Ripetersi e frammentarsi – Riflessioni sull’andazzo del mercato metallaro nel 2023.

Sono usciti, tra i tanti, tantissimi, album di questo inizio 2023, un paio di titoli che dicono chiaramente dove stia andando il mercato musicale metallico. Parlo di Foregone degli In Flames e IX degli HOST.

Il primo è il ritorno, piuttosto telefonato, visto che ne parlavamo già in occasione dell’uscita del disco dei The Halo Effect, degli In Flames al sound dei tempi gloriosi. Le recensioni, per lo più entusiastiche, esaltano solo tale aspetto: il suono dei vecchi tempi. Le canzoni sono discrete, alcune sopra la media recente, ma l’aspetto davvero esaltante è che gli In Flames o il poco della line-up storica rimasta, ha ripreso il bandolo produttivo di Clayman e Colony, dopo vent’anni di contaminazioni ruffiane metal-core e rockettone per famiglie…

Quindi, mentre gli Halo Effect hanno realizzato un grande album alla In Flames vecchi tempi, e ci sono riusciti perché tutti i membri coinvolti sono stati, anche solo per due settimane, in quella band ai tempi in cui era fica, gli In Flames attuali rispondono con un lavoro che vuole essere più In Flames vecchi tempi degli Halo Effect.

Quando hanno chiesto ad Anders Fridén cosa ne pensi di Day Of The Lost (comunque disco paraculo del 2022) lui ha risposto che non l’ha sentito (boom!) e che forse non è una cosa carina e rispettosa nei confronti degli Halo Effect, ridurli a una posse di reietti dei vecchi In Flames.

Il gruppo di Jesper Strömblad e Mikael Stanne per la verità non è irritato dalla sensazione generale di rimpatriata percepita. Persino le canzoni parlano di quanto sia bello tornare alle origini, da buoni amici di una volta. Probabilmente la nostalgia è il solo elemento che tenga insieme tutto il gruppo (a parte i consensi imprevisti di pubblico).

La nostalgia, il ritorno, la ripetizione pedissequa dei lontani giorni felici. Nel metal odierno, il bello è sempre di più tutto qui.

Day Of The Lost e Foregone hanno senso solo oggi. E muoiono con l’oggi.

Tra vent’anni non sapremo bene cosa abbiano rappresentato per il pubblico del 2023. Se ascoltiamo The Jester Rice saremo catapultati negli anni 90, se ascolteremo Creatures Of The Night dei Kiss negli anni 80, ma dove ci porterà tra vent’anni un lavoro come Phantom Antichrist dei Kreator o il nuovo dei Rancid Cadaver?

Ve lo dico io, nel nulla. Il nulla in cui ci stiamo cacciando, non solo con questa festa dello stereotipo musicale in cui si sono rifugiati il rock e il metal, ma non solo, da troppi anni.

Su Blabbermouth stamani ho letto l’interessantissima notizia che Shavo Adadjain stia lavorando a un disco solista e che voglia insopprimibilmente tornare alle proprie origini.

Curioso che lo dichiari come se questa cosa non sia banalissima e inutile.

Tutti tornano alle origini di questi tempi, Shavo. Anche tu a romperci i coglioni con un disco del cazzo che torna alle origini.

Ma poi quali?

Ovviamente i suoi sono intorno al 2002, mentre le origini rimestate dal consorzio reduci dall’esperienza In Flames (Halo Effect) e dal consorzio per la sopravvivenza dell’esperienza In Flames (gli In Flames di Fridén) risalgono al 1998-2000.

Non stiamo parlando di musica, sia chiaro, solo di intenzioni, di sensazioni e di nostalgia idiota per un recupero impossibile del tempo perduto.

Anche i Paradise Lost hanno avuto nostalgia e si sono rimessi piano piano sui propri passi, recuperando sul death-doom nel giro di quindici anni e sei album (Medusa soprattutto); hanno fatto bene a prendersela comoda, i Metallica hanno tentato la scorciatoia in un solo album (Death Magnetic) e si sono praticamente mescolati nella macchina del teletrasbordo con i personaggi del musical il Mago di Oz.

Ma i Paradise Lost sono quelli che nel 1999 pubblicarono un disco, Host, senza le chitarre. Vi rendete conto? Una band metal che fa un disco senza le chitarre! Fu un eroico suicidio, ma il gruppo al tempo se ne fregò e realizzò quello che voleva davvero, a costo di rovinarsi la carriera.

Oggi, dopo un ritorno alle origini estreme, Holmes e MacKintosh, tipici irrequieti, si sono rotti il cazzo un’altra volta di berciare e hanno ricominciato a sentire la smania elettronica. Invece però di ripartire dai sentieri lasciati inesplorati con Host e dare il nome Paradise Lost anche a questa nuova-vecchia svolta senza le chitarre, hanno deciso di avviare il progetto HOST, lasciare i fans a dormire tranquilli e realizzare un disco di sicuro buono, ma clamorosamente destabilizzante per chi ricorda HOST come un altro album imprevedibilmente doloroso ed eccitante dei grandi Paradise Lost del cazzo!

Per carità, i tempi in cui Heaven And Hell era un disco dei Black Sabbath o quando Loud era un album dei Metallica non erano facili? Se però, al di là dell’attaccamento a un suono o a un singer, gli album erano grandiosi, alla fine chi se ne fregava se molto diversi dalle cose di prima.

Loud non fu una delusione per il cambio di stile e il taglio di capelli con aggiunta di mascara sui volti degli ex foruncolosi e butteruti Metallica, ma perché era sostanzialmente un disco irrisolto, modesto.

Nessuno si incazzò con Iommi quando uscì Heaven And Hell. I fan di Ozzy ruppero le palle per un po’, ma oggi anche loro cantano Lady Evil quando gli gira bene.

Comunque bisognava farsene una ragione. Poteva piacere o meno, ma le band ci costringevano ad accettare dei cambi d’immagine e di stile talvolta vertiginosi, sospetti, bricconi. Oggi non vogliono più turbarci e preferiscono organizzare la propria schizofrenia creativa, segmentandosi.

Se uno ama i Paradise Lost di Draconian Times e non sopporta le derive elettro-dark di Host e One Second, può evitare di acquistare (parola grossa) IX degli Host, così come chi ama i Black Sabbath di Ozzy, può benissimo pensare che Mob Rules sia un disco degli Heaven And Hell, ma dovrà ancora convivere con l’assunto indigesto che Forbidden sia comunque ufficialmente un lavoro dei Black Sabbath e non degli Eternal Idol o magari dei Tony Iommi’s Black Sabbath, così come il buonissimo Tyr e l’ancora troppo sottovalutato The Headless Cross.

E vi rendete conto che dopo tutta questa tirata non stiamo per niente parlando di musica?

Vi sorprende? Ormai le canzoni sono accessori, vestiti sonori da indossare e togliere a seconda dell’umore o dell’estro.

Ritorno al passato e deframmentazione identitaria, ecco i due modi sicuri per tenere il metal lì dove si è incagliato da circa diciotto anni di revivalismi e di nostalgia differita. Ma non sentite che questa cosa è malsana e non ci conduce da nessuna parte?