Al netto della scelta democratica e “comunista” di scaricarsi gli album dai Torrent, ascoltarli a gratis su Spotify e su YouTube (cosa buona e giusta, per molti e anche per me), l’acquisto dei supporti fisici è diventata davvero una roba da ricchi, o perlomeno benestanti. Per chi coltiva con costanza e regolarità la velleità di seguire questo o quel filone, l’esborso per le novità, soprattutto in vinile, è roba da sbancare i conti di casa. Se la crescita del mercato metal negli anni 80 e 90 era alimentato dalle paghette di imberbi adolescenti, che sacrificavano ogni centesimo, risparmiando su qualsiasi spesa per acquistarsi il vinile o due la settimana, la stecca di audiocassette da farsi doppiare dagli amici, oggi si è ribaltato tutto. Chi tiene a galla l’asfittico business del metal sono i quarantenni, i cinquantenni e i sessantenni, che oggi spesso hanno una buona posizione lavorativa, magari senza figli, non sposati, oppure con quella sola passione. Ciò presuppone che destinare una fetta dei guadagni per comprarsi tanti, tanti dischi, non sconvolge la gestione del loro budget familiare.
Magari la moglie lavora pure lei, e le spese per i figli sono ben gestite, quindi due, trecento, quattrocento o forse più euri al mese per farsi recapitare i pacchi dai mailorder o da Amazon, gli regalano soddisfazioni particolari e se li concede. Sì, i negozi di dischi stanno sparendo, quindi li teniamo in considerazione il giusto.
C’è chi ha aspettato questa posizione sociale per assortire la sua libreria di tutti quei dischi in vinile che aveva sognato nel 1986, arrivando a non oltrepassare la soglia del 1991, chi si “ingozza” di cd, magari usati, o presi a due lire, visto che nel vasto mercato delle compravendite sono in tantissimi a sbarazzarsene per qualche spicciolo, e chi segue con regolarità le uscite post 2000, magari di NWOTHM o di death/black metal di nuova generazione.
Tutto lecito, ognuno coi propri soldi ci fa quello che vuole. Però l’analisi è diretta a sottolineare come sono i “vecchi” a tirare la carretta, con cofanetti, remaster deluxe, gadget, edizioni strane, che costano molto, a far sopravvivere quello che resta di un settore in sofferenza.
Non guardiamo solo alla bolla che i metallari hanno sui social, fatta da qualche centinaio di “amici”, i quali ogni giorno postano l’altarino con l’ultimo acquisto, poiché sono solo una minoranza. La maggioranza, me compreso, è fatta di migliaia e migliaia di persone che non spendono una lira, visto che la tecnologia permette la fruizione gratuita.
Una chiavetta USB in macchina ce l’abbiamo tutti, e a molti di noi basta e avanza. Certo, tra udiofili, collezionisti e fanboy maniaci di una/due band, di cui hanno TUTTO, il resto della platea è fatta di appassionati a cui basta il digitale.
Un male? Un bene? Dipende da chi risponde, quello che potrebbe evincersi è che se una persona appassionata di metal ha anche altri hobby, bollette da pagare, un mutuo, lavori precari, alimenti da garantire alla ex moglie, ecc, l’acquisto di cd e vinili è l’ultimo dei suoi pensieri.
Con questo non penso che non abbia meno competenza o passione del compratore impulsivo; sul web i testi, le copertine e le note interne di ogni album si trovano, i siti e le webzine offrono tante informazioni, quindi tutto sommato la sfida è alla pari. Poi sicuramente insorgeranno i paladini del“se non è fisico non vale”, ma questa è solo una delle opinioni, che conta come quella dell’altra parte.
Il ribaltamento del paradigma vede i giovanissimi a gratis, nessun sedicenne, tranne rare eccezioni, si sognerebbe di comprarsi un cd dei Metallica o dei Pantera. Gli basta avere la musica liquida, che qualitativamente, volendo, ha la stessa resa. Fanno bene, fanno male? Per me hanno ragione tutti e nessuno.
Quando la generazione oggi di mezza età lascerà questo pianeta, cd e vinili esisteranno ancora?
La probabilità è bassissima.
A noi basta sapere che a quarant’anni il metallaro ha sostituito l’adolescente anni 80, e forse ha più passione e voracità di un tempo. Panze, calvizie, sdentature incipienti, cosa rimane in loro (e in noi) di quei mocciosi che nel 1986 o nel 1992 saltavano i pasti fuori e con quella cifra si buttavano nel negozio di dischi?
A voi la risposta.
Una dedica speciale di questo pezzo a chi ha sacrificato tutta la vita a collezionare migliaia di album rinunciando a tutto il resto, ai guerrieri del rock and roll, ai maniaci dell’edizione giapponese, agli accumulatori di cdr masterizzati, a chi ha smesso di ascoltare metal dopo le superiori.
Ma anche a chi suona, registra e produce musica. Senza di loro la baracca si fermerebbe. Alla faccia dei soloni che dicono, dicono, dicono che il vero heavy metal è morto nel 1990.
Marco Grosso