Hatching – Covare la propria parte peggiore

Era importante raccontare questo: se provi a controllare tutto e a mantenere tutto perfetto, qualunque cosa significhi, non puoi effettivamente farlo a meno che tu non nasconda alcuni elementi del tuo carattere e alcune tue emozioni, e alla fine questo non è possibile. Devi davvero affrontare tutti i tuoi difetti per essere amato pienamente come sei, devi lasciare che le persone ti vedano come sei con tutte le tue cicatrici. Hanna Bergholm

Hatching possiamo tradurlo come “covare”. C’è infatti di mezzo un uovo, un piccolo uovo di uccello che una ragazzina trova nel bosco. Lo porta in casa e lo mette sotto il cuscino e ogni volta che, nei giorni successivi torna a controllarlo, scopre che è sempre più grande. Quando si apre ed esce una strana creatura beccuta, la ragazzina decide di tenerla nascosta ai suoi genitori e di allevarla in segreto.
Questa è la parte meno interessante della storia e lo spunto da cui il progetto filmico è partito. La regista finlandese Hanna Bergholm riceve una chiamata dallo sceneggiatore Ilja Rautsi, il quale le parla dell’idea che ha in testa. Le dice: “ehi, che ne pensi di una storia di un ragazzo che cova e porta a schiudere un doppelganger da un uovo d’uccello? Ti piace?”
“Niente male, e poi cosa succede?”
“Eh, per ora questo è tutto ciò che so”.
La regista ha esperienza in TV, ha lavorato parecchio con i bambini e un burattino, cose che la aiuteranno molto per la realizzazione di Hatching, ma non ha mai diretto un lungometraggio ma sente che questo sarà assolutamente il suo film. L’idea è buona tranne un particolare. Sarà una ragazza e non un maschio a covare l’uovo. “Ci sono troppo pochi film horror con protagoniste donne” dice allo sceneggiatore.

E Tinja, la ragazzina che nasconde alla madre dispotica alcuni aspetti della propria personalità, è interpretata benissimo dall’inesperta ma talentuosa Siiri Solalinna.
Sarà però Sophia Heikkilä a rendere questo film indispensabile. La Madre.

Non ha neanche un nome. Nel casting è indicata solo come Madre. I figli la chiamano così. Il marito, sottomesso e silenzioso le si rivolge con un canonico “tesoro”, le poche volte che abbia il coraggio di dirle qualcosa.
Madre è padrona assoluta della famiglia. Lei decide tutto, l’intera casa, i vestiti, gli arredi, ogni respiro tra le mura è diretta espressione della sua volontà. È una blogger molto seguita e mette continuamente tutti sotto i riflettori, in una recita leziosa e insopportabile, ma di cui lei è smodatamente dipendente e soddisfatta.

La madre sta mostrando la sua perfetta idea di felicità al mondo, forse cercando di ottenere un po’ di amore e simpatie dai suoi spettatori attraverso questo. Non ammette sentimenti forti in famiglia, quindi non ci sono colori forti. Tutto è un po’ attenuato e lei non ammette segreti oscuri. Quindi non ci sono ombre, tutto è molto morbido e leggero. Volevo usare tutte quelle cose che sono considerate adorabili, colori pastello e tante rose. Ci sono così tante rose che è un po’ soffocante; tutto è così a posto, così controllato e organizzato che sembra un po’ morto. Ad esempio, nel sound design abbiamo fatto tutte queste piccole cose. Per dire, nel cortile di casa della famiglia di Tinja non sentiamo mai gli uccelli cantare. Nel cortile del vicino ci sono e cantano, ma non in quello di Tinja no. Quindi c’è questa sensazione di morte tutto intorno ai nostri protagonisti. Hanna Bergholm

Tinja segue alla lettera ogni ordine della madre, desidera compiacerla più di qualsiasi altra cosa. Si sta impegnando molto in una gara di ginnastica artistica non perché abbia questa passione, ma per far felice la mamma, che non contempla sconfitte e sprona in continuazione lo spirito di competizione della figlia fino a livelli di rigidità maniacale. “Se vinci, non hai problemi” le spiega.

La ragazza inizia però a farsi delle domande. Ci sono due episodi in particolare che la affrancano dalla totale dominazione materna. Il primo è scoprire che la donna ha un amante. Si chiama Tero, un bel fustacchione tuttofare che bazzica in casa per dei lavoretti. La figlia li sorprende in effusioni e la madre non nega nulla, anzi la rende subito complice, giustificandosi e assolvendosi.

Il secondo episodio ha a che vedere con un corvo.

Nella tradizione finnica, molto è collegato con dei miti ornitologici, ma la cosa interessante è questa. Sia la regista Bergholm che lo sceneggiatore Rautsi si sono resi conto molto dopo la conclusione del film, dei rimandi culturali che li hanno ispirati nella creazione della loro storia.

Nell’antica mitologia finlandese chiamata Kalevala (testo che i metallari conosceranno, visto che gli Amorphis ci hanno costruito su una carriera creativa ndpc) il mondo è creato da un uovo di uccello. Inoltre nel film, la musica è composta da Stein Berge Svendsen, ma la ninna nanna che si sente è recuperata e molto antica, anch’essa parte della tradizione finlandese. Quando l’ho scoperta ho voluto inserirla perché è perfetta. Dice: “Povero uccellino, non c’è madre o padre che si prenda cura di te”. Voglio dire, è una ninna nanna orribile, adatta a questa storia. Hanna Bergholm

Dicevamo del corvo. Un giorno, uno dei pomeriggi perfetti della famiglia perfetta, filmata in un soffuso rosa di sorrisi e moine, entra in salotto questo corvo. Madre e padre provano a scacciarlo e poi a catturarlo. Intanto l’uccello rompe suppellettili fragili e costose, graffia tende, caga ovunque e continua ad agitarsi volando sopra le teste di tutti.

Tinjia alla fine lo cattura, tirandogli addosso un grosso tovagliolo. La ragazzina prova pena per il corvo, vorrebbe solo portarlo fuori e liberarlo, ma sua madre lo reclama e senza allentare la morsa del suo sorriso mascellare, gli spezza il collo per vendicarsi dell’invasione e il casino che l’uccello ha causato.

Tinja rimane inorridita e come un automa esegue l’ordine di portarlo fuori nel bidone del compost. Una volta lì scopre che la madre non l’ha ucciso davvero e sarà lei a dargli il colpo di grazia.
Parte tutto da questi due elementi: il tradimento della madre, che Tinja scoprirà il padre esserne consapevole e tollerarlo pur di vivere in quel confetto cerimonioso ordito dalla moglie superiora. E il corvo ammazzato senza pietà perché agente caotico nel regno da fiaba della malvagia matrona.

Hanna Bergholm: Il padre è stato interpretato da Jani Volanen, che è un attore meraviglioso, e lo volevo assolutamente in quel ruolo. Il personaggio del padre è il tipo di persona che cerca solo di mantenere le apparenze. Il suo modo di affrontare la vita è quello di comportarsi sempre come se tutto andasse bene. Qualunque cosa accada, va sempre bene. Se lo insulti, va bene. Penso che mio padre sia quel tipo di personaggio.

Poco dopo la ragazzina trova un piccolo uovo verdognolo nel bosco. Mossa da un forte istinto protettivo lo porta in casa, forse per discolparsi con la natura di aver commesso il delitto del povero corvo. Lo nasconde sotto il cuscino.

L’uovo cresce e quando si schiude esce uno strano uccello grande quasi quanto Tinja e bisognoso di cure, nutrimento e protezione.
La ragazzina alleva il pennuto, tenendolo nascosto sotto al letto o nell’armadio. L’animale ricambia andando dai vicini e portando alla sua mamma la testa del cane. Inoltre il piccolo muta presto forma, fino ad assumere le fattezze di una ragazzetta.

Il rapporto tra Tinja e l’uccello a cui lei darà il nome di Alli, potrebbe essere una cosa alla E.T. ma presto diventa una rilettura stevensoniana, riscattando con momenti di genio, una gestione piuttosto didascalica della storia.
Ok, il mostro che Tinja alleva di nascosto, sempre più somigliante a lei ma in versione brutta, sporca e cattiva, è tutto ciò che la madre non le perdona di essere. E quando la donna scopre la presenza di “quella cosa” in casa, si arma subito di un paio di coltelli, uno lo passa alla figlia e le dice risoluta che devono subito ucciderlo. Uccidi la tua parte inaccettabile, tesoro.
Tinja però ama la sua versione scomoda nata dall’uovo di corvo e il suo estremo atto di ribellione sarà… Non vi dico il finale.

La vera genitrice del mostro nell’uovo è ovviamente la madre, convinta di poter avere la vita su misura che desidera, con un amante alla luce del sole e un marito buono e zitto di facciata. Un figlioletto a cui si rivolge raramente e che si aggira per casa dal visetto dietro una maschera di cartone con due buchi all’altezza degli occhi in stile Venerdì 13.

Le due figure maschili: il padre passivo e l’amante più competitivo si avvicinano al segreto di Tinja ma recedono subito, appena scorgono, da bravi uomini, la zona oscura del giovane universo femminile.
Le macchie di sangue che il padre scorge sul letto quando è tanto così dalla scoperta dell’essere che la figlia nasconde in camera, gli fanno pensare che lei sia strana perché ha avuto il ciclo e questo lo fa allontanare subito balbettando parole incomprensibili. I rumori di vomito che vengono dalla stanza di Tinja convincono Tero che lei abbia problemi di anoressia. Invece la ragazza è costretta a rigettare il cibo per nutrire il suo sosia, come una mamma col piccolo pennuto. Ma il vomito è anche un atto reattivo, il nutrimento dell’odio contro il sogno materno profondamente malato di una madre mostro tipica dei nostri tempi per i social, ma sprofondata nei secoli fino al focolare dei fratelli Grimm.