Credit: Ebet Roberts / Redferns Agency: Redferns

Voivod – Angel Rat, un disco triste anche nei suoi momenti più allegri.

“Esistono negli States dei gruppi che propongono una mistura di hard rock, psichedelia e punk davvero interessante”.

Ti riferisci alla scena di Seattle?

“Esatto”

Rileggendo questo rapido scambio di battute tra Paolo Piccini e Michael “Away” Langevin sono rimasto colpito. È l’estratto di un’intervista apparsa su HM nel 1990, a un anno dall’uscita di Nothingface. Situazione dei Voivod in quel preciso momento: disco della vita uscito con una major (la MCA); pubblico in crescita; video in rotazione su MTV; sentirsi un fenomeno pronto a esplodere e condividere un tour con un altro fenomeno pronto a esplodere: i Soundgarden.

Ed essere arrivati a quel punto, badate, senza considerare alcuna regola se non per infrangerla. Questo erano stati i Voivod dal 1984 al 1989, e non c’è bisogno che ve li riepiloghi, anche se per sommi capi è quello che ho fatto.

Le aspettative per il successore di Nothingface, dopo una serie di lavori che avevano abituato il piccolo mondo metallico al concetto di escalation, era reconditamente un nuovo Nothingface, almeno. Se non un altro capolavoro imprevedibile, inarrivabile, inimitabile come Nothingface.

E il gruppo si fece attendere, aumentando la smania generale, anche di chi in fondo i Voivod neppure se li era mai cagati troppo. E poi c’era stata la notizia bomba del coinvolgimento di Terry Brown.

Chi era Terry Brown?

Se me lo state chiedendo fottetevi, prendete un tablet e andate a farvi una cultura dietro la lavagna, somari!

No, scherzo. Terry Brown era il producer dei Rush dal 1975 al 1982; di Time Will Tell dei Fifth Angel e di Parallels dei Fates Warning.

Ora, Parallels (album che amo tanto) ha lo stesso anno di gestazione del “grande atteso” dei Voivod. Ed è il disco più leggero e accessibile dei Fates Warning (ma doveva ancora arrivare Inside Out, certo), epperò è sempre un disco complesso e raffinato, no?

Angel Rat pure, ed è esattamente ciò che la gente non si sarebbe mai aspettata, come da programma, per un disco dei Voivod. È esattamente quel mischione di hard rock, punk e psichedelia di cui parlava Away sull’intervista di HM ma non piacque granché.

La band aveva accumulato un numero esponenziale di fan nel corso degli anni, Angel Rat li divise nettamente in due. (Jeff Wagner – Dal libro Prog Metal, Tsunami)

Il pubblico non iniziò a berciare che i Voivod si erano venduti, gli diede il beneficio del dubbio, così come avevano fatto molti con i Celtic Frost quando pubblicarono Cold Lake. E di sicuro non si trattò, cosa che poi fu acclarata senza ombra di dubbio per Tom G. Warrior, di un tentativo spudorato di fare la crana (Crozza/Razzi speach), ma di certo non fu l’ennesimo lavoro integerrimo di un gruppo integralista a livelli autistici, come erano sembrati i Voivod di Rrröööaaarrr e Dimension Hatröss.

Primo segnale che qualcosa era andato storto fu l’addio di Jean-Yves Thériault, meglio noto come “Blackie”. La separazione, si disse in sede promozionale, era stata del tutto amichevole. Aveva mollato il gruppo dopo anni di grande intensità creativa e di amicizia, per ragioni del tutto personali.

Away: “Blackie ha lasciato i Voivod per potersi dedicare a progetti più remunerativi”

Da ridere a pensarci ora perché in effetti realizzò negli anni successivi colonne sonore elettroniche per una compagnia di danza contemporanea di Montreal: The Holy Body Tattoo.
Ma qualcosa iniziò a puzzare quando si scoprì che per Angel Rat, Blackie aveva composto più musica che in tutti gli altri lavori precedenti dei Voivod. Era un disco che lo aveva coinvolto moltissimo a livello creativo e… una volta finito se ne andava?

“Nonostante volesse già andarsene da un po’, Blackie ha suonato tutte le sue parti nell’album”. (Away)

Che carino, un vero amico. Peccato che una volta uscito Angel Rat, la sua partenza improvvisa lasciò la band a terra, impossibilitata ad affrontare il tour programmato per la promozione dell’album. Avete idea di cosa potesse significare nel 1991 una cosa del genere?

Vero che c’era la MCA dietro e che le canzoni, nell’opinione dei tre Voivod rimasti, erano molto più accattivanti rispetto alle cose passate, ma senza un tour non ce la puoi fare a vendere un cazzo di disco, nel 1991. E basta.

In più, come mai era stato coinvolto Terry Brown? Chi l’aveva scelto? Perché?
Durante l’ascesa creativa che va da Dimension Hatröss a Nothingface, la band era stata consigliata e ispirata da Harris Jones e Glen Robinson, due produttori oggi considerati grandi proprio perché parteciparono alla realizzazione dei lavori dei Voivod, quindi al tempo non così grandi.

Terry Brown era invece un pezzo grosso, il padrino dei Rush più fichi, immortali, geniali ma che dopo Signal (1982) e la chiusa collaborativa con il trio canadese, aveva combinato ben poco (Time Will Tell dei Fifth Angel).

La band si ritrovò il budget più alto mai avuto dai tempi di War And Pain. E così investì quasi tutti i soldi per coinvolgere quello che per i Voivod era un vero eroe, un mito.

Avere a che fare con un proprio mito è da sempre altamente sconsigliabile. Il gruppo non si trovò granché bene con lui, specie Blacky.

“L’unica cosa che avrebbe potuto salvare quell’album, era avere un produttore diverso per il mix finale e per alcune parti vocali. Ma dopo un incontro con il gruppo, gli altri vollero continuare con Terry, cosa che alla fine mi ha portato a lasciare la band”. (Blacky)

Ecco qua.

Blacky non era contento di Angel Rat e non lo sarebbe stato mai, anche se oggi il disco ha conquistato molti più estimatori di quanti avrebbe mai potuto guadagnarne alla sua uscita. I fan della band l’hanno capito e apprezzato. C’è pure gente che lo preferisce a tutti gli altri dischi dei Voivod, incluso me e John Mortimer degli Holocaust.

Ma nonostante ora sia chiaro quanto Angel Rat fosse valido, era pur sempre il primo lavoro commerciale dei Voivod e quello dove la band ebbe meno controllo.

Ancora Blacky: il problema di Angel Rat è stata la costante influenza di altre persone al di fuori della band. L’etichetta voleva un successo, il produttore voleva un successo e ovviamente lo abbiamo cercato anche noi. È un peccato che non siamo riusciti a controllare davvero bene quel disco, perché c’era molto potenziale lì dentro. Per me, le demo della pre-produzione, di cui ho ancora una cassetta, suonavano dieci volte meglio dell’album finito.

Anche Piggy, qualche anno dopo l’uscita del disco disse più o meno lo stesso:

“Non siamo stati invitati in studio per il mix finale e temo che non sia venuto del tutto come avremmo voluto noi, perché hanno cambiato troppe cose. Hanno inserito alcune voci femminili in Clouds In My House, incluso dei sintetizzatori dove essenzialmente avrebbero dovuto esserci le chitarre e hanno persino eliminato intere parti di chitarra solista. Per me, hanno rovinato il mix iniziale alterandolo e non mi interessa chi l’ha fatto o altro, questo è. L’originale era abbastanza buono, invece!”

Away:

“Sai, è vero, uscì un po’ troppo morbido a causa della produzione. Ma ci avevamo provato. Terry Brown era un gentiluomo e alla fine il suo sound non era appropriato per i Voivod, ma ehi, era fatta e non c’erano più soldi da investire nel progetto per un remix o qualcosa del genere. Penso che la mossa più intelligente fosse appunto quella di fare un tour per quell’album e poi farne uno migliore, ma Blacky non si sentiva di continuare. E non si trattò, come dice oggi, di una divergenza creativa con Brown. Avremmo evitato di collaborare ancora con lui, era finita lì. C’era dell’altro. In quel periodo dividevamo un appartamento, io e lui. E Ricordo che era in una fase industrial, stava lavorando con i sequencer e i campionatori. Lo vedevo scivolare lentamente verso la rave music. Si fece coinvolgere dai gruppi dance e si mise a fare musica molto ritmata. Si stava lentamente allontanando dal metal e dal prog, Terry Brown fu solo la goccia ma ora a pensarci non saprei che tipo di futuro immediato avremmo potuto condividere noi e Blacky nel 1991, 1992 e 1993”

Nonostante l’ingaggio di Terry Brown, la band si trovò ancora nel cassetto un gruzzoletto e pensò bene di investirlo per realizzare un videoclip. È il solo momento promozionale in cui il gruppo appare ancora come quartetto, ma Blacky non è già lì, la band decise di usare una controfigura in modo un po’ ridicolo, a ripensarci ora, no? Chissà chi era quel tipo che scapocciava e sculettava accanto ad Away, Snake e Piggy, tutti in controluce…

Il clip di Clouds In My House non fece miracoli, e forse il pezzo stesso non fu una scelta felice in termini di hit single. C’erano pezzi molto più d’impatto ma l’impressione è che niente di Angel Rat avrebbe mai potuto colpire il mondo da qualche parte e costringerlo a girare il naso verso i Voivod.

Dopo il clip i Voivod divennero e comparvero ovunque come trio. Le dichiarazioni della band riguardo Angel Rat furono pacate, senza dare troppa enfasi al disco. Ma questa era l’attitudine del gruppo: non aspettarsi mai granché dalla vita.

“Prima eravamo più dark. Adesso scriviamo storielle per bambini difficili. Siamo sempre un po’ oscuri ma c’è una morale della favola e i testi sono ancora visionari, anche se non si basano più sulla fantascienza e sui robot” (Denis Belanger, 1991)

Il cambiamento era stato sia musicale che a livello di concept. Nel senso che un concept non c’era più. Ogni brano raccontava una storia o parlava di un argomento slegato dagli altri. C’era la politica (Best Regards e None of the Above) la weird fiction (Twin Dummy e Angel Rat) e un po’ di cyberpunk e steampunk (Panorama e The Prow). Un brano, Nuage Fractal si ispirava al libro Chaos Theory di James Gleick (un saggio teorico sull’effetto farfalla e altri fenomeni caotici).

Sebbene a molta gente non sembri importante il contenuto delle liriche, nel caso dei Voivod (e dei fan dei Voivod) anche questo mutamento verso l’eterogenia suscitò una certa sofferenza, ho ragione di credere.
Si tratta di buone canzoni. Angel Rat è tecnicamente un gran bel disco, con una fusione di post-punk, psichedelia e rock d’autore (Beppe Riva citò spesso i R.E.M. nella sua recensione positiva, uscita su Metal Shock) ma inutile rivangare: al tempo, il pubblico non lo accettò. La critica si mostrò cauta se non possibilista: i Voivod avevano accumulato così tanta credibilità che potevano permettersi di cominciare con un riff scippato ai Great White, i quali a loro volta l’avevano fottuto ai Motley Crue (indovinate voi a quali brani mi riferisco).

Ma con il tempo è innegabile che Angel Rat si sia rivelato l’inizio di un declino che portò il gruppo molto vicino alla dissoluzione, nel giro di tre anni.

Away: “Eravamo completamente fuori sincronia con tutto il resto in quel momento; che fosse il death metal a Tampa, il black metal in Norvegia o il grunge. Per noi era commerciale, è l’album preferito di alcune persone. Eravamo persi nella nostra stessa dimensione, cerchiamo di non pensarci troppo, andiamo e basta. Quello e Rrröööaaarrr sono i nostri lavori più estremi, ma in direzioni diverse”.

Angel Rat è un album emotivo. Non è un caso che mi piaccia tanto rispetto alle cose precedenti. Fino a Nothingface il gruppo aveva puntato sulla brutalità all’inizio e poi su visioni di aggressività più cervellotiche. Qui invece c’era di mezzo il cuore – se convenzionalmente riconduciamo a esso l’alveo dei sentimenti.
Come ha detto il frontman dei Deceased, King Fowley, che adora Angel Rat: “è un disco che suona triste anche nei suoi momenti più allegri”.

Trovatemene un altro che riesce in una cosa del genere.