri di non cercare nessuno, che ci avrei pensato io a ricoprire il ruolo di bassista. La cosa ci compattò parecchio come band. Inoltre, da frontman confesso che quando non cantavo ero sempre in difficoltà perché non sapevo cosa fare sul palco. Non mi sono mai sentito un David Lee Roth, quindi per me avere uno strumento di cui occuparmi nei momenti senza cantato andava benissimo.

Terry: Quando rimanemmo in quattro decidemmo di scrivere e registrare dei nuovi pezzi. Mandammo in giro quel secondo demo e aspettammo un po’ le novità. Intanto ci demmo da fare con un lungo tour auto-finanziato. Toccammo due volte Los Angeles. Suonammo in Ohio, Texas, Arizona, Oklahoma, Colorado, North Carolina, South Carolina, Mississippi, Louisiana… proprio ovunque! E da tutte le parti raccogliemmo una gran bella risposta da parte della gente. Poi di colpo, grazie al nostro demo, cominciarono ad arrivare le offerte.

Brad: Si fecero vive diverse label: Enigma, Combat, Restless, Atlantic e Capitol. Ci pensammo un po’ e alla fine scegliemmo la Atlantic.

Una gran botta di culo la Atlantic, ma è tesi comune che sia stato proprio questo a determinare la fine dei Wrathchild America pochi anni dopo.

Sì, cambiarono nome in Souls At Zero e si buttarono all’inseguimento dei Pantera ma questo genere di cose non funzionano mai e producono confusione e indifferenza, quindi è chiaro che una volta uscito 3-D, per i Wrathchild A. fu la fine del sogno e del percorso iniziato nel garage di casa.

Il “Big Deal”  li aveva portati davanti al grande pubblico subito, sul divanetto di Headbanger’s Ball, in tour con Pantera e Armored Saint, ma gli umori e i propositi di una grossa etichetta cambiano come il meteo in primavera, e quando l’Atlantic tolse gli striscioni e le luci dal nome dei Wrathchild, non rimase nessuno o quasi a sostenerli.

Esatto, gli capitò un po’ la stessa merda dei Powermad.

Peccato?

Io non amo ragionare troppo sui se e i ma. Guardo quello che effettivamente fu e che ancora resta. I Wrathchild realizzarono due lavori sopra la media e oggi posso sentirmeli e goderne. Il resto non conta.

Recuperando materiale sulle riviste italiane dei due anni ad alto livello della band non ho trovato praticamente nulla di utilizzabile. Ho domandato a Fiorelli e Loria di aiutarmi sbirciando nei loro archivi di riviste inglesi e canadesi ma nisba. È come se i Wrathchild non siano mai esistiti sul cartaceo euro-canadese. Eppure ci sono almeno quattro interviste su grossi media che potete recuperare da You Tube, quindi la promozione ci fu e grossa anche, ma per dire, in Italia i Wrathchild America proprio non pervennero.

Però il loro nome in effetti spuntò su un vecchio articolo di Metal Shock… Sapete, uno dei tanti scritti tra il 1989 e il 1992 in cui ci si interrogava sul futuro del thrash. E lì si faceva spesso il nome dei Wrathchild America, assieme a quello dei Voivod, Annihilator e Fear Of God (???). Per chi scrisse il pezzo (ma non lo firmò) erano questi i nomi su cui puntare. Infatti il genere andò praticamente in coma poco dopo.

Terry: L’Atlantic ci abbandonò nel 1992 e decidemmo di sbarazzarci di quel nome condiviso con quei tizi inglesi e ci trasformammo nei Souls at Zero. Lo rifaremmo? Cosa vuoi che ti dica? Quello fu comunque un periodo in cui tante band subirono disagi simili. Una fase di grandi cambiamenti.

Brad: Sì. Diciamo che in fondo ce lo aspettavamo. Non eravamo sorpresi. Il primo disco, la disputa legale e il cambio di nome, tutta quella roba ci aveva solo rallentati. La Atlantic non si era mai fatta avanti dicendo: “Ehi, vi copriamo le spalle, tranquilli. Pagheremo questi ragazzi e voi potrete andare avanti”. Dovemmo arrangiarci da soli. E poi pubblicammo l’album numero 2, più particolare e complesso del primo. Vendette meno dell’album n. 1, e così adiòs. Il loro management non fu buono come avrebbe dovuto essere ma ormai non ha più senso rivangare.

Ti dico solo che sono troppe le cose che puoi non conoscere quando entri in certi meandri dello show biz. E la cosa più dura da mandar giù è questa: non basta uscire con una major per garantirti il successo. Quello è solo il primo passo.

Terry: Quando ho iniziato a suonare tutto ciò che mi proponevo era firmare un contratto discografico e uscire col mio album. L’ho fatto, ci sono riuscito. Questo non dovrebbe farmi sentire un fallito, giusto? Purtroppo non è così. Ho dovuto lavorare parecchio su me stesso per convincermi che comunque mi era andata bene e non male. Perché quando sei in ballo vuoi continuare a ballare, non uscire dalla pista dopo un paio di giravolte, nonostante il tuo obiettivo sia solo arrivarci, alla fottuta pista esclusiva, e sculettarci un po’ prima di essere preso di peso e sbattuto fuori.

Brad: Non ci sono garanzie in nessun momento della tua vita da musicista. Prima sei solo uno spiantato che sbarca il lunario suonando nei locali e cibandosi di pizza ogni giorno, in attesa di realizzare un sogno. Poi il sogno si avvera e ti accorgi che non basta. Solo perché hai un contratto per far uscire un disco non significa che diventerai una mega star, giusto? Volevo esserlo, ma non è successo. Ci siamo fatti il culo per cercare di farlo accadere e purtroppo è andata male.

Quelli di Decibel Magazine tempo fa hanno definito 3-D come “la versione di And Justice For All in chiave swing”, ma nonostante sia un modo suggestivo e invogliante di presentare i Wrathchild America, io credo possa risultare fuorviante e condurre il pubblico verso aspettative sbagliate. 3-D non è così. Si nota l’influenza dei Metallica di Justice, soprattutto per le chiuse prolungate, magari in dispari, a ogni giro, oltre al cantato di Brad, spesso in stile Hetfield.

Però 3-D è molto altro.

Per capire la differenza tra Climbin’ e 3-D, basta mettere a confronto i due strumentali, presenti uno per album. Il primo, Hernia, è un condensato di metal britannico e prog; il secondo, Prego, ha un riff doom a far da cardine a tutta una serie di passaggi jazz e boogie.

L’intero secondo disco è così. La band tende a mettere davanti al metallaro proprio quello che non si aspetterebbe mai. Lo assaltano con degli incipit molto rassicuranti (speed, thrash, power ecc) ma dopo un po’ lo catapultano in territori sonori che mai avrebbe voluto visitare.

Immaginate un hamburger con il pane di sesamo sopra e sotto e dentro il tofu. Che reazione avreste? Su X si comincia pesanti e si finisce in reggae. Desert Grins inizia power e poi diventa una mistura di country e barocco e blues, con Divens sopra che gioca col vocalizer di Bon Jovi.  Ha dei momenti sincopati qui e là, ci infila il funk e il boogie ma vive nel proprio tempo, a ridosso di fenomeni molto stimolanti per l’ambiente heavy, come Faith No More e RHCP. I Wrathchild però non tentarono di imitare questi fenomeni di allora. Presero esempio e cercarono di racchiudere in un solo pugno la rabbia di quattro diversi disadattati.

Ho visto tutto cento anni fa
sono il proiettile che ha ucciso il presidente
conosci il segreto dei miei denti marci
E il serpente con cui dormo sul mio letto di chiodi (Draintime)

Le liriche non sono più una via di mezzo tra il disagio adolescenziale e le visioni d’inferno presenti su Climbin’ The Walls. Ormai Divens cerca di comunicare più dalle profondità, realizzando uno spaccato generazionale di paranoia e sardonismo anti-sociale, con qualche immancabile digressione horror pulp, tra i fumetti della EC e le fantasie narrative di Clive Barker.

Il deserto sorride 
Abbandona la tua anima alla terra
Il deserto sorride
Intrappolato in una coltre di sabbia viva e respirante
Ti rendi conto che sei solo un uomo (Desert Grins)

Il dottore è entrato
Qual è il tuo piacere preferito, signore?
Vuoi il mio consiglio?
Io dico amputazione (What’s Your Pleasure?)

Indovina lo stile

3-D è prodotto da Alex Perialas (Overkill, Testament) un tipo di cui non ho questa gran stima, a dire il vero. Nel caso del disco dei Wrathchild, credo però abbia fatto un buon lavoro.

Brad: Alex era molto più rilassato di Mark Dearnley con cui lavorammo su Climbin’. Ricordo una buona atmosfera creativa. Del resto noi eravamo davvero pieni di idee e cercavamo di esprimerle fino in fondo, convinti che ci sarebbe stato spazio per ognuno di noi, senza competizione, gelosie o repressioni stupide. Alex ha solo cercato di accompagnarci nel percorso, ma in fondo sapevamo bene dove andare.

Terry: Il nostro stile era cambiato rispetto ai primi anni (Maiden, Ac/Dc). Diventò un misto dell’influenza di tutti quanti noi. Per la gente e i giornalisti non fu possibile trovarci un posto dove stare. Questo era il bello per noi, ma non lo fu anche per tutti loro, temo.

Souls At Zero

Ho riservato il finale per i Souls At Zero, la cui parabola è significante non per ciò che hanno rappresentato sul piano creativo in sé, ma per l’umano che c’è dietro. Ci sono state band, tra gli anni 80 e gli anni 90 che hanno mantenuto il nome e cambiato genere in modo drastico. I fans vecchi non l’hanno mai presa bene e i nuovi… ehm, di solito a far così non si vedevano fans nuovi.

I Wrathchild America, una volta fuori dalla placenta protettiva dell’Atlantic, si sono rimboccati le maniche e hanno deciso di ripartire da zero anche col nome, archiviando l’avventura progressiva della prima band. L’entità Souls At Zero (nome ispirato al romanzo Apocalypse di Clive Barker (1989) e non al disco dei Neurosis, uscito proprio l’anno di nascita del gruppo di Larkin e Divens, nel 1992), dicevo, l’entità Souls At Zero nasce come reazione al fallimento dei Wrathchild America.

Tanto i primi erano burloni e versatili, tanto i secondi erano monolitici e seriosi. Tanto i primi coprivano varie sfumature di metal, così i secondi diventarono inequivocabilmente pesanti.

A sentirli si pensa subito a una “panterizzazione” tipica del tempo, ma soprattutto nell’omonimo è ancora evidente l’influenza dei Metallica (Black Album).

E come andarono le cose ai Souls?

Malissimo. Buoni lavori, anche se organizzati a tavolino, che si perdono nella sciarada groove 1992-1996. Inoltre fare un metallo commerciale con una piccola etichetta non è proprio la cosa più sensata. Se ti muovi nell’underground devi opporti al mainstream e non occhieggiarlo spudoratamente.

La verità è che i Souls At Zero erano sempre gli stessi ragazzi dei Wrathchild America ma con meno anima. E non ha senso accusare il gruppo di scarsa coerenza. Fin dagli esordi in tenuta glam d’ordinanza, passando poi al power metal melodico di Climbin’ e alla festa crossover di 3-D, quei quattro simpaticoni avevano aggiustato il tiro, nel tentativo di centrare il successo, che è un bersaglio sempre in movimento.

Con i Souls At Zero vollero esprimere la rabbia dovuta alla delusione dell’esperienza Wrathchild, dopo quasi dieci anni di musate, vissuta con profonda dedizione e implosa sul più bello.

Ma rinunciando alla versatilità, Divens, Larkin e gli altri, non poterono più esprimere al massimo il proprio ecclettismo creativo, che era ciò in cui emergevano davvero.

Solo nel brano Welcome To The 90s c’è un ritorno alle commistioni esagerate, quando nella seconda parte mettono da via le chitarre sature e attaccano con un bel tributo alla musica balcanica.

Ma è troppo poco per ritrovare i Wrathchild.

Intervista a Brad Divens!

In coda voglio mettere l’intervista che ho fatto a Brad Divens, in occasione di questo mio speciale. Lui è stato molto gentile e alla mano. Lo ringrazio per la disponibilità e le buone risposte.

Ciao Brad. Vorrei cominciare dicendoti che sul web c’è davvero troppo poco materiale dedicato ai Wrathchild America e personalmente sto cercando di migliorare la situazione.

Sono d’accordo e ti ringrazio.

Prego. Ok, cominciamo con le domande.

1 – Ho notato alcuni riferimenti a Clive Barker nei testi. Alcune delle canzoni dei due dischi sono ispirate ai suoi libri? E il nome successivo che avete scelto per la vostra reincarnazione, Souls At Zero, è tratto dal suo romanzo Apocalypse?

Allora, sì, What’s Your Pleasure? , pezzo che si trova sul disco 3-D, è basato sul film Hellraiser. Shannon e io siamo sempre stati grandi fan di Clive Barker. Souls At Zero è il titolo di un capitolo di The Great and Secret Show (uscito in Italia per Bompiani come Apocalypse – Il grande spettacolo segreto, appunto). Ci siamo sentiti come se stessimo ricominciando da capo, con il cambio di nome e quello si adattava perfettamente.

2 – London After Midnight è ispirato all’ormai introvabile film con Lon Chaney Jr. o al Dracula di Stoker?

È ispirato al film con Lon Chaney Jr. Se la mia memoria mi sta aiutando davvero, il nostro bassista originale, Kevin Keller, l’ha scritto ispirandosi proprio a quel film.

3 – Sono molto interessato ai testi delle canzoni. Potresti dirmi più o meno di cosa trattano i brani di 3-D? Qual è la base della title track, Spy e gli altri?

Beh, ora su due piedi mi è difficile dirtelo. Come la nostra musica, i testi trattano una varietà di argomenti. Sociali, politici, ambientali, film, libri, horror e fantasy, il tutto con un po’ di umorismo.

4 – I Wrathchild non sono mai stati facili da classificare e questo alla fine si è rivelato un pregio ma anche un problema pratico? Cosa pensi abbia davvero determinato la fine di Wrathchild America, ripensandoci dopo molti anni?

Abbiamo sempre scritto la musica per noi stessi ed è stato uno sforzo di collaborazione tra noi quattro. Abbiamo pensato che se divertivamo noi a suonarlo, il pubblico si sarebbe divertito ad ascoltarlo.
Alla fine il nostro brusco epilogo, penso sia stato dovuto a una combinazione di varie cose: la mancanza di una buona gestione da parte dell’etichetta, e il fatto che la nostra musica era un po’ troppo complicata. Il pubblico non è mai stato davvero coinvolto da quello che stavamo facendo, ecco la verità.

5 – Molte band, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 hanno cambiato genere ma non il nome (L.A. Guns, Dokken, Motley Crue). Voi avete cambiato nome e genere. Come vi faceva sentire in quei giorni riprendere con una nuova identità, cosa vi aspettavate sul serio?

Ci ha fatto sentire tutti come se stessimo avendo una seconda possibilità, potevamo riprovarci da capo. L’energia e l’eccitazione tra noi quattro erano come rinate. Non ci è mai piaciuto il fatto di dover aggiungere “America” al nostro nome. E quella di cambiarlo in Souls At Zero fu l’occasione per staccarsi da quella rogna e ricominciare da capo.

6 – Domanda scontata, immagino. Hai mai pensato a una riunione?

Sì, ne abbiamo parlato. È solo una questione di tempismo. Non accadrà a meno che non siamo noi quattro.

7 – Come ti sei trovato con il produttore Alex Perialas? Cosa ricordi della tua collaborazione con lui?

Mi è piaciuto lavorare con lui. L’atmosfera in studio era fantastica e con lui è stato semplice cooperare. Alex ci ha aiutato a tirare fuori il meglio di noi, come un bravo produttore dovrebbe sempre riuscire a fare.

8 – E dimmi, come sono andate esattamente le cose con Wrathchild UK? C’era una causa o solo un accordo tra di voi?

Il primo disco era pronto per essere pubblicato e tutta la campagna stampa era stata già fatta quando è sorto il cazzo di problema con il nome. La band britannica minacciò di denunciare il distributore in Europa se non avessimo cambiato il nome. Abbiamo pensato che l’Atlantic sarebbe intervenuta e ci avrebbe aiutato a risolvere il problema, ma non è stato così. Ci hanno detto di gestire noi la faccenda. Ci siamo rivolti a un avvocato e così loro. Con la legge di mezzo la faccenda è diventata estenuante. Un lungo processo. Per uscirne, il solo modo era aggiungere “America” al nome e così facemmo.

9 – Sei soddisfatto dei disco realizzati come Souls At Zero? Non sono stati un po’ troppo influenzati dai Pantera e dal trend del groove metal?

Sì, beh io adoro tutti i dischi dei Souls. Molte delle canzoni che sono finite per essere nel primo disco di Souls At Zero sono state scritte quando eravamo ancora Wrathchild America. Per noi è stata una progressione naturale. Volevamo semplificare la nostra musica e vedere cosa sarebbe successo.

10 – Di cosa parla Welcome To The 90s? Secondo me è una grande canzone, molto vicina allo stile Wrathchild, con quel finale ispirato alla musica balcanica. Peccato che tu non abbia ancora sviluppato il mix di generi che esiste sul 3-D…

Welcome to the 90’s parla di tutto ciò che stava accadendo in quel momento in tutto il mondo. È stato scritto quando eravamo ancora Wrathchild.

11 – Cercandoti non ho trovato nemmeno un’intervista su riviste italiane. Peccato perché nel nostro paese di sicuro c’era un sacco di gente che poteva interessarsi a voi. Ma la promozione della Atlantic non è passata attraverso la stampa specializzata?

Per quanto ne so, l’hanno fatto. Avevamo un addetto stampa che ne era responsabile. Abbiamo fatto molte interviste quando abbiamo firmato con l’Atlantic.

12 – Che ricordi hai della tua partecipazione allo spettacolo Headbanger’s Ball? Molti artisti (Testament, Overkill) non ne parlano bene.

Ricordo di essermi divertito molto. Eravamo in tour con i Pantera in quel momento e la sera prima dell’intervista suonammo al Whisky di West Hollywood. Shannon ed io eravamo entusiasti di farlo, e avevamo un po’ di postumi da sbornia. Nel video si nota che eravamo provati. Essere intervistati e vedere il nostro video mostrato su MTV è stata una buona pubblicità per noi e ci gasammo un sacco!

Ok, grazie mille, Brad. Secondo me i Wrathchild America sono fantastici, ieri, oggi e domani!
Prego e grazie per le domande.

E adesso, se non avete mai sentito questi tizi, fatelo, puledri zoppi che non siete altro.