Kreator – Il nuovo disco Hate über alles picchia i leggeri

1984, I hate the sun

Chi legge Sdangher sa che non abbiamo una linea editoriale molto coerente. Se ci gira il culo facciamo, del resto se una cosa è gratis, e tutto ciò che vi offriamo su questo blog lo è e sarà sempre, non ha senso imporsi regimi creativi di nessun genere. Noi cavalli si va dove ci porta la cavezza del cuore.

A meno che non ci sia un bisogno compulsivo di dover scrivere sempre la stessa cosa, tipo recensire dischi nuovi ogni giorno o farsi i selfie con tutti i DVD che si hanno in casa, non c’è ragione di non cambiar strada, durante il percorso. Del resto rifletteteci un attimo. Ogni cosa conduce in un labirinto di possibili direzioni. Sta a noi volerle seguire.

Il nuovo album dei Kreator aprirebbe su tutta una serie di suggestioni culturali e musicali che ci farebbero ritrovare a scrivere di cose insospettabili, come il connubio tra musica trap e metal. Non sto dicendo che questo increscioso matrimonio stia avvenendo nell’ultimo album del gruppo, ma se Mille ha ancora un po’ di palle, da qualche parte del suo arsenale melò-trash, sarebbe capace di riservarvi brutte (o bellissime) sorprese per il futuro dei suoi fanzer.

I Kreator sono l’unico gruppo della vecchia scuola tedesca a cambiare stile non tanto per vili opportunismi, ma per crescere. Endorama e Outcast non sono dischi realizzati per fare il grano o tenersi a galla in un periodo molto difficile per il vecchio thrash, almeno non del tutto. C’è anche un bisogno genuino di sondare nuovi spazi di manovra, così da infondere nuove risorse alla vecchia formula di Extreme Aggression/Coma Of Souls.
Chi vi scrive ama alla follia Violent Revolution e lo reputa il picco massimo raggiunto dalla band negli ultimi vent’anni.

Sono convinto però che il gruppo si sia trovato a corto di benzina e che abbia virato al thrash classico e sia poi risalito ancora alla sorgente melò di Violent Revolution /Enemy Of God senza più ottenere i risultati artistici del 2001.

Hate über alles non è un lavoro indispensabile nella discografia dei Kreator. Non hanno impiegato cinque anni a realizzarlo e in gran parte i tempi lunghi necessari al compimento e la pubblicazione, sono stati dovuti al Covid. Il disco era già praticamente pronto da un anno e mezzo; pensate che i primi demo risalgono al 2018. E a sentirlo non bisogna commettere l’errore di volerci trovare chissà cosa.

Non è un disco abbastanza strano per i fan del gruppo. La voce femminile è su un solo pezzo (tra i migliori) e l’intro western dedicato a Sergio Corbucci nasce e muore lì. Avrei gradito molto di più inserti western-spaghetti alla Morricone su tutti i pezzi e voci femminili a cascata, usati come strumenti musicali alla maniera del poro Ennio, ma tutto ciò che accade nei due terzi di Hate über alles è il consueto campionario di riff, cavalcate, auto-rivelazioni spirituali e cori allemanni.

“Io sono il più forte dei forti e diventerò immortale yeah”

“Ok, Mille”

“E voi con me”

“Sì, Mille”

“Io conquisto e distruggo…”

“Va be… ma scusa Mille, se conquisti perché poi distruggi, tanto valeva distruggere senza prima conquistare, no? Se io conquisto qualcosa è perché la voglio per me”.

“Non mi cagare il cazzen!”

Io amo il metal che vuol prendermi le palle e alzarle fino a farmele vedere, ma pur mettendomici di buona volontà, a cuore aperto e con una gran voglia di essere siringato di serotonina, finisce che Killer Of Jesus o Crash The Titans si riversino nel mio lobo sinistro e fuoriescano dal destro ancora prima che il mio cervello riesca ad acciuffarne un capello.

Killer Of Jesus è il testo più audace, se vogliamo, è iconoclasta e brutallone, ma in tempi di paganesimo social fa poca impressione e Petrozza parla un sacco di risveglio spirituale imminente, in diversi pezzi dell’album, neanche fosse uno dei tizi fondatori del canale You Tube della Biblioteca Esoterica o l’Aleph di Scardovelli.

Ora però parliamo di quello che mi è piaciuto di Hate über alles.

Mille Petrozza è uno che sa rimettere in gioco la propria kreatura. E grazie a lui ho scoperto Ghostemane (punto di riferimento insospettabile nella gestione dei suoni di Hate über alles) e l’interessante vocalist Sofia Portanet, coinvolta nel succitato brano Midnight Sun,ispirato al meraviglioso film di Ari Aster, Midsommar.

Il produttore del disco è Arthur Rizk, ragazzo molto interessante di cui su Sdangher ho già scritto un sacco di bene. È lui la vera novità intorno ai Kreator, perché ha offerto a Petrozza una via un po’ diversa alle incisioni. Potrebbe essere il vero motivo per cui Hate über alles vi piaccia di meno degli altri tre dischi usciti prima, o forse potrebbe essere lui il responsabile del vostro ritrovato entusiasmo per la band.

Se ascoltate con attenzione l’album, potete accorgervi che non è zeppo da scoppiare di chitarre sovra-incise e suoni finto-orchestrali. D’accordo con Arthur, il quale usa lavorare così in tutte le sue produzioni, Mille ha deciso di non caricare troppo il sound di tracce e usare al massimo quelle che già c’erano. Vi parrà insignificante, ma non è così, perché riducendo le voci il disco non cala di potenza e può emergerne la vera essenza, che è, ahimè una roba striminzita e spompa, nel caso dei Kreator, ma dignitosamente e schiettamente… quello che è.

Niente vigliacchette anabolie produttive ma tanto onesto lavoro artigianale col sound design di Rizk. I pezzi sono quelli che sono, ma eccoli a voi, è il meglio che potevano essere, senza trucchi.

Altra cosa che mi piace è il verso d’apertura di Become Immortal: 1984, odio il sole. Si tratta di una canzone in cui Mille rievoca il quindicenne che era nel 1984, quando formò il gruppo e le cose presero il via tanto rapidamente da non fargli neanche finire la scuola. Lui dice una cosa interessante a riguardo. “Se fai metal dopo tanti anni è come se il quindicenne che eri sia ancora dentro di te, arrabbiato, sognatore, desideroso di conquiste e distruzione, devo solo richiamarlo a te…” ecco, forse qui ha più senso il binomio conquista e distruggi, intendendolo come un elenco di azioni contraddittorie nella volontà di una brufolosa mente metallara di quindicenne.
E quel quindicenne tu lo richiami e lo fai esprimere, ora come allora, ogni volta. Quando ci riesci il metal resta vivo e fico.

Mille ancora ce la fa, di tanto in tanto. Ma quello che conta è che ci prova. Si ricorda tutte le volte chi era e chi vuole essere ancora.

E questa bella retorica dovrebbe confermare le puttanate che si dicono sul metallo come genere da ragazzini disadattati (“mi piaceva, ma poi sono cresciuto e ho smesso”) ma in un senso più nobile e puro. Restare quindicenni incazzati nel corpo di uno che ha tre volte quell’età, molti meno capelli e una certa panza, significa restare in contatto con la propria parte pura. Ammesso che un quindicenne o un decenne sia puro e non già verminoso e corrotto come tutta la marcia gente di ogni età là fuori. Oppure che da qualche parte nel tempo, anche un sessantenne può risvegliare dentro di sé qualche goccia di purezza, conquistare e distruggere.