I Belphegor e i vecchi diavoli di una volta – Considerazioni sul nuovo album The Devils

Questo nuovo disco è una piacevole fuga dalla comodità. (Angry Metal Guy)

Esce il nuovo dei Belphegor e questo mi trasmette un senso di tranquillità. Sono quattro anni che è nel surgelatore, esattamente come l’ultimo dei Kreator e molti altri lavori pubblicati di recente. Il Covid ha bloccato, rallentato, dilatato il processo creativo delle band metal più operative. Nel 2019, mentre ultimavano le solite dieci canzoncine sul diavolo e sul caos strisciante, si illudevano di portarle in giro nel mondo l’anno successivo per vendere le nuove magliette e le vecchie toppe. E invece stoppe. Tre anni di qualcosa mai vissuta prima.

E ora eccoci qua. Cambiati e disperatamente protesi verso ciò che eravamo.

C’è chi ne ha approfittato per fare meglio i compiti, rimettendo mano al mixing così tanto da trascendersi l’anima, e chi invece ha realizzato materiale per altri tre album e lo tiene lì, pensandoci sempre meno per non sprofondare nell’angoscia della post-produzione.
I Belphegor appartengono al primo genere di esperienze. The Devils non sappiamo come sarebbe uscito senza gli intoppi pandemici, ma a sentire Helmut, lui e coso lì, Serpenth, con l’aiuto del pignolo e propositivo producer Jens Brogen, ha cesellato e rifinito l’album fino quasi a deperirlo sotto i quaranta minuti di durata. Cosa che trovo meravigliosa, dati i tempi.

The Devils è molto buono, fresco e terribilmente confortante. Voglio dire, demoni, baci al culo di satana, invettive indiscriminate contro la pandemia, serial killer efferati e ancora Satana e fuoco e fiamme. Cosa c’è di meglio del solito bric-a-brac parafernale in confronto alle guerre dei Russi espansionisti, i flirt nucleari dell’oriente, la morsa del caldo globale e le nuove mutazioni pneumatiche del Covid? Torniamo quindi ai vecchi e ridanciani sabba culandroni, con i capri melliflui e le casalingue di Voghera a cavallo di Scope della Standa. Tutti danziamo insieme, vezzeggiando in modo inenarrabile gigantesche asine millenarie, scorrazzanti su arroventati campi d’erba bruciata. Ah, dimenticavo i coccodrilli, certo.

Parola di Helmut: Per me era anche molto importante avere i coccodrilli. Alcune persone chiedevano perché i coccodrilli? Beh, quasi ogni band usa immagini di aquile, leoni o serpenti e sì, l’abbiamo fatto anche noi, è vero. Ma i coccodrilli sono molto più malvagi e imprevedibili. Puoi camminare con i leoni o nuotare con gli squali. Però io non ho mai visto nessuno andare a spasso con i coccodrilli.
Secondo me i coccodrilli sono i predatori numero uno della catena alimentare a parte l’uomo. Ho studiato questi affascinanti animali per anni, quindi era giunto il momento di usarli su una cover art dei Belphegor. Rappresentano il dono della natura per la loro eterna spietatezza.

L’album mi ha sorpreso per la qualità delle melodie. I tedeschi ci sanno fare con le nenie birrose da intonare nella frescura di qualche vecchia taverna. Sono i più epici al mondo, c’è poco da fare. Anche se nel caso di The Devils, l’aspetto canterino tradisce un po’ la fierezza luciferina di fondo. Prendete l’andatura malinconica di Glorifizierung des Teufels. Non si capisce bene perché trasmetta un tale senso di tristezza. In fondo lo scenario descritto da Helmut è quanto di più entusiastico possa capitarli di inneggiare: una bella signora che si china a baciare il retto di Satana in una notte di luna pregna, eppure c’è un arpeggio portante, davvero toccante, che fa pensare alla desolazione delle sale d’attesa nei pronto soccorsi, per quanto è brullo e deprimente.

Chi ha avuto la sventura di capitare in ospedale di questi tempi, sa bene cosa intendo.

Oppure skippate sull’altro momento eccelso del disco: Virtus Asinaria – Preyer. Lì c’è una iniziale cadenza marziale della batteria, con il fraseggio tetro armonizzato che trasmettono un senso di sconfitta, più che di ribellione e di estasi dissacrante. Però quando inizia la stupenda preghiera, con il vocione di Helmut sia in modalità gregoriana che doppiato in scream, tipo i frati e i satanassi che (s)coreggiano insieme nelle profondità orgiastiche di qualche vecchia cattedrale, ecco che la bellezza di quel motivo apre il mio cuore e lascia che la melassa tenebrosa cucinata da Helmut si riversi dentro di me fino a soffocarmi ogni buon proposito di redenzione pentecostale.

Sono ateo con alcune visioni nichiliste. Il diavolo è un potente personaggio immaginario. Uso la filosofia di Satana/ Lucifero, il portatore di Luce, nel nostro contenuto lirico, come una figura orgogliosa, esaltata, maestosa che ha resistito a tutte le influenze. Un seduttore, tentatore. Il satanismo non è una religione in cui credo, personalmente. Una religione implica la superstizione e l’adorazione di qualcosa al di fuori di se stessi, e questo non è il mio genere, non importa quale pratica o divinità preghi.
Satana è un’invenzione del cristiano e loro lo vedono come il nemico… e il nemico del mio nemico è mio amico.

Non so cosa spinga quest’uomo a sataneggiare dopo tanto tempo. Le cose che dice sono le stesse professate da LaVey negli anni 60. Non aggiunge nulla, davvero. E questa base di idee regge l’intera impalcatura del carrozzone Belphegor. Io credo che il vero satanismo sia solo una via di fuga da attraversare e non un posto su cui installare la propria bancarella di croci rovesciate. Eppure nel caso di The Devils riconosco le buone intuizioni armoniche e soprattutto una necessità genuina di pregare inginocchiati ancora una volta davanti ai riflessi dello specchio più scuro che ci sia, parafrasando un vecchio film di Sidney Lumet.