Salve salvino cari equini. Come state in questa domenica di luglio (col male che ti voglio) così asfissiante e climaticamente apocalittica? Io abbastanza bene da alzarmi dal letto e trascinarmi qui a scrivere le mie vaghezze e sciocchezzerie. Mia madre è ricoverata in ospedale. Si è rotta il gomito cadendo fuori da un negozio. Mio padre si opererà tra qualche mese. Per lui sarà un’operazione complicatissima che ha un dieci per cento di possibilità che si complichi fino a lasciarlo paraplegico o morto sotto i ferri. Solo il dieci per cento che in famiglia viviamo come fosse il 95. Tutto ciò mi riconduce inevitabilmente al pensiero della morte. I miei stanno diventando anziani. Si sono chiusi fuori di casa lasciando la chiave su all’interno due volte in una settimana. Mai successo in 43 anni che li conosco. La senilità avanza e questo significa solo una cosa. La morte. E se tutto andrà bene saranno loro a morire prima di me. E quindi io sarò cosmicamente solo. Ma come l’esperienza mi ha insegnato, non si è mai soli a meno di non sentirsi tali. Puoi trovarti a una festa, con amici, parenti (e tanti guai) e sentirti l’ultimo uomo sulla terra. Puoi stare in casa tutto il giorno a scrivere, leggere, strimpellare la chitarra, masturbarti e sonnecchiare e non avvertire la solitudine neanche un minuto.
Il problema è che io mi sento solo sempre più spesso. Da due mesi che ho chiuso una storia, in modo brusco, doloroso e doveroso, io sono in crisi d’astinenza da abbracci. Vorrei infilare la mia faccia sul morbido tepore di un seno femminile e aspirarne forte l’odore. Ho dato due craniate sulla testiera del letto l’altra notte mentre sognavo di farlo.
Faccio cose disdicevoli, tipo chiedere amicizia a donne che non conosco, spiarne i profili. Mi sento davvero uno schifo, specie quando l’amicizia mi viene rifiutata.
Parlo da solo in casa, in auto. Fortuna che gli altri pensano io stia in comunicazione con qualcuno in cuffia, ma non è così. Parlo animatamente da solo come un fottuto pazzo. Spesso senza neanche ascoltarmi granché. Capita che esca di casa con una strana fragilità per tutto il corpo. Mi sento tremare, ho paura che qualcosa mi cada addosso schiacciandomi, dal cielo, non si sa bene come, ma è un pensiero che non mi molla mai.
Avverto un bisogno enorme di parlare alle sconosciute, di offrire loro il mio istantaneo e virulento affetto, ho voglia di ascoltare i loro problemi, che si sfoghino e di accogliere i loro corpicini tremanti in un tenero abbraccio. Guardo una donna che mi piace, mentre aspetto il mio turno alla cassa del supermercato e vorrei farle una carezza sulla spalla, così, all’improvviso. Ci sarà il penale anche sulla spalla? In fondo mica è il culo, però di questi tempi non si sa mai. Per fortuna i miei freni inibitori funzionano bene. Stridono in modo assordante, ma il casino che fanno lo sento solo io.
Solo. Schifosamente solo. Ma qual è il problema della solitudine? Perché non mi piace? Immagino sia il classico retaggio di quando vivevo in tribù, nelle mie precedenti incarnazioni genetiche, difendendomi insieme agli altri dalle tigri con i dentoni. Se mi allontanavo o peggio, se venivo bannato dalla tribù, difficilmente sopravvivevo, da solo, nella foresta. Probabilmente, in una delle mie vite passate sono morto solo e in miseria.
Chissà però se gli uomini antichi delle tribù cavernicole provassero la solitudine anche mentre erano tutti insieme? Forse non avevano una profondità introspettiva tanto sviluppata e quindi non finivano per sentirsi soli in mezzo agli altri. Non passavano ore a criticarsi perché si trovavano ingrassati o brutti fisicamente. Non c’erano gli specchi, certo, ma non dovevano vivere insoddisfatti del proprio percorso formativo e stronzate tipiche dell’alienazione sociale moderna.
Di fatto mi sento solo e cerco. Cerco qualcuno.
Ma cercare chi?
Ecco che allora, senza nemmeno farci troppo caso, stilo un identikit che è frutto delle mie esperienze sentimentali passate e delle cose che la società mi ha insegnato a desiderare in un’altra persona.
Ecco la donna che voglio io:
Metallara.
Bel culo e metabolismo efficiente.
Buon appetito ma grazie al metabolismo efficiente non ingrassa e non mi rompe il cazzo con le diete e la frustrazione perché non le entra più nulla.
Tendenzialmente sobria.
Di carattere e coraggiosa.
Ma non troppo di carattere e non troppo coraggiosa.
Ordinata e affaccendata ma non compulsiva.
Amante dei film horror.
Lettrice.
Età dai 40 ai 60. Figli grandi.
Portatrice abituale di leggings non troppo variopinti.
Sessualmente scatenata.
Non amante del mare e della vita balneare del cazzo.
Ecco, più o meno ci siamo. La voglio così. E se la trovo sarò felice.
Ma non la trovo e per fortuna. Perché non sarei felice.
Ma non la trovo perché una persona così non esiste. Non so se desidero cose impossibili per non rinunciare al sogno di felicità, inconsciamente.
Chi cerca, mi ha fatto notare la mia psicologa, non ha un cuore aperto. E senza il cuore aperto, non entra nulla in profondità.
Chi cerca sta messo come uno che fa audizioni o colloqui di lavoro.
Avete mai fatto un colloquio di lavoro?
Ecco, vi è sembrato che il tipo dall’altra parte della scrivania fosse aperto nei vostri confronti? Io credo di no. Sorrideva, sì, aveva un atteggiamento moderatamente rispettoso, ma in generale sembrava lontano chilometri e chilometri da voi, sia con l’emotività che il genuino interesse per ciò che dicevate al di là delle quattro informazioni in croce che voleva ottenere da voi.
Questo modo di fare non può condurre da nessuna parte.
Nella vita le cose iniziano a succedere quando uno apre il cuore alla vita stessa.
Vi è mai capitato di aprire il vostro cuore?
Come sta uno che ha il cuore aperto e non si trova in una sala operatoria?
Beh, è tranquillo, rilassato, pronto letteralmente a tutto ciò che può accadere, senza spaventarsi all’idea che qualcosa vada storto. Per andare storto qualcosa lui deve aver già predisposto tutta una serie di manovre per fare un certo percorso. Ma non ci sono percorsi definiti. Si va e dove si arriva, si arriva. Se gli si buca la ruota della macchina, non va in crisi perché poi farà tardi al lavoro o un appuntamento e deve sporcarsi le mani a cambiarla. Non ha appuntamenti irrinunciabili e dove andrà, nessuno si stupirà di vedergli le mani e i vestiti sporchi.
Se la ruota si buca lui scende, guarda l’orizzonte, le macchine che passano, e si sorprende perché scorge nel riflesso sul vetro dello sportello, che sta sorridendo. Attende curioso e con tutta calma, cambia la ruota. Prende magari strade che non ha mai preso per tornare a casa e se fa tardi, si perde, non gli importa. Scopre cose e le osserva. Incontra persone e saluta senza fretta di distogliere lo sguardo, senza l’angoscia di non essere visti e ricambiati del saluto.
Se va a una cena dove ci sono degli sconosciuti, sta lì, parla di ciò che gli interessa, ascolta ciò che davvero gli interessa e se nessuno degli sconosciuti gli trasmette una buona sensazione, pacificamente se ne sbatte il cazzo e torna a casa, contento di aver trascorso una serata in mezzo a gente che non rivedrà mai più, felice di aver mangiato qualcosa di decente, assaporandola con calma.
Ecco, io mi sono sentito così quando ero aperto alla vita e al mondo. Non ora, ma è successo alcune volte.
E in quei momenti mi sono arrivate tante cose belle: lavoro, amici, amori, soldi per terra.
Purtroppo non è una cosa che possiamo fare in automatico. Per raggiungere quello stato occorre tempo, pazienza, ci si deve sbarazzare di molte cose. Ma smettere di selezionare un umano nella speranza di colmare subito il buco lasciato dal precedente umano, è un errore.
Cercare è ciò che facciamo tutto il giorno. Cerchiamo musica da ascoltare, qualcosa da leggere, nuovi amici, qualcuno da scopare, un lavoro diverso, il successo. Cerchiamo, cerchiamo e cerchiamo, ma torniamo a casa a mani vuote, vero?
Non ci va di sentire niente, non ce la dà nessuna, ci sono solo lavori di merda in giro. Ed è vero che là fuori non c’è nulla. Ma perché stiamo cercando e chi cerca trova un sacco di cose inutili e inservibili.
Il proverbio, chi cerca trova non è sempre vero.
Non fraintendiamoci. Se volete fare sesso, segnatevi su Tinder e prima o poi qualcosa rimedierete, ma non sarà davvero quello che vi occorre in profondità, perché stando chiusi e tesi nella ricerca del sesso, impedirete all’altro di raggiungervi dove c’è davvero bisogno che facciate sesso dentro di voi, non solo a livello delle palle, e impedirete a voi stessi, di far uscire la vera vostra volontà dalle profondità in cui è stipata.
Ci si deve sbarazzare di certe cose, ho detto. Non facile, ma fattibile se si vuole trovare sul serio.
Credo che l’attitudine che si integra all’aprirsi sia subito quella di smettere di desiderare con urgenza qualcosa o qualcuno.
Non si desidera e di conseguenza non si ha pressione. Ciò che arriva arriva e se non arriva niente siamo comunque a posto così.
Immagino sia uno stato mentale difficile da raggiungere.
Però è innegabile, almeno per me, che per aprirsi, il primo passo da fare sia di smetterla con le ricerche e gli identikit.
Pace e bene, fratelli di metallo. In satanesca sincerità, il vostro scalpitante Padrecavallo.