Ho l’impressione che gli Amon Amarth siano arrivati a un tale punto di indolente auto-referenzialità da iniziare a perdere anche i sostenitori più paciosi e di bocca buona. Praticamente tutti lamentano in questo nuovissimo The Great Heaten Army, una carenza di idee e un riciclo di riff imbarazzanti. Eppure, a sentire Johan Hegg, il nuovo album è diverso dagli altri. Ci sono nove brani su cui la band ha lavorato molto sodo, cercando di esaltare per ogni titolo una propria sfaccettata e peculiare essenza. In pratica ci dicono che siamo tutti in errore e che The Great Heaten Army è per certi versi un lavoro sperimentale, come del resto ogni altro album della band.
Ehm…Ok. Sarà come dicono loro. Ci inganniamo perché superficialmente il tema è sempre quello, il sound è più o meno il solito. Gli Amon sono tornato da Andy Sneap, dopo aver fatto un giro con Jay Ruston per Berserk, ma il produttore inglese è stato un punto fisso per i due album precedenti, Deciever Of The Gods (2013) e Jomsviking (2016), quindi dove possiamo scorgere qualche novità?
Beh, per cominciare c’è un ulteriore passaggio verso il metal classico, ci sono le melodie in primo piano, pochi riff centrali, strutture lineari. Io ho l’impressione che in certi momenti scivolino più nel folk metal da sagra della birra che verso la NWOBHM con voce gutturale. Basta prendere Heidrun o Skagul Rides With Me. Ma in ogni caso, il tasso generale dei pezzi è all’insegna del disimpegno puro.
Ma non possiamo rimproverare granché agli Amon Amarth se sono diventati così. Sappiate che una band, specie negli ultimi vent’anni di non-mercato, facendo poche eccezioni, è ciò che il pubblico l’ha incoraggiata a essere. Nello specifico di questo gruppo, l’insistenza sulle cose vichinghe e l’avvicinamento alla manowaritudine sono state decisamente volute dai recensori e dalle bande di numerosissimi nors-nerd sotto ai palchi di tutta Europa.
E quindi ascoltando cose come Oden Owns You All o The Great Heathen Army mi vengono in mente delle cose ma che forse con le canzoni c’entrano davvero poco. I brani scorrono come un pigro letto di fiume sotto il grugno del mio mulino interiore, mentre immagino questi uomini nerboruti, barboruti e cazzoruti, che se ne andavano da casa, al momento propizio dell’anno. Alcune mogli li seguivano in battaglia, altre restavano. E mentre i mariti erano in giro per i villaggi europei a saccheggiare e trombare sconosciute, queste riguadagnano il calore del giaciglio grazie a qualche contadino sciancato e con la parlantina mercuriale.
E penso al bisogno che avevano di viaggiare i vichinghi, di sfidare il mondo, di mangiare pizza e di sopravvivere insieme, saccheggiando e stuprando sconosciute. Era il grosso della loro esperienza di vita. E poi tornavano a casa con la “roba” verghiana e si riconducevano stanchi e sazi al giaciglio caldo della vecchia moglie, alle notti visionarie e gelide di Odino, tradendolo nei sogni con la pizza e Gesù. Che bello, no?
Nel 2022 siamo ancora in loop con questa roba. Ci piace, ne abbiamo bisogno, evidentemente. Se gli Amon Amarth continuano a scrivere pezzi su questo ci deve essere richiesta. I sociologi sapranno spiegarci perché, nel 2046. Del resto sarebbe stata dura immaginarsi i vichinghi che non salpano verso la Francia o la Northumbria proprio ora che c’è il lockdown…
La vera novità, che poi non lo è nemmeno quella, visto che gli ospiti recuperati dal metal classico ci sono stati anche in altri dischi, è la canzone Saxons & Vickings. E non potete davvero fare gli schizzinosi, perché i duetti tra Byford e Hegg sono grandiosi, il pezzo è ganzo. Alla fine vinsero di brutto i Sassoni, per la cronaca. Forse al metallaro i vichinghi piacciono perché non sono stati dei gran vincenti. Erano inarrestabili sulla breve distanza, come l’Atalanta, ma una champion league non la conquistarono mai. Come tutte le piccole grandi squadre, fusero il meglio della rosa con gli esponenti delle zone alte della classifica.
Sarebbe interessante chiedere a quel pacioccone di Johan Hegg cosa abbia da dire sul reiterato elogio allo stupro militare nelle sue canzoni. In tempi di Metoo# qualcuno potrebbe rivolgergli questa domanda, se solo gli Amon Amarth sconfinassero dal successo specifico del genere ed entrassero nel mainstream come Metallica o Guns N Roses. Chiaro che un webzinaro metal sa bene il senso degli inni di Hegg e non si sognerebbe mai di fargli notare questo aspetto un po’ equivoco, ma se ci fosse una penna rosa di Vanity Fair, immagino che la domanda ci starebbe tutta. Gli Amon Amarth parlano di vichinghi e ne parlano sempre bene. Non c’è una canzone del gruppo che prenda un attimo coscienza di certi aspetti esasperati e distruttivi della vita del Berserk e gli altri scatenati “demoni del nord”. In questo somigliano ai Manowar, hanno il culto del super-uomo a cui tutto è concesso in nome della propria forza bruta. E non si pongono il problema del sangue versato e i disturbi post-traumatici che ciò significava per molta gente innocente. Per gli Amon Amawar la vita del vichingo è fica. Punto. Uccidere, rubare, saccheggiare, stuprare donne e bambine con un principio di seno: yeah! Grazie Odino, ti offro una birra nel Valhalla.
Che poi, uno si immagina il simpatico Hegg che arriva sotto casa nostra. Immagino che lo farei salire per offrirgli una birra, così come la mia ragazza non vedrebbe l’ora di accogliere il suo amico berserk Alexander Johan Hjalmar Skarsgård. Ma nella realtà che fu, a proposito di cancel culture e revisionismo infantile, quando i vichinghi arrivavano nei villaggi nostri, erano cazzi, amici miei. Ne sa qualcosa la vostra bis-bis-bis-bis-bis-bis-nonna che si fece possedere mentre il cranio di suo marito la fissava da una picca rivestita di sangue.
Ma non voglio dire male degli Amon Amarth, si fa per parlare. Anzi, sono convinto, che persino in questo episodio minore della loro discografia, svolgano alla grande la loro funzione essenziale e indispensabile di vera band heavy metal.
Vale a dire? Risvegliare alla grande la parte marziale che è sepolta in ognuno di noi.
Prendete un pezzo spartitraffico come Find A Way Or Make One. Hegg grida:
Non importa quali siano le probabilità,
non mi inginocchierò mai
Confido negli antichi dei e nel mio cuore d’acciaio
Quindi, schiantami con tutta la tua rabbia ma non puoi bloccare il mio percorso
Anche se le tue frecce bloccano il sole, troverò un modo di cavarmela o ne creerò uno!
Ascoltate, questa è una cosa importante che ho da dirvi, a parte gli scherzi. Gli Amon Amarth danno voce all’eroe, al Marte archetipico, il più boicottato di tutti. Quando sorridete imbarazzati mentre ascoltate simili versi, sappiate che lo state boicottando anche voi; state dileggiando l’eroe che in voi stessi langue attaccato a una catena di incertezza e depressione. Il vostro eroe ha bisogno di rispetto e di fiducia, invece. E gli Amon Amarth provano a infondervi proprio queste cose.
Sovente gli riesce bene ed è lo scopo naturale del miglior heavy metal: è nato per darci coraggio e richiamare dalla tomba l’eroe che abbiamo dentro tutti noi. Un grande riff in palm-mute o una melodia epica giusta, farcite con dei versi calzanti, possono ingrossarci il petto più di una pera di steroidi, capite?
Non so quanto questa canzone in particolare riesca a resuscitare il Marte in voi e spezzare le catene dal sarcasmo e il cinismo che lo tengono costretto in un angolo umido e scuro, ma io vi chiedo di provare a sentirla. Ascoltate la canzone e se avvertite un leggero tremore del cuore, non reprimetelo. Chiudetevi in una stanza, urlate tutto il vostro coraggio. Scapocciate contro il muro, fate la linguaccia allo specchio pieno di adesivi di Spongebob e Peppa Pig, rimasti lì da quando avevate dieci anni. Resuscitate l’eroe e correte a saccheggiare un super-mercato e mettere a ferro e fuoco un centro-anziani. Sono sicuro che troverete meno ostilità di quanto immaginiate. Hail!