1916 è un disco importante nella carriera dei Motörhead. Per molti fu una delusioni e per altri una rivelazione. Fu Top Album su Metal Shock (rece di Beppe Riva) ma ricordo una stroncatura su HM di un certo AV (indovinate voi a cosa corrispondano le iniziali, io non riesco proprio) ma sono passati più di trent’anni e ormai non ci vuole un grande sforzo di comprensione per capire che, piaccia o meno, 1916 è stato il nuovo incipit per i Motörhead anni 90/2000 ed è il primo lavoro del gruppo inciso e prodotto negli Stati Uniti. Per quello che mi riguarda è l’ultimo grande album della band e il picco di un momento creativo forse non all’altezza degli esordi, ma senza dubbio fecondo per Lemmy e i suoi sodali.
Lemmy e i suoi sodali sembra il nome di un complesso beat anni ’60 ma come alternativa sintattica alla parola Motörhead è sempre meglio di “Lemmy e soci” o “Lemmy e i suoi amici” di cui abbondano le recensioni di Truemetal e Metalitalia. Non c’erano soci e non c’erano amici nei Motörhead, ma sodali sì.
Bisognava essere sodi e tener bene la grappa alle zanne dello Snaggletooth, se si voleva correre assieme alla band, specie in un periodo che è stato apparentemente il migliore in termini di contratti e budget (1990-1992) ma allo stesso tempo è stato anche il più turbinoso e deludente per quanto riguarda il rapporto con le etichette discografiche.
Ma partiamo dall’inizio, anzi dal nuovo inizio: Lemmy lascia la bigia e fradicia Inghilterra per il sole della California. Ha 44 anni ed è al verde. I giornali britannici si ricordano di lui proprio grazie a questo trasferimento e riempiono pagine e pagine di proclamevoli addii e parole di rimpianto. “Come faremo senza di lui? Titolano Kerrang e Metal Hammer. Invidiamo gli USA, soprattutto l’industria delle slot-machine di laggiù”.
Lemmy in USA ci va da solo, in avanscoperta, come il capofamiglia che parte da un paese affamato e prova a sistemarsi in un paese economicamente più ricco, prima di portarsi dietro moglie e figli. E lui si ambienta presto. Il suo occhio critico osserva le biondone sui pattini, la movida losangelina, i barboni che vomitano in strada e si sente quasi a casa.
Ci voleva un cambiamento, si dice. Subito dopo scende in strada, si infila in un bar e molesta una cameriera.
Ma se per Lemmy il suo stile di vita è più o meno lo stesso ovunque, è innegabile che far ripartire la carriera dei Motörhead dagli Stati Uniti sia stata storicamente una scelta positiva. Il livello di 1916, March or Die e Bastards è impensabile rispetto allo schifo dei suoni di Orgasmatron e il piattume di Rock ‘n’ Roll.
Ma la storia di 1916 è travagliata, almeno all’inizio.
Allora, alzi la mano chi conosce la faccenda con Ed Stasium? Nessuno? Va bene, ve la dico io.
All’inizio era lui che doveva produrre l’album nuovo dei Motörhead, accasati da poco alla Epic/Sony.
Stasium era già noto per aver lavorato con i Living Colour, sia su Vivid del 1988 che Time’s Up del 1990.
La cosa carina che riesce a dirgli Lemmy per convincere Ed a lavorare con i Motörhead è questa:
“Amico, ho sentito suonare i Living Colour dal vivo una sera e dopo il concerto ho pensato: deve essere stato davvero in gamba chi li ha prodotti perché rispetto a come suonano sul disco, dal vivo fanno pietà”.
Stasium è un fan dei Motörhead e vuole davvero collaborare con Lemmy, quindi glissa su questa faccenda, anche se dentro di lui pensa: “ma che stai a di’? I Living Colour dal vivo sono grandiosi…”
Ed rilancia così: “io vi ammiro molto e sono felice che abbiate pensato a me. Però vi avverto di una cosa. Se lavoreremo insieme, dovrete accettarmi come quinto membro della band. Sono abituato a farmi sentire su ogni aspetto e dare il mio contributo in ogni aspetto di un disco”
Lemmy guarda Wurzel. Wurzel guarda Lemmy che guarda Philty che si gira verso Cambpell che guarda il vuoto. Non gli piace per niente uno che si impicci tanto da voler essere parte del gruppo, loro necessitano di un arbitro che li divida quando si azzuffano tra loro, ma non sanno chi altri chiamare a parte Ed e così Dopo un minuto di silenzio collettivo, Kilminster biascica per tutti un “fantastico, è proprio quello che vogliamo noi” che sa di bugia peggio della faccenda sul concerto di merda dei Living Colour, ma visti in vita sua.
Stasium e i Motörhead si danno appuntamento in studio e iniziano a lavorare su tre pezzi, tanto per provare se funziona. I brani sono No Voices In The Sky, Going To Brazil, Love Me Forever.
Nonostante le buone intenzioni di entrambi, c’è un limite abbastanza evidente alla collaborazione tra il gruppo e il produttore. I Motörhead si drogano e Stasium no. Questo può minare la condivisione, non credete? Ma le cose poi vanno a finir male per colpa delle Claves.
Dopo aver registrato i pezzi, Lemmy li riascolta e scopre che Ed ha inserito nel mixaggio delle cose che non c’erano: vale a dire le Claves.
Stasium nega e la band prova a crederci. Qualche tempo dopo succede l’intollerabile. Riascoltando i nastri, Lemmy scopre che manca il basso. Ed nega ma Kilminster, abbastanza brillo e impaccato di speed, gli si butta addosso e gli rutta di nuovo che “il basso è sparito, dove l’hai messo?” e lo strattona fino a farlo cadere col culo per terra. Per il producer è abbastanza. Si alza e se ne va. Fine della collaborazione.
La produzione del disco passa a Pete Solley.
Chi è? Umh, vediamo… Pete Solley è un ex tastierista dei Whitesnake nel 1978, la sua storia di produttore, almeno in ambito heavy, nasce e muore con i Motörhead, da 1916 a March Or Die.
Evidentemente è un tipo più accomodante. Il problema con Strasium è che si trattava di uno che aveva le proprie idee e tendeva a farle valere in studio. Lemmy ha sempre detto che ci voleva un elemento esterno per far bene un disco, riferendosi all’esperienza per lui disastrosa di Iron Fist, prodotto (maluccio) da Fast Eddie Clark. Ma un gruppo come i Motörhead nel 1991 sa fin troppo bene ciò che vuole, ha una ricetta precisa e per quanto Strasium abbia spiegato le motivazioni del perché secondo Kilminster il basso “sembra sparito”, di fatto il basso era sparito davvero dalle orecchie di Lem e, che fosse colpa sua o di Satanasso, la cosa non era mai capitata prima in sedici anni di carriera del gruppo. Cazzo, non puoi realizzare un disco dei Motörhead se ti perdi per strada il basso.
Solley ce la fa e 1916 è a tutti gli effetti un altro album tipico della band, almeno nel fatto che si sente il basso di Lemmy e che non ci sono claves o congas nella sezione ritmica. Inoltre è un tipico album della band grazie a pezzi “classici” come The One To Sing The Blues, Going To Brazil, Shut You Down e Make My Day, ma se insieme a quelli ci fossero stati altrettanti pezzi così prevedibili, non staremmo qui a scrivere ‘sto articolo.
Potete esser certi che se i Motörhead, in un periodo così delicato e di cambiamenti come il 1991, si fossero incaponiti a calpestare la solita vecchia strada da cima a fondo, sarebbero andati a picco dentro una delle numerose pozzanghere di quel loro piatto sentiero. C’era bisogno di reinventarsi e Lemmy questo lo sapeva. E sapeva anche un’altra cosa. Lui era capace di riuscirci.
Il suo vecchio pubblico non credeva e non si aspettava nulla, al punto di iniziare a dare il gruppo per finito. La nuova generazione, tra Nirvana, Guns e Metallica, quasi non sapeva chi fossero i Motörhead. Avrebbero pure potuto non scoprirlo mai. Dipendeva da Lemmy.
Oggi sembra impossibile. I ragazzi spulciano You Tube in cerca di gruppi classici; adorano Orgasmatron e la versione di Good Save The Queen, ma all’inizio dei 90’s le cose non andavano così. Si guardava avanti, c’era poca memoria e il solo archivio a cui attingere, per chi avesse avuto questa insolita necessità, erano i vecchi dischi dello zio in soffitta.
1916 ha tenuto in piedi la band grazie a quello che non ti aspetti da un disco dei Motörhead. Per cominciare una botta di melodia da stendere un vitellino in fissa col punk-rock: No Voices In The Sky. Poi una ballad su un amore finito male: Love Me Forever. Un intermezzo dark atmosferico pieno di effettacci vocali: Nightmare (The Dreamtime) e a chiudere l’album un lento voce e archi: 1916.
Partiamo dal primo. Si tratta di un pezzo cantabile e Kilminster, con quella voce al catrame, secondo il pubblico di allora, non può farcela. E invece lui, fanculo, canta e se la cava benissimo. Per qualche fan è un’esperienza strana ma la cosa funziona. “Funziona, cazzo” come disse Wurzel a Metal Hammer, riguardo Love Me Forever. Appena dichiara che si tratta di una ballad il giornalista si mette a ridere, ma “la cosa funziona, amico, le parole, la melodia, sentirai…”
Luca Signorelli al tempo scrive bene di 1916 ma su Love Me Forever dice che Lemmy come cupido canterino non è credibile. Si sbaglia. Se Love Me Forever è un esperimento riuscito, solo in parte non è per il cantato. Trovo personalmente che si basi su un giro di accordi troppo scontato. Se lo prendete, potete cantarci mezza storia del rock, ma i versi sono buoni. Non è una melensa confessione di chi non ha avuto il coraggio di amare o cose simili. Si tratta della versione di Lemmy su cosa sia l’amore ed è schietta, realista, spietata. E solo Lemmy può cantarla, come gli viene a lui.
Kilminster non sa scrivere dei lenti, dice la gente del tempo. Sbagliato anche questo. Se ce la fa Ozzy perché lui non potrebbe? Guarda caso, Mama, I’m Coming Home l’ha scritta proprio Lemmu per Oz. Ma ci sono anche I Ain’t No Nice Guy in March Of Die e l’ancor più bella Don’t Let Daddy Kiss Me in Bastards. Del resto lui ha sempre detto che i pezzi difficili da scrivere sono quelli veloci. Che ci vuole a scrivere cose malinconiche e ballabili?
Ma attenzione, queste sono comunque delle forme di canzone derivate da modelli rock già abusati. Dentro ci sono melodie efficaci e testi che colpiscono, però siamo sempre nell’ambito delle ballate. È con 1916 che lui fa qualcosa di grandioso. Oltre a essere un pezzo in cui non usa nessuna delle sue consuete armi, a parte la voce ma in modo molto diverso dal solito, Kilminster qui inventa praticamente un nuovo modo di fare una canzone, mescolando la solennità delle vecchie ballate di guerra alla classica forma pop alla Beatles, ci presenta una roba mai sentita. Non è solo il Lemmy che non ti aspetti, ma è qualcosa che non ti aspetteresti da nessuno. Poteva essere un segmento di The Wall, e sono sicuro che Roger Waters avrebbe voluto inserire un brano del genere nel suo concept. Oggi l’hanno riproposto i Sabaton, omaggiando anche i Motörhead, ma chiaramente non è il genere di Lemmy e Motörhead che il pubblico conosce e adora. Anche perché 1916 parla di guerra e lo fa in modo anti-retorico, lucidissimo e allo stesso tempo straziante, con l’immagine finale dei due soldati nel fango che gridano mamma… “e la mamma che no, non viene. Vi domando, da quanto tempo non esce un pezzo contro la cazzo di guerra nel rock e nel pop?
Metal Hammer, nella veste di James Sherry, scrisse: 1916 è arrivato quando pensavamo fosse finita. Ora ci aspettavamo qualcosa ma se questo è l’esempio di come saranno i Motörhead negli anni 90, mi sa che non ne vale la pena. Abbiamo ancora bisogno di altri dischi dei Motörhead???
Poveraccio, ne vedrà uscire altri 12 in un entusiasmo crescente generale. Ma rileggendo le vecchie interviste durante il periodo promozionale di 1916 tirava una brutta aria intorno alla band e il grosso contratto con la Epic sembrava inspiegabile, in un periodo così a ribasso.
Fa un po’ ridere che sulle riviste del periodo, quasi tutti gli intervistatori, italiani e stranieri, individuavano tra le ragioni dell’inaspettata rinascita dei Motörhead, il ritorno in formazione di Philty “Animal” Taylor. Anni dopo si è venuto a sapere che il poveretto era tollerato dal gruppo con un certo imbarazzo perché si era rivelato assolutamente non più all’altezza del ruolo.
E quando è stato sostituito, i giornalisti hanno continuato a sostenere di come l’abbandono di Philty potesse causare un terremoto e una conclusione improvvisa nella carriera della band. Si è parlato di abuso di droghe o di guerra tra ego, ma la verità, non rivelata da Lemmy nel 1992 e pubblicata sulla biografia dedicata alla band, da Joel McIver (Tsunami) era che Philty non era più in grado di suonare con il gruppo. Non ricordava le sue parti, aveva vuoti di memoria frequenti e un calo vistoso della resistenza fisica. La cosa peggiore in tutto ciò però è che Taylor non voleva ammettere che c’erano dei problemi e quindi non faceva nulla per tentare di porre rimedio.
Poi c’è l’interessante questione della Epic/Sony. All’uscita di 1916 Lemmy era davvero ottimista sul contratto con la grossa etichetta. Beppe Riva su Metal Shock parlò di un contratto di sei album!!! (lascio anche i punti escalmativi). Lem se non altro prevedeva un salto di qualità, dopo anni di stenti e sodomie contrattuali, ma si sbagliava.
Solo un anno dopo, March Or Die, nonostante resti ancora oggi un ottimo lavoro, con ospiti di prestigio come Ozzy e Slash, nonostante i grandi sforzi compiuti dal gruppo (un videoclip autoprodotto e l’inserimento privato di I Ain’t No Nice Guy nelle radio americane) non viene promosso minimamente dall’etichetta e le vendite inevitabilmente sono basse. Il riscontro deludente determina da contratto lo scioglimento dello stesso.
Beh, oggi si sa che la Epic/Sony nel 1992 voleva proprio levarsi da torno i Motörhead e decine di altri utili idioti della vecchia guardia metallara in crisi nera. Per motivi di magheggi fiscali, l’etichetta aveva scritturato nel 1990, con contratti offerti al volo e false promesse di rinascita, diversi nomi storici senza speranza. La tristezza è che i Motörhead in quel transito economico da squali dell’economia, erano rinati per davvero e avevano creduto alle puttanate della Sony.
Pensate anche a questa merda quando rimpiangete il vecchio sistema discografico ucciso dal filesharing.