Bad English – Implodere con classe

Quando si parla di super-gruppi vengono fuori subito due esempi agli opposti. I Contraband per chi vuol dire male di questa tipologia di band e i Bad English per chi invece preferisce ricordare il buono che un fenomeno così effimero e briccone riesce a volte a proporre. E il primo album omonimo realizzato da questa grande formazione resta ancora oggi impeccabile, quasi al punto che non saprei cosa dirne. Personalmente, da scrittore, preferisco il secondo, Backlash (che nella mia mente torna come Black-ish, non chiedetemi perché?. Forse perché mi fa pensare a tempi molto più torpidi e inquieti per la band, anche se analizzando e comparando i due album che ha realizzato, pure il primo non era proprio un capolavoro di magia bianca, anche se lo sembra tuttora.

L’epilogo rapido e apparentemente non molto doloroso dei Bad English è anch’esso tipico della natura dei super-gruppi. Si formano, realizzano due o tre dischi, accompagnati da un iniziale entusiasmo dei membri coinvolti e un genuino interesse d’attorno, e poi tutto si ammoscia. Per coprire gli impegni contrattuali magari arriva una raccolta o un live e dopo la band si estingue, con i musici che se la battono dalla finestra della gigantesca villa dove hanno consumato il bello e il brutto di una luna di miele stregata.

Il primo album dei Bad English andò bene sul mercato. Era il 1989, uscivano film di euforia patriottica piuttosto imbecille come Tango & Cash (cito non a caso) ingurgitati da noi poveri ragazzotti italiani senza un minimo di passino critico. Tutta la musica, che fosse pop o rock, continuava a istigare balli proibiti e spogliarellismi feriali. Era il momento ideale per un disco come Bad English, che non molti lo sanno, ma all’inizio doveva essere soltanto un altro album solista di John Waite.

Tra lui e Jonathan Cain, tastierista ormai celebre dei Journey, tutto si era interrotto amaramente al tempo dei Babys, e così, dopo diversi anni, il singer avrebbe voluto riprendere una collaborazione con l’altro e pubblicarla comunque a suo nome o come progetto a due.

Cain però pensò di coinvolgere lo sfaccendato Neal Schon e da lì le cose si fecero sempre più grosse fino alla storia che tutti sapete.
Ma come le cose erano iniziate grazie al sodalizio tra Waite e Cain, la fine della storia la scrissero sempre loro due.

Per capire come andò davvero la faccenda ci sono voluti 30 anni circa, e non è che avessimo tutto questo bisogno di scoprirlo, ma tornando indietro alle prime interviste rilasciate da John durante la promozione di quello che era già il disco di una band morta, il suddetto Backlash, fino alle dichiarazioni al tempo di blabbermouth, sembra che il vero problema non sia stata la disastrosa gestione del produttore coinvolto, Ron Nevison, a cui nel 1991 Waite dava la colpa a lingua sfrenata, ma le incomprensioni e le insofferenze tra lui e Cain, mai risanate.

Si era abituati male in quegli anni, perché nonostante oggi riascoltando l’album del collasso (si intitola Contraccolpo) è palese la presenza di singoli ideali per le classifiche, almeno quelle di due anni prima come Straight To Your Heart e So This Is Eden, ci sono ancora grandissime canzoni per qualsiasi tempo (Time Stood Still, Savage Blue).

Ma già durante la realizzazione dei nuovi pezzi, Waite avvertì una grandissima fatica creativa e con lui Cain. Non c’era quell’euforia che aveva caratterizzato le sessioni del primo album. Bisognava sudare di brutto per fare un altro disco e lo sforzo portò, almeno sul momento, alla sensazione che il seguito di Bad English non sarebbe stato in grado di ripetere i risultati del primo lavoro.

Che poi, ora pensiamo a tutti i singoli usciti da Bad English ma c’erano stati comunque investimenti elevati, troppo persino per i successi raggiunti. Realizzarono un sacco di clip nella speranza di spingere all’inverosimile l’album e tutto questo aveva portato grossi debiti che un lavoro travagliato e a manovella come Backlash di sicuro non avrebbe permesso di saldare.

E per dare il colpo di grazia, a parte le tensioni e il raffreddamento nei rapporti, tipico dei soci in affari in un’azienda che va a picco in modo vertiginoso, fu effettivamente la presenza in studio di un grande producer ma dal pessimo carattere come Nevison, il quale si impuntò con pretese fuori di melone, tipo far suonare al gruppo delle improvvisazioni fusion, registrarle e poi partire da lì per i nuovi brani. I Bad English e la fusion, capite? Come poteva andare?

E poi stava arrivando “la cosa del grunge” come la chiamano i vecchi tallosauri degli anni 70-80. Di conseguenza oggi è facile riconoscere la grandezza di un lavoro come Backlash, ma al tempo a quel disco si ruppe la schiena subito, ancora prima di uscire nei negozi. Tanto più che non avrebbe avuto neanche una promozione concertistica. Solo una serie di interviste amareggiate di Waite sulla lavorazione e l’epilogo di una storia troppo bella per essere vera oltre la durata di un orgasmo.

Tipo interessante John Waite. Quando lo intervistarono quelli di HM nel 1991, raccontò più della sua vita che dell’album e vennero fuori cose curiose. Un sacco di stravizi e di storie d’amore andate male, a scandire gli alti e bassi della sua discografia solista. Per esempio, il suo primo lavoro, Ignition, considerato tra le cose migliori che abbia mai realizzato, nasceva in un momento molto favorevole, tra feste scatenate e l’incontro con la donna più importante della sua vita. Invece il bistrattato Mask Of Smiles era il frutto acerbo e striminzito di una fase difficilissima, in cui le feste selvagge avevano lasciato John al palo con un problema di alcolismo e bipolarismo e la sua ragazza se n’era andata per sempre.

Scoprendo queste cose su Waite ho deciso di concentrarmi su di lui e il suo contributo ai dischi dei Bad English, vale a dire con i testi. Escludendo When I See You Smile, scritta dalla hit-maker Diane Warren, il resto dei brani oscillano tra un romanticismo fiero e propositivo (baby, se mi dai retta ti porto in capo al mondo e da lì andiamo con un balzo sulla luna) a un risvolto decisamente nero e tenebroso dello stesso eroe romantico quando il viaggio d’amore nello spazio si conclude con un’avaria.

Se ci fate caso è una cosa ricorrente di tutti gli anni 80. C’era una tendenza a pretendere con decisione il cuore di lei, anche se a lei non sembrava interessare granché. Il vocalist urlava che avrebbe avuto ciò che desiderava, che sarebbe stato l’uomo giusto. Tutto questo auto-determinismo proliferato da Paul Stanley, notoriamente un collezionista di amori tossici e destabilizzati, ha prodotto in tutta la decade più scema e vorace del secolo scorso, un campionario davvero significativo di canzoni da stalker. Partite da Every Breath You Take fino a Forget Me Not dei Bad English, appunto.

Per John Waite con i Bad English, ma non solo, l’amore non è mai stato semplicemente un viaggio meraviglioso a ritmi forsennati nel grande tour della vita di un individuo, ma un rapimento, una possessione fisica e spirituale che prosegue anche dopo che lei se n’è andata. Vedi Possession e Ghost In Your Heart, di cui parleremo in dettaglio tra poco.

A tal proposito, sempre badando ai testi, si può individuare una specie di serial tra due brani, uno per ogni disco dei Bad English. Deve essere successo al povero Waite un trauma legato alla pioggia sul tetto, perché lui usa, non so quanto consapevolmente, quest’immagine ricorrente in due pezzi decisamente poco allegri. Il primo è Don’t Walk Away e il secondo è Wait For Rain. In uno lui implora lei di non lasciarlo e nel secondo spera che lei non l’abbia davvero mollato. Possiamo immaginare come andò.

Eh, già, è curioso come i brani di un altro tempo vengano così diversamente percepiti oggi, al tempo del metoo# e la cancel culture. Per dire, When I See You Smile è, se analizzata da un punto di vista psichiatrico, una canzone di dipendenza patologica.
Se prendessimo queste ballate e invertissimo le tonalità, le arricchissimo di arrangiamenti e progressioni minacciose, i testi rivelerebbero tutta la loro follia sinistra. Il lato oscuro del romanticismo da classifica degli ottanta.

Prendiamo la succitata Ghost In Your Heart:

Stai piangendo nel sonno stanotte
Quando sei sdraiato con lui
Spegni la luce
Ti nascondi nei tuoi sogni stanotte
Nel tuo mondo
Io sarò il fantasma nel tuo cuore

In un certo senso anche Tenco scriveva roba così e pure lui non è che stesse tanto bene, con tutto il rispetto. Mi torna in mente la meravigliosa Lontano, lontano:

E lontano, lontano nel tempo
Qualche cosa negli occhi di un altro
Ti farà ripensare ai miei occhi
I miei occhi che t’amavano tanto

E lontano, lontano nel mondo
In un sorriso sulle labbra di un altro
Troverai quella mia timidezza
Per cui tu mi prendevi un po’ in giro

La differenza è che Tenco rispetto a Waite è uno spettro gentile, non ci crede poi tanto ma lo spera, è discreto e si accontenta di apparirle negli occhi di un altro, nel volto, nel bacio. Invece Waite promette una vera e propria infestazione. “Mi hai lasciato? Bene, sarò un fantasma nel tuo cuore, ti farò il culo, bellezza!”

Però nel 1991, a ripensarci oggi, c’era una situazione curiosa per i metallari. Al tempo, l’enorme vascone delle offerte prevedeva anche dischi come Backlash, così pieno di relazioni problematiche, dichiarazioni d’amore squilibrate e sogni a occhi aperti di una vita sentimentale dopo la vita.

Ecco, oggi tutto questo non c’è più. Nella serra a compartimenti stagni del metallaro odierno, troviamo solo vermi che fanno capolino dai cadaveri secchi, foreste innevate, spade lorde di sangue, viaggi psichedelici a dorso di mammuth e al limite un concept album su illuminati e cripto-valute. Il segno dei tempi. Prima c’era molta più umanità nel metal, grazie all’AOR e all’hard blues dei Great White.

Tornando invece al rapporto tra Waite e Cain, sembra che il secondo non pensi più molto a quel periodo. È orgoglioso di aver realizzato Bad English e non si rammarica per il fallimento di Backlash, cose che capitano in una lunga vita discografica piena di successi, vale a dire la sua. Il problema è quindi tutto di Waite, che a detta di Jonathan è un tipo che ha difficoltà a voltare pagina. “Ha la testa bloccata da qualche parte. Dicevo sempre che aveva un Libro dei bastardi e un giorno pure il mio nome ci è finito dentro”

Qualsiasi cosa dicano i diretti coinvolti, Backlash resta un discone.