Armored Saint – The Past, The Future And The Pulcinella’s Secret

Pezzo dedicato a Manuel Fiorelli. Vi consiglio di recuperare lo speciale monografico che scritto per Classix Metal n.6, anno 2010

Il primo crack è stato quando siamo stati scaricati dalla Chrysalis nel 1988. Poi, Dave Prichard è morto, nel 1990. Lì ci siamo sentiti come se la band fosse definitivamente fottuta. Ma siamo tornati insieme e abbiamo realizzato Symbol Of Salvation nel 1991. E ricordo che c’erano grandi aspettative attorno a noi, l’etichetta (Metal Blade), il management, noi stessi, tutti speravamo di farcela. Sebbene il disco abbia ricevuto ottime recensioni e riconoscimenti, quell’anno era l’alba del Grunge e ci siamo persi in quel caos. Questo ha aperto definitivamente delle ferite e ha contribuito a prendercela l’uno con l’altro per tutto quanto. Poi, John Bush ha ricevuto la chiamata dagli Anthrax e (al contrario di quella volta con i Metallica ndr.) ha accettato. (Joey Vera)

Perché gli Armored Saint non hanno sfondato durante gli anni “storici” della propria carriera? Secondo me le ragioni sono tre. La prima è lo scarso sostegno discografico. Hanno esordito con la Chrysalis, etichettona piena di nomi grossi, ma che non sapeva come promuovere un gruppo tipo il loro.

Col senno di poi abbiamo fin troppo chiara tale difficoltà: non erano né carne (glam) né pesce (thrash). Quasi tutte le band che negli anni 80 tentarono di guadagnare e mantenere un perfetto equilibrio tra i vari sotto-filoni del metal, hanno fatto una brutta fine (Crimson Glory). Ed è evidente, ormai, che il genere, sin di primi anni di vita, ha preso subito la china della deframmentazione in tante piccole sotto-cose, alcune più fortunate e altre meno. Nel caso di thrash e glam o più avanti il black e il death, la stampa ha pensato bene di contrapporle, in modo abbastanza ridicolo e del tutto controproducente per gli amanti stessi delle sonorità più veementi.

John Bush e Joey Vera con l’uomo che li mise sotto contratto alla Chrysalis: Ron Fair.

Quindi sì, la Chrysalis, tronfia etichetta cattivona che ha sciupato il prodigioso (non esageriamo) exploit degli Armored Saint, non aveva un compito facilissimo; che vi abbia rinunciato quasi subito è un altro discorso ma le label gonfie di gruppi di successo non perdono molto tempo dietro qualcosa che non funziona subito. Pensate che nel 1984 avevano nel rooster Billy Idol, Pat Benatar, Blondie e Huey Lewis and the News e che solo dopo due anni li liquidarono quasi tutti. Quale pazienza potevano avere con un gruppo che vendeva benino subito e poi un po’ meno già con il secondo album?

Gli Armored Saint avevano un contratto per tre dischi con la Chrysalis e l’impegno fu onorato da entrambe le parti. Si tratta del trittico considerato ormai classico ma che ci racconta la tipica parabola calante di un fallimento decisivo, in termini commerciali. Da un inizio assai condizionato, a detta dello stesso gruppo, e in parte traviato dai consigli della label (March Of The Saints), a un seguito più emancipato e verace (Deliriuos Nomad) ma di minore impatto sul mercato, a una chiusa più dark e malmostosa (Rising Fear), interessante ancora oggi non tanto per i meriti artistici, dato che è il meno ispirato, ma perché esprime chiaramente una gran tetraggine dovuta, con molta probabilità, al senso di sfiducia da parte della band verso il mondo discografico e riguardo il proprio futuro prossimo.

Insomma, la paura sorgeva nel 1987, perché LORO se la stavano facendo sotto! Paragonandolo il cammino degli Armored Saint a quello dei Wrathchild America o dei Powermad, possiamo evincere con una certa sicurezza, la massima che per una band heavy metal non è mai una cosa buona esordire con una major. Non porta bene, ecco.

Questi tre album, fino alla fine degli anni 90 non sono stati percepiti da pubblico e critica, per quanto la cosa oggi vi possa sorprendere, come necessari o addirittura fondamentali nella storia del genere. Gli Armored Saint erano solo una delle centinaia di band valide che non ce l’avevano fatta e il loro catalogo riesumato era buono per un pubblico di nostalgici in lite con il proprio tempo. Ricordo che dalle riviste specializzate, le rare volte che capitava di citarlo, c’era una particolare considerazione per Symbol Of Salvation, ma non al punto di metterlo nella classifica dei migliori cento dischi del 1991, sia chiaro. Al tempo te lo tiravano dal cestone dei Nice Price e il più delle volte lì dentro ricadeva.

Dal 1993 il gruppo era ufficialmente defunto ma ancora menzionato sulle riviste come “la band di provenienza del nuovo frontman degli Anthrax” John Bush. E difficilmente il pubblico avrebbe immaginato un trascorso fatto di spade infuocate, armature, Mad Max, santi con le mani pruriginose, così come, a sentire Stomp 442, sarebbe stato difficile ricollegare quel misto tra Pantera e Suicidal Tendencies ai trascorsi di Madhouse o Belly Of The Beast. Bush e gli Anthrax avevano voltato le spalle al proprio passato pur di sopravvivere in un mondo discografico in grande evoluzione. Un gruppo come gli Armored Saint erano un’anticaglia un po’ triste dell’intasato decennio hard and heavy.

La seconda ragione dell’insuccesso degli Armored Saint è stata la sfortuna. Basti solo pensare che un certo punto della loro carriera, al principale compositore è venuta la leucemia e proprio nel momento più delicato, la rescissione di un contratto con una grossa etichetta e il bisogno di un rapido rilancio sul mercato, lui sia morto (Dave Prichard 1963-1990), costringendo il gruppo, tra una fisiologica elaborazione del lutto e l’inconveniente di riorganizzare una line-up ottimale, a una pausa discografica di quattro anni, che in termini di carriera musicale è la condanna a una fine per inedia nel deserto delle cavallette parlanti.

Oggi le sorti di questo dimenticato guitar player rosso e dall’aria simpatica e un po’ pazzerella, sono paragonate a quelle di un altro sventurato sul più bello, Criss Oliva dei Savatage, due disgrazie che avrebbero potuto rendere le cose, secondo me, non tanto diverse da come sono andate, al netto di tutte le speculazioni retoriche, di cui anche questa può tranquillamente esser considerata parte.

La terza ragione è la totale mancanza di sincronismo con le tendenze e i momenti vincenti della Storia del Metal. Se vi andate a riascoltare i primi quattro album degli Armored Saint, potrete dire che è musica di qualità, con buone idee e, nonostante i molti anni, ancora in grado di accendervi il cuore, ma sapete bene che questo non basta per arrivare da qualche parte.

Non c’è nulla in uno dei primi album degli Armored Saint che non possiate ascoltare in un altro buon disco di heavy metal tra 80 e 90. Non intendo i pezzi, ce ne sono ovviamente di bellissimi lì dentro, ma le idee, capite? In quegli anni si poteva innovare, contribuire a inventare ancora quel tipo di musica, non tutto era stato detto e fatto. Nel caso dei Saint però, con tutto il rispetto, non aggiunsero praticamente niente alla ricetta. Si limitarono a cucinarla alla grande, tutto qui. Forse sono ingeneroso ma sti cazzi, fate che volete.

In ogni caso la qualità di un album non è sufficiente alla sopravvivenza di un gruppo, ne converrete con me. La storia del metal è un cimitero lastricato di migliaia di ottimi vinili mal promossi, mal prodotti e assistiti pessimamente dal signor fato.

Gli Armored Saint non sono mai stati abbastanza originali da spiccare sugli altri, ecco. E se per voi l’originalità è la qualità più ingrata, beh, allora diciamo che pure sul lato ruffiano e degli “hooks”, il gruppo non ne ha mai imbroccati granché; almeno fino a Symbol Of Salvation. Lì è innegabile che brani come Reign Of Fire, Long Train Home e Hanging Judge siano davvero moooolto accattivanti, ma potevano competere non dico con Enter Sandman o November Rain o persino Hot Wire dei Kix o Edison’s Medicine, secondo voi?

Mentre vi dico questo non dimenticate che la carriera di un gruppo metal, fino a vent’anni fa, si misurava nell’estensione della paghetta media di un adolescente. Solo oggi, grazie all’offerta generosa della rete, possiamo dedicarci con calma a un grande lavoro come quello. Symbol Of Salvation è in effetti un discone. Poteva rappresentare la riscossa dei Santi e le aspettative che l’ambiente aveva intorno a esso sono legittime, a mio parere. L’album è carico di morte e di speranza insieme, ci sono i fantasmi lì dentro!

Ma non sono bastati a salvare il gruppo dall’oblio (temporaneo). È il lavoro postumo di Dave Prichard, resuscitato tecnologicamente inserendo un suo assolo nel brano Tainted Past. Recuperato da un vecchio nastro registrato su un quattro piste e rallentato appositamente per stare bene nel brano, quella svisa di Dave, oltre a molti dei suoi riff alla base della maggioranza dei brani di Symbol, è l’ultima preghiera elettrica di quel giovane uomo morente. E questo oggi ci commuove, n’est pas?

Beh, al tempo non gliene fregò un cappero a nessuno. Il 1991 era l’anno del Black Album e del Grunge, ma sarebbe troppo comodo, come prova a fare Joey Vera nella citazione da capo a ‘sto pezzi, spiegare il declino degli Armored Saint con l’avvento dei Pearl Jam e dei Nirvana. Nel tempo è diventata una solfa usata dalla folla gigantesca di gruppi hard rock e power metal che rimasero a bocca asciutta nell’asfittico menù discografico del 1991. Non credo basti una vita per sentire due volte tutti i titoli metal usciti in quell’anno, che ne dite?

Di puntare il dito contro Seattle avrebbero potuto negli anni permetterselo in pochi, per esempio i Firehouse o gli Skid Row, loro sì che stavano andando bene e si videro levare la sedia dorata dal culo, ma per Joey Vera, John Bush, i fratelli Sandoval e quell’altro tizio, se non ci fosse stato Nevermind e il mondo avesse continuato a bangare la testa contro un muro di pacchiana pseudo-insofferenza sociale in stile Morte a 33 giri e Viceversa, troppe altre band erano allora davanti agli Armored Saint nella lista degli acquisti degli headbargers (gioco di parole insofferente tra banger e burger, inventato da me).

Certo, con il grunge, alle già notevoli difficoltà di farsi notare del gruppo si aggiunse il muro di cemento invalicabile di Seattle, e questo segnò la fine temporanea di moltissime band di seconda e terza fascia. Ma sarebbero comunque stati perdenti. Non ci raccontiamo balle.

Armored Saint cornine e respect!
Armored Saint groove metal e gillette

La rinascita degli Armored Saint, datata 2000 con il poco considerato Revelation, è praticamente l’inizio di un nuovo discorso creativo che non ha praticamente più nulla a che vedere con le origini epiche e ormonali di March Of The Saints.

Dischi come La Raza, Win Heads Down o l’ultimo Punching The Sky, realizzati con grande calma e nessuna pressione nel giro di dieci anni, rappresentano i passi di un’evoluzione molto personale che non ha mai ridefinito uno stile vero e proprio del gruppo, ma in fin dei conti ha ribadito la capacità di mantenere sempre alta la qualità della scrittura, eludendo qualsiasi tentativo, ormai davvero inutile, di accaparrarsi un fazzoletto di Storia che conta e di fare di una passione un lavoro.

Più che mai il gruppo cerca oggi di fare buona musica in modo sincero e se ne frega di tutto. Ma è inutile specificare che TUTTO COMUNQUE SE NE FREGHEREBBE DI LORO.

Quindi che senso avrebbe scimmiottare i Korn o fare un album ogni due anni nella speranza di… cosa?

Non credo che gli Armored Saint abbiano mai realizzato un disco impeccabile e personalmente non penso che abbiamo dei parametri determinati da cui non possano allontanarsi a rischio di snaturare la propria essenza. Io non credo che non possiamo rimanere fedeli a noi stessi se facciamo questo o quello. Non credo in questa stronzata. Devi continuare a crescere; altrimenti sei condannato a rivivere lo stesso anno per tutta la vita. Il 1985 è stato fantastico ma gente, questo è il 2023 e io sono qui, non lì. E anche voi, mi spiace. (John Bush)

Ciò che conta più che mai oggi, per gli Armored Saint, è scrivere buone canzoni. E Vera/Bush ci riescono molto bene, nell’indifferenza del pubblico revisionista da due soldi che mette like alla pagina della band e cita a sproposito Can U Deliver e quel pezzo del treno su Hellreaiser 2. (Ovviamente era Hanging Judge sul 3).

Nessuno pensa a Revelation (2000) o La Raza, quando parla di Armored Saint, a parte Manuel Fiorelli o Marco Benbow. Il primo è il classico disco reunion farraginoso e appesantito dalla lunga e opprimente inattività. Potrebbe essere il baviano guizzo del nervo morto. La Raza (2010) è gradevole ma strano.

I due dischi esemplificano come Bush, Vera e i loro amici, non siano mai stati dei furbacchioni (o non abbiano voluto esserlo). Già nel 2000, al ritorno sul mercato in piena sbornia power-melodica europea, avrebbero potuto sfoderare di nuovo gli spadoni di polistirolo, le spalline da rugby e fare la parte dei trueisti alla ribalta, prendere la cittadinanza triestina, piazzarsi in cima al Wacken e guidare le nuove orde metodiste all’arrembaggio del mondo contro il doppio-pedale triggerato, ma invece l’album con cui si ripresentarono non piacque, perché era un olimpico guazzume americanoide di riff moderni e sperimentazione non troppo lucida, con momenti buoni e altri dimenticabili. Mi piace, eh, comunque si tratta di questo.

Quando dieci anni dopo è uscito La Raza, ricordo che spopolavano i barboni e le bandane, le posture coatte alla Zakk Wylde o il toppame post-ironico in stile Red Fang, una reincarnazione metal true stoner/doom scanzonata e sborona mai realmente esistita in precedenza e che emanava rancido sudoome sabbathiano da ogni poro, almeno quelli non occlusi dalla sporcizia.

In quel contesto i Saints si ripresentarono invece snelli e sobri. Bush e Vera rasati a zero, look casual, il disco ficcante e versatile, tosto e nervoso ma molto alla larga da qualsiasi tamarragine southern-gonzo-beer che si voglia.

Che cazzo di speranze può avere un titolo come La Raza rispetto a cose tipo Order Of The Black oppure Blood Of The Nations o Prehistoric Dog? Gli anni dieci del nuovo millennio sono stati un periodo in cui è partita definitivamente quella dialettica ciarpame su quanto una cosa sia davvero metal o no. Non a caso è il titolo del singolo degli Helloween, tratto dal modesto 7 Sinners è Are You Metal?

Cosa è davvero metal? I draghi? Lovecraft? Le tettone con le borchie nelle illustrazioni di Frank Frazetta, Conan il cimmero con la barba?

Ma sono gli ultimi due album a mostrarci quanto gli Armored Saint, al contrario di vecchi e ormai insopportabili e tronfi leoni del metallo più orgoglioso e senza argomenti che non siano i “ti ricordi” (vedi i Saxon) abbiano ancora qualcosa di schietto da dire che non sia un delirio piromaniaco su un riff in quattro quarti.

Prendete due pezzi su Win Heads Down: Mess o Dive. Non penserete che state ascoltando un vecchio gruppo della fottutissima vecchia scuola. Sarete troppo presi a emozionarvi e gasarvi davanti a qualcosa che vive, spinge avanti, verso la cazzo di vita.

E se non siete convinti, fatevi un favore e ascoltate Lone Wolf, da Punching The Sky. Eccovi una melodia da cantare in faccia al mondo, mentre baldanzosi avanzate col petto gonfio incontro all’ennesimo temporale in allestimento all’orizzonte. Non ve ne fregherà dell’acqua che cadrà, dei tuoni e dei fulmini (oh, sono metal i tuoni e i fulmini, no?).

Anche fosse il diluvio universale, galleggerete come stronzi felici e continuerete a espirare tra profonde bracciate le note di “Yeeeeeh Lone Woooolf, Looooone Wooolf!”

È questo che si sta perdendo, qui c’è ancora il battito giusto di quel vecchio e instancabile cuore che deve risuonare dentro di noi. Non ce ne facciamo nulla dei facili revivalismi e di improbabili auto-celebrazioni. Ci occorrono canzoni che stiano in piedi sulle proprie gambe, senza l’aiuto delle stampelle della nostalgia per un passato vissuto chissà dove, forse solo in qualche angolo bugiardo della nostra memoria rincoglionita. E ce ne sono di queste grandi canzoni, ma vanno cercate, spesso dove meno uno si aspetterebbe di trovarle. Non so come sono finito a dire queste cose, ma le penso, quindi mettetevele in saccoccia e pedalate.