Il metro di giudizio sul lavoro totale di una band, per un ascoltatore più attento non dovrebbe limitarsi soltanto ai brani inclusi nelle tracklist dei dischi, ma anche sulla produzione “minore”, ovvero le B sides. Succede che proprio in queste tracce si possono annidare autentiche perle, esperimenti fuori contesto stilistico, reinterpretazioni di pezzi altrui vestiti di una personalità legata al trademark della band, oppure inscusabili ciofeche, scarti che forse sarebbe stato auspicabile non pubblicare. Ci sono gruppi come Iron Maiden e Metallica che hanno infarcito i vari singoli con cover e brani dal vivo, e altri come appunto gli Helloween, che sommando gli inediti lasciati fuori, potrebbero riempire almeno cinque o sei album interi. Con le ristampe in CD spesso queste tracce hanno potuto essere fruibili per coloro che nel corso degli anni non hanno posseduto i vari 7”, 12”, EP o edizioni giapponesi. Nella fattispecie degli Helloween, di cui tratteremo qui, entra in gioco più che altro un fattore di equilibrio compositivo.
Essendo tutti i componenti della band autori, alcuni anche molto prolifici, al fine di ripartirsi i diritti e quindi permettere l’incasso personale a ciascuno, il delicato gioco dei crediti impone che nel tabellino ufficiale ogni firma abbia la sua fetta, più consistente per alcuni, meno per altri.
Delicati equilibri di business, ruoli più importanti o minori, fatto sta che nel corso degli anni gli Helloween, sottoposti a molti cambi di formazione, hanno spesso alternato e gestito la pletora di “outtakes” con grande pianificazione.
Kai Hansen e Michael Weikath, poi Michael Kiske e Andi Deris sono stati coloro che hanno beneficiato più di tutti dell’inserimento creditizio negli album, mentre per tutti gli altri la partecipazione è stata spesso subordinata. In questo oceano di tracce minori (alcune solo formalmente), cercheremo di analizzare e descrivere in modo esaustivo tutta la produzione “esterna”dal 1984 a oggi.
Sostanzialmente le B Sides egli Helloween si possono collocare in tre macro categorie: belle, brutte e inutili, alcune oggettivamente tali, altre forse soggette al gusto personale. Con maggiore chiarezza di giudizio, si cercherà di essere il più imparziali possibile.
MLP/Walls Of Jericho era
Escludendo i due demo tape, la prima uscita ufficiale, allora inedita, si colloca nella compilation Death Metal della Noise, nel 1984. la band partecipa con due brani: Oernst Of Life e Metal Invaders.
La prima, firmata Weikath, è un’esaltante cavalcata power speed con qualche rallentamento, dai riff armonizzati, melodie potenti e un ritornello che si stampa bene in testa.
La seconda (Hansen/Weikath) è una versione più grezza e rallentata di quella che comparirà poi su Walls Of Jericho. La diversità tra le due è anche palesata nel finale, in cui la band grida all’unisono la parola “mayhem” qualche volta, sfumandolo con cori e grida assortiti.
Successivamente, nel 1986, con l’EP Judas si ascolta la title track (Hansen), altra perla assoluta, speed metal melodico dai grandi cori, assoli mozzafiato e melodie a cascata, seguita da due finte versioni live di Ride The Sky e Guardians, registrate in studio con l’aggiunta di un pubblico posticcio.
Leggermente più veloci e dalla produzione più grezza rispetto a Walls Of Jericho, catturano comunque l’energia incontenibile degli Helloween di quel periodo. Tutto sommato, aggiungendo queste canzoni a quelle del primo MLP avrebbero potuto tranquillamente debuttare con un disco completo, poiché tutte queste tracce erano state scritte ben prima dell’esordio.
Aggiunte a un paio di outtakes era Iron Fist, e a Save Us (già presente in archivio dal 1982), ne usciva un album di nove/dieci pezzi, Ma forse è stato meglio così, almeno per l’etichetta, che prima di rischiare aveva voluto saggiare il terreno con un’uscita più corta e meno onerosa finanziariamente.
Keepers era
Con l’avvento di Michael Kiske (dagli Ill Prophecy) come cantante al posto di Hansen, la presentazione del biondino avviene con un pezzo decisamente inutile: in occasione della ristampa in picture disc del primo MLP, è inserita in coda una “Surprise Track”, ovvero una canzoncina corale di Natale sguaiata, cantata male, con in fondo il nuovo cantante che improvvisa uno stralcio di pezzo country. Non si capisce nulla, e soprattutto non fa saggiare le capacità canore di Kiske. Qualche minuto di nulla, utile solo per annunciare il cambio dietro al microfono.
Di altro tenore, una vera e propria perla, è la reinterpretazione di Starlight (Weikath/Hansen), nel 1987, come retro del singolo Future World. Una bordata micidiale, ancora più potente e raffinata della prima versione (sul MLP), che mostra Kiske ai massimi della limpidezza vocale, in grado di interpretare, a tratti risultando meglio dell’originale, il pezzo. Irrinunciabile.
Inutile e decisamente irritante la versione tagliata di A Little Time, sempre sul singolo Future World. Meglio sarebbe stato metterci un altro inedito o un pezzo dal vivo.
Con Keeper II gli Helloween ci prendono gusto, e con le B Sides si sbragano. Originariamente era previsto come apripista per l’album un EP di tre tracce intitolato Don’t Run For Cover, ma poi i piani cambiarono e i pezzi incisi andarono come retro nei singoli. Questa canzone (Kiske), seppure ben fatta, non è irrinunciabile, alternando parti veloci e rallentamenti a crescendo vocali un po’ acerbi. Le melodie dei ritornelli sforzano a girare in testa, ma l’assolo è comunque pregevole. Sebbene all’epoca non potesse competere con Eagle Fly Free o March Of Time, in tempi più recenti questo pezzo avrebbe fatto un figurone sugli ultimi lavori degli Helloween.
Sull’EP ci doveva finire Savage (Kiske), joke song che flirta con il thrash metal senza mai suonarlo davvero. Nonostante ritmi sostenuti e una batteria più grezza, alla fine è il power metal a venire fuori, se non altro per gli acuti selvaggi di Kiske. Il basso detta i ritmi, con stacchi mosh alla Anthrax, ma sono solo brevi momenti isolati. Trascurabile.
Sempre nel fantomatico EP sarebbe dovuta comparire Victim Of Fate (Hansen), anch’essa ricantata e risuonata. La resa è più che sufficiente, ma non supera l’originale, poiché più lenta e semplificata; non ha lo stesso pathos primordiale che Hansen alla voce sapeva dargli. Quest’ultima finirà solo come extra nella versione cd single di Dr. Stein, a dimostrare che era una sorta di “B side della B side”.
Diversa sorte per Livin Ain’t No Crime (Weikath), che ha sfiorato la fama per due secondi, per poi finire in retrovia. La traccia, molto bella, melodica e commerciale come struttura, doveva essere il lato A del singolo apripista del secondo Keeper, e come retro avere Dr. Stein. Ma alla fine fu parere di tutti, band, amici, discografici e manager, che i due pezzi dovevano scambiarsi di posto. Livin… è di buona fattura comunque, con un tempo medio di batteria in cui i layers vocali multipli giocano a rimandarsi l’un l’altro, e dove le chitarre ricamano armonizzazioni e tapping armonici di gran gusto, anche se manca un assolo memorabile. Per un breve periodo veniva suonata dal vivo, ma col tempo è stata dismessa dalla scaletta.
Discorso a parte per Save Us (Hansen), forse a parere di chi scrive, una delle più belle canzoni in assoluto nella storia degli Helloween. Inaudito come possa essere stata usata da B side, nel 1988, nelle versioni Cd e cassetta di Keeper II. La traccia, originariamente composta ai tempi degli Iron Fist, più lenta e sotto il titolo di Priest Of Satan, è letteralmente un capolavoro. Power speed velocissimo, con reminiscenze vocali e armoniche dei Judas Priest più ispirati, è un brano dal tiro incredibile. Acuti e incisi vocali stellari giocano con gli intrecci di chitarra, sempre entusiasmanti con melodie che si alternano e si sovrappongono e che restano in testa istantaneamente. Epico, drammatico e “glorioso”, il pezzo è il vertice del songwriting degli Helloween. Lasciarlo fuori dalla tracklist e tenere al suo posto una We Got The Right o Rise And Fall è crimine di lesa maestà.
Pink Bubbles Go Ape/Chamaleon era
Con l’abbandono di Hansen e l’ingresso di Roland Grapow alla chitarra, si entra in una fase delicata, dove tensioni, equilibrio tra le varie personalità, divergenze artistiche e stilistiche porteranno gli Helloween verso il baratro, in due album controversi, fiaccati da questa situazione negativa.
Su Pink Bubbles Go Ape il lotto delle B sides è di quattro pezzi, equamente divisi sui singoli Kids Of The Century
e Number One.
Si attacca con Blue Suede Shoes (Perkins), cover di un classico del rock anni ‘50, resa in modo molto manieristica e poco rilavorata. Ben cantata, ben suonata, ma senza alcun sussulto e poca anima. Trascurabile.
Molto meglio l’esordio come scrittore di Markus Grosskopf con Shit And Lobster, dal flavour ultra melodico, suadente, vellutato, delicato. Linee vocali intriganti, arrangiamenti eleganti, con un mid tempo accattivante ne fanno un pezzo molto piacevole. Peccato sia stato tolto dalla scaletta, che presentava numerosi filler.
Weikath firma Les Hambourgeois Walkways, ballata strumentale tenue e con qualche sterzata elettrica sugli assoli, ispirata dal songbook di Gary Moore. Carina, ma francamente inutile.
Chiude il Lotto You Run With The Pack ( Grosskopf), pezzo nervoso e veloce, anche se con poca energia metallica. Le idee melodiche delle linee principali sarebbero anche interessanti, ma una dinamica debole ne fiacca il potenziale. Un assolo armonizzato maideniano piuttosto scontato sul finale lo affossa ulteriormente. Giustamente rimasta fuori.
Se qualche dubbio sul dopo-Keepers era emerso, con Chamaleon scoppia il bubbone. Quattro singoli vale a dire,
When The Sinner
I Don’t Wanna Cry No More
Step Out Of Hell
e Windmill
più ben otto b-sides, praticamente un secondo album da quaranta minuti, completano le sessions del disco. Trascurando la demo version di Windmill, inutile e fastidiosa, si parte con I Don’t Care, You Don’Care (Weikath), un rock and roll leggero e poco memorabile, con sfumature pop alla Beatles di serie C. Anonimo.
Oriental Journey (Grapow) è una strumentale bizzarra, che si basa su scale orientaleggianti e divagazioni jazzistiche e semi progressive lontane dall’Helloween style. Curioso e nulla più.
Cut In The Middle (Grosskopf) è tra i salvabili; vagamente ispirato dalle atmosfere di You Run With The Pack, a cavallo tra heavy metal e rock, propone qualche linea vocale interessante.
Weikath crea da solo Introduction, quattro minuti deliranti in cui due persone dialogano, con in sottofondo a tratti una canzone da supermercato. Incomprensibile.
Ancora Weikath ci presenta Get Me Out Of Here, che sembra una canzone degli Hanoi Rocks. Plagio.
Firmata stranamente da tutta la band Red Socks And The Smells Of Tree è un blues scolastico e poco ficcante, strumentale, fatto di scale pentatoniche da manuale del principiante. Riempitivo evitabile.
Chiude tutto Ain’t Got Nothing Better (Grosskopf), altro bluesaccio da club fumoso, in cui Kiske pare davvero a disagio con le linee vocali, troppo lontane dal suo range muliebre e cristallino. Un gradevole diversivo mentre si beve una birra al pub e null’altro. Come decisamente pessimo era l’album, queste sono le B Sides più brutte di tutta la produzione degli Helloween.
Master Of The Rings/Better Than Raw era
Dopo il disastro commerciale e il rischio di scioglimento, gli Helloween ripartono da (quasi) zero con l’inserimento in formazione di Andi Deris (cantante) e Uli Kusch (batterista). Proprio per questo motivo le B Sides aumentano in modo esponenziale, e per la prima volta nella storia della band tutti e cinque i musicisti sono anche autori dei brani.
Per Master Of The Rings escono quattro singles…
When The Rain Grows
Mr. Ego
Sole Survivor
Perfect Gentleman
E quindi, a rimanere fuori dalla scaletta del disco ufficiale sono sette pezzi. Spalmati su quattro singoli e varie edizioni giapponesi, sono state incise varie cover: Cold Sweat (Thin Lizzy), I Stole Your Love (Kiss), Closer to Home (Grand Funk Railroad). Queste, coprendo gruppi hard rock e rock, ricalcano più o meno fedelmente lo stile degli originali, soltanto con una produzione più moderna. La voce aspra e rasposa di Deris ne rende un’esposizione più che sufficiente, ma nessuna di queste toglie o aggiunge molto. Divertenti.
Tra i pezzi originali Can’t Fight Your Desire (Deris) è un up tempo ben sviluppato, che evidenzia l’ammodernamento stilistico della band, puntando tutto sul ritornello però privo di assoli memorabili.
Star Invasion (Weikath/Deris) incede a tempi medi, con qualche pregevole armonizzazione tra voce e chitarra nel ritornello, con un primo assolo quasi dissonante e altri dimenticabili.
Discreto. Silicon Dreams (Grosskopf) è la cosa più interessante nel mucchio, con un incedere a metà tra rock e metal, tra strofe e ritornelli ultra melodici, che funzionano molto bene, impreziositi da soluzioni metriche inusuali. Bella.
Chiude Grapowski’s Malmsuite 1001 (In D Doll) (Grapow), un omaggio/citazione di un pezzo strumentale di Yngwie Malmsteen, persino migliore di alcuni da lui composti. Vagamente strutturato alla Trilogy Suite, alterna shredding e scale minori a inserti di pianoforte. Molto Ficcante.
Fuori da The Time Of The Oath escono tre singles
Power
Forever And One
The Time Of The Oath
e in totale escono otto pezzi b-sides, tra cui alcune cover. Electric Eye (Judas Priest) è molto fedele all’originale, e Deris rende bene l’aggressività vocale di Halford. Rain (Status Quo) scorre via abbastanza anonimamente, mentre Magnetic Fields (Jean Michelle Jarre) regala un arrangiamento potente e metallizzato di un brano originariamente elettronico. Molto ben strutturato, lo rende se possibile ancora più epico e drammatico dell’originale. Favoloso.
Still I Don’t Know (Deris/Grosskopf) si presenta abbastanza bene, come una canzone veloce e dinamica con un ottimo ritornello ultra orecchiabile ma un assolo decisamente fuori contesto.
Take It To The Limit (Kusch/Deris), gioca su toni rock scanzonati alla Van Halen, alternando rallentamenti e qualche guizzo spedito, ma giustamente in scaletta avrebbe stonato col resto. Curiosa.
Light in the Sky (Deris) e Time Goes By (Deris) sono due ballate dolci e soffuse, romantiche il giusto, che risaltano le tonalità più delicate di Deris, accompagnato da malinconici lampi acustici. Divertissement strappamutande.
In Better Than Raw i single sono solo due
I Can
Hey Lord!
e le outtakes poche, prima tra tutte la perfettamente inutile Moshi Moshi~Shiki No Uta, un assolo di batteria di Kusch con in coda una specie di assolo di chitarra orientaleggiante. Tempo perso.
Back on the Ground (Deris/Kusch) parte veloce, poi rallenta, poi accelera, ma non ha né un ritornello vero e proprio e neppure melodie o assoli degni di nota. Stralunata.
Segue A Game We Shouldn’t Play (Deris), drammatica e impetuosa, dall’incedere veloce e magniloquente, molto accattivante e dinamica. Per la qualità del disco bene sia stata fuori, ma su altri album sarebbe stata invece degna di ufficialità. (Fine prima parte)
(Marco Grosso)