Sono da giorni in discarica. Lo chiamiamo Ecocentro, perché se gli dai un nome più carino, puzza di meno. Proprio ieri un signore ha bussato alla porta del mio gabbiotto, costringendomi ad aprire sul brutto tempo e i suoi occhioni gonfi e tristi. Voleva sapere se ero interessato a dei CD. “Sono di mio fratello e non so davvero che cacchio farci”. Era un tipo corpulento e piuttosto malandato, con due grosse borse da nottambulo sotto gli occhi e l’aria di chi ha sorseggiato vino rosso quasi ogni sera a cena per almeno trent’anni, fino a quando i risultati dei trigliceridi non sono stati un terno secco sulla ruota di Napoli. Ci ho pensato su e gli ho detto di farmeli vedere.
“Sono in macchina, qui fuori”. Quando ha aperto il bagagliaio non ci potevo credere. Scatole e scatole e scatole di CD. Per farle entrare tutte ha dovuto tirare giù i sedili di dietro. Ho dato un’occhiata e ho scoperto che era tutt0 rock progressive…
Io per la verità, alcuni anni fa, ho venduto e regalato tutti i CD che avevo in casa. Riportarmi ‘sta gran quantità di plastica e carta nel mio buco non mi è sembrata un’idea irresistibile. Poi ho pensato ai miei contatti facebook che spendono un mucchio di soldi in vecchi album in cassetta, vinile e compact e allora, per non offendere loro (e pensando che magari avrei potuto rivendermi tutto su ebay) ho preso l’intera collezione e l’ho trasferita nel bagagliaio della mia auto, tirando anche io giù i sedili di dietro per farci entrare tutti quei pacchi e pacchetti.
Una volta a casa ne ho sistemati un po’ sullo scaffale lasciato vuoto dai DVD e poi ho guardato le numerose scatole ai miei piedi, con gli altri CD ancora dentro, in attesa di una sistemazione. Dove cavolo li avrei messi?
Boh, intanto ho fatto una cosa che non mi capitava da tempo. Mi sono tirato un po’ indietro e ho osservato la sfilza di titoli sullo scaffale, rimirandoli nel tipico stato mentale vago e un po’ sognante di chi si gode ciò che ha.
Questa cosa un tempo la facevo con i miei CD e la faccio ancora con i miei libri. Mi godo la vista della mia roba. Ma quelli non erano “la mia roba”, erano la roba di un altro, la sua storia di collezionista, di accumulatore, di appassionato. Spesso le tre cose sono sinonimi.
E ho pensato al tizio, quel fratello, stanco e vecchio, che me li ha regalati con la smania evidente di sbarazzarsene e allo stesso tempo un imbarazzo colpevole. Mi ha detto proprio “non so che cacchio farmene”.
Mi è venuta una certa malinconia. Ho immaginato il proprietario di quei compact che usciva con la mente leggera da un negozio, un pomeriggio soleggiato e inconsapevole degli anni 90, stringendo tra le mani tutto arrapato la bustina con dentro Holiday For Pans di Jaco Pastorius. Poi l’ho visto che infilava in un bell’impianto stereo nero, con le casse alte così, la prima edizione CD di Freak Out di Zappa.
Quei titoli davanti a me raccontavano una storia che stavo traducendo in immagini, fantasie, senza nemmeno accorgermene. Una storia che però non era mia e che, dopo una notte passata a rigirarmi e a pensarci su, ho deciso di non voler ospitare in casa mia.
Chiariamo, se avessi scelto alcuni di quei titoli per aggiungerli alla mia collezione, avrebbero raccontato ancora una volta, un momento della mia vita, come tutto ciò che ho accumulato nel mio appartamento, da tanti anni. Quei CD avrebbero ricordato a me di quando li presi a un morto, mentre ero alla discarica per lavoro. Ma io non avevo più nemmeno un CD in casa mia e quelli che al momento occupavano il mio scaffale, erano i segmenti dell’esistenza, ormai conclusa, di un altro. E non intendevo ospitarla. Non mi apparteneva, non mi andava di “adottarla”.
Vendere tutto? Oh, no. Ebay è divertente se compri, non se ti metti a vendere cose. Non ho la pazienza e la competenza per una cosa del genere. E non ho tempo. Avrei potuto fare una foto e offrire tutto su facebook, ma poi mi sono detto che non avrei fatto un favore ai miei contatti, dandogli ancora un po’ della loro droga preferita.
Sapendo ora che molti di loro, leggendo questo mio pezzo, mi malediranno, confesso comunque alla faccia loro, che ho portato i CD in discarica e li ho liberati da questo mondo, gettandoli in pasto al Moloch. E dopo ho smesso quasi di pensarci. Quasi.
Anche io un giorno, mi sono detto, me ne andrò. Le mie figlie piangeranno ma dopo, rimboccandosi le maniche e smobilitando migliaia di volumi polverosi e pile e pile di riviste metal anni 80, mi malediranno gettandole di persona, in diverse settimane di viaggi, nel vascone dell’ecocentro dove lavoravo, nel vascone Carta e cartone. Il mio spirito aleggerà sopra di loro, e agiterà le proprie catene in un inutile tentativo di esprimere biasimo.
Che tristezza. Già ora mi succede di guardare i miei libri, i miei vecchi HM, ricomprati a caro prezzo e chiedermi: che cosa mi ha detto la testa, perché ci ho speso dei soldi. Prendo un volume in mano e mi domando se davvero lo leggerò mai. Ancora ha il cellofan intorno. E come quello anche altri. Decine di titoli che stanno lì perché un me del passato si è messo in testa di approfondire un argomento di cui ora non mi interessa più nulla. Un me un po’ pieno di angosce dimenticate che non trovò di meglio da fare per scacciarle, se non buttare una mancetta o un pizzico di stipendio, su dei volumi che ora invecchiano senza essere mai stati aperti.
Penso ai collezionisti. In fondo io non ho manie completiste, io. Se mi piace un autore compro qualcosa, ma non ho la necessità di possedere tutta la sua produzione. Con la musica era lo stesso. Se un disco dei Motorhead non mi piaceva e lo sapevo, non lo compravo per avere TUTTO dei Motorhead. Era solo il contenuto a interessarmi.
Al tempo c’era un sacco di gente che possedeva CD perché era il solo modo di avere della musica da sentire e quello è stato il mio tempo. C’erano anche i collezionisti, allora come oggi, ma si notavano meno. La risacca del web ha portato via l’alta marea, lasciando i pochi granchi raccoglitori. Per loro è stata una festa. Hanno trovato montagne di CD a poco prezzo.
Mentre per la maggioranza della gente quelli erano ormai oggetti di poco conto di cui sbarazzarsi, scaricare mp3 e successivamente fare l’abbonamento a Spotify, alcuni non hanno mai smesso di riconoscere un valore altissimo a quelle… cose, proprio nella loro fisicità olezzosa e gracile. La musica per quelle persone è rimasta fisica.
Il mercato della musica è crollato e nell’usato on line, questi appassionati hanno racimolato tantissimo. Ma se da una parte hanno acquistato album a cifre ridicole, si sono anche ritrovati a sperperare migliaia di euro per averne sempre di più. Per non parlare dei soldoni sganciati sottovoce per aggiudicarsi a un’asta ebay il titolo raro che gli mancava.
Si sa, nelle cose irrazionali dell’uomo c’è sempre di mezzo il bisogno di sacro e la paura di morire. Quando non si comprende fino in fondo la condotta di qualcuno, bisogna pensare alla necessità di esorcizzare il nulla che soffia sulle sue spalle. Il nulla, la morte o in qualsiasi modo vogliamo chiamare Moloch, a un certo punto esso smette di soffiare e annaspare da dietro e ci alita la fronte, perché ormai è passato davanti e non ci insegue più: ci ha raggiunto, superato, senza nemmeno che ce ne accorgessimo. E ora ci attende paziente a braccia aperte da qualche parte là avanti. Troppo buio per stimare una distanza.
Io finché ho libri da leggere, forse ho tempo da vivere, mi dico. Eppure i mille volumi, che mi guardano e che mi raccontano innumerevoli pomeriggi passati a scartare pacchetti, a gironzolare davanti alle bancarelle o nelle librerie di altre città, sento sempre più che non avrò il tempo di viverli. La mia gigantesca libreria è ormai una clessidra capovolta e la polvere su quei volumi scorre direttamente sulle mie dita incerte.
I CD, migliaia che siano, uno può sentirli tutti, ci vuole meno tempo rispetto a una biblioteca. Però non potrà risentirli e risentirli quanto meriterebbero.
Per un collezionista ciò che conta è averli, metterli l’uno accanto all’altro e rimirarli. E finché ne avrà da comprare, la sua vita continua. Spesso, come nel caso di molti miei amici in fissa con il metal, sono lassi di musica passata, legata a un periodo storico che oggi, nella mente di chi recupera, era bello, appassionato e spensierato. Balle.
Balle sì, ma almeno la morte era più lontana, dicono.
Balle ancora. Come diceva Seneca, la morte è sempre alla stessa distanza, in ogni momento della nostra esistenza, solo che ci sono attimi in cui si fa notare di più e altri meno.
In ogni caso Seneca morì, io morirò, tutti moriremo. E lasceremo tanta roba che apparirà a chi ci ama, inutile. Anche il collezionista di CD metal morirà, la collezione non sarà ancora finita e un fratello seccato, o due figlie stanche e depresse, porteranno tutto in discarica. Lo faranno perché non avranno la stessa passione, il tempo, la pazienza, la dimestichezza con ebay per venderli e soprattutto perché quelle cose gli ricorderanno dolorosamente chi non c’è più.
Un operatore dell’ecocentro che non ascolta musica, se non in radio la mattina mentre caga la cena di due sere prima, mormorerà “è un peccato” guardando tutti quei compact nelle scatole, ma dopo si girerà e tornerà a scorreggiare in ufficio, lasciando i parenti del defunto a sfacchinare via il peso della paura, dell’ingenuità e del sapere riduzionistico che ha innalzato a monumento della propria intima avventura esistenziale. Lui non c’è più e tanto sperava di esserci ancora, fino alla fine dell’ultima canzone. O come me, fino all’ultima pagina o l’ultima riga.
Al termine della notte in cui non vi sveglierete, cari collezionisti di CD metal, resterà a salutare il giorno, solo il fruscio della puntina e un disco che nessuno potrà più girare. Grattatevi pure e correte su ebay a rifarvi l’umore, ma purtroppo è così. E lo sapete bene.
Ma sapete perché vi dico questo? Non voglio portarvi sfiga, cazzo. Cerco solo di farvi notare (e con voi lo noto anche io) che la morte ci fa vivere in modo stupido e inutile. La smania di sfuggire alla consapevolezza della morte ci conduce verso comportamento e stili di vita ridicoli, orrendi e patetici. Sapere che ce ne andremo non deve spingerci indietro e con lo sguardo fisso su un particolare della nostra esistenza (un CD) e un momento infinitesimale della nostra esperienza (il piacere di comprarlo e di ascoltarlo e poi tenerlo) spammandolo in tutto il piccolo tempio della nostra vita intima.
Il fatto che prima o poi dovremo andarcene, restituire ciò che non è mai stato nostro, è utile a spingerci molto più in alto di cosi. Gli oggetti sono pesanti e ci tengono nel fondo, nella risacca dell’esistenza. Le esperienze, per quanto spiacevoli, sono il nutrimento di cui abbiamo davvero bisogno.
Forse dovremmo buttare noi la nostra roba in discarica, anziché costringere i nostri cari a un compito così pesante e triste. Lasciamo su questa terra meno segni fisici possibili del nostro retaggio e soprattutto lasciamo ricordi, sogni e speranze nel cuore di chi ci sopravvive, così che potrà usarli per ispirarsi e andare nel profondo della propria esperienza. Dei CD, montagne di libri o anche di vestiti, sono solo cose. E dopo che ce ne saremo andati, non diranno proprio nulla di quello che crediamo dicano a noi, a chi rimane.