Per scrivere di questa cosa prenderò in prestito uno dei miei film preferiti, ovvero La Nona Porta (The Ninth Gate), un film del 1999 diretto da Roman Polański, tratto dal romanzo Il Club Dumas dello scrittore spagnolo Arturo Pérez-Reverte. Protagonisti Johnny Deep (Dean Corso) ed Emmanuelle Seigner, la ragazza. Di mezzo un libro magico occulto, dettato dal Diavolo in persona all’alchimista Aristide Torchia. Senza svelare la trama e il finale, vi dico solo che il volume in questione, il De Vmbrarum Regni Novem Portis, è come il Necronomicom, inventato, ma io ne posseggo una copia, come potrete vedere dalla foto allegata all’articolo.
Per dimostrare che è davvero nelle mie mani, ci schiaffo vicino una cartolina di Holy Legions, così mi faccio pure pubblicità (non) occulta.
Il concetto dell’articolo parte dalla scena iniziale, in cui Dean Corso va a casa di un collezionista di libri. Il tipo è sulla sedia a rotelle, non parla e non si muove. Nella sua biblioteca ci sono migliaia di volumi rarissimi, e i figli gli fanno vedere parte di essi. Lui con l’inganno, come se facesse un favore, rileva alcuni volumi introvabili e li paga una bazzecola.
Uscendo incontra un altro collezionista, che si è fiondato anche lui per fare la stessa cosa, sottrarre al collezionista invalido e muto, circuendo i figli inconsapevoli, dei libri rari e costosissimi a due spiccioli. Due avvoltoi, Dean Corso e l’altro giunto troppo tardi, sono disposti a tutto pur di completare le collezioni, sono senza morale, cinici e bastardi.
Già qui potreste capire dove vado a parare, trasbordando il tutto nel mondo dei collezionisti musicali, e sopratutto di heavy metal, non è che il quadro sia migliore.
Il collezionista di dischi metal, spesso ma non sempre, pur di finire o ampliare la raccolta e riempire le librerie, in alcuni casi non guarda in faccia a nessuno. Sia chiaro, anche io per qualche anno sono stato un collezionista, poi per fortuna ho smesso, e ne sono strafelice.
Tra la fine degli anni ‘80 e il 2000 ho avuto a che fare con svariati collezionisti, alcuni ricchi e brave persone, altri ricchi e bastardi, altri buoni ma poveri, poi altri al limite della legalità. Questi ultimi pur di avere a due lire collezioni o pezzi rari, si sono recati a casa di persone moribonde, o sull’orlo della povertà, circuendoli o sventolando davanti ai loro occhi qualche banconota. Hanno preso le loro collezioni per quasi nulla. Cinici, spietati, senza moralità, veri bastardi.
Mi sarebbe piaciuto in cuor mio che quelle collezioni acquisite sulla sofferenza altrui fossero bruciate, ammuffite, rubate, ma purtroppo così non è stato. Spero che la pagheranno in questo o in un altro mondo, e anche caramente. In fondo un collezionista agisce e pensa un po’ come un serial killer, gli oggetti che possiede posseggono lui, lo rendono qualcosa di non umano, spesso sacrificando il resto delle cose belle che la vita può offrirgli, isolandolo in un mondo dell’orrore, dove migliaia di teche o scaffali pullulano di orologi, monete, bambole, francobolli, lattine o dischi.
Non a caso i manuali psichiatrici l’hanno definito un vero problema psicologico, caratterizzato da difficoltà e disagio a disfarsi dei propri beni nonché dalla tendenza ad acquistare e conservare un gran numero di oggetti apparentemente inutili. Una delle peculiarità di questo blocco mentale, piuttosto invalidante, è l’ingombro che ne deriva negli spazi abitativi, tale da impedire l’espletamento di normali attività quotidiane come cucinare, mangiare a tavola o dormire nel proprio letto.
Attualmente il comportamento di accumulo è considerato dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR; American Psychiatric Association, 2000) uno dei sintomi del Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità.
Gli stessi manuali dicono che chi accumula collezionando enormi quantitativi di cose è generalmente nevrotico, rancoroso col mondo, e incapace di empatia con gli altri esseri umani. L’unica cosa che desidera è un altro pezzo, un altro ancora, per tutta la vita. Tutti noi amiamo avere delle cose intorno, io stesso ho la mania dei libri, ne acquisto molti, e in casa mia ce ne sono parecchie migliaia, ma sono certo che se dovessi per qualche motivo separarmene, non ne farei un dramma.
Dramma che non feci quando un’alluvione si portò via nel fango e nell’acqua alta più di due metri, migliaia di dischi in vinile. Amen, la vita continua. So per certo che alcuni di questi collezionisti che conobbi, poi invecchiati soli e senza amici veri, rimpiansero di non aver dedicato del tempo a vivere la loro vita.
Essendo, non Avendo.
La domanda è questa: cosa conta di più nella vita? Avere tonnellate di cose e non godersi gran parte del proprio essere, espresso in mille modi, oppure vivere e morire seppelliti in una enorme bara di collezioni?
A voi la risposta. Di per certo, visto che tra le mie conoscenze ci sono grandi collezionisti che leggeranno questo articolo, non ho paura a svelare loro il mio pensiero. Da morti i dischi, i francobolli e le bottiglie di cognac non andranno nell’aldilà (se esiste). Siete sicuri che ogni centesimo, o quasi, sia stato ben speso per poi rinunciare a relazioni affettive, viaggi, esperienze di vita, e ciò che potevate avere, a cui avete detto di no per paura di dover rinunciare all’acquisto di un altro pezzo, e un altro e un altro ancora?
Ok, da oggi qualcuno non mi rivolgerà più la parola, mi disprezzerà, specie nell’alveo dei collezionisti metal miei coetanei. Ma a me non frega un cazzo, meglio non essere posseduti e invece possedere la cosa più preziosa.
Noi stessi, anche solo con un un vestito e un fazzoletto. Siamo o abbiamo? A voi la scelta.
(Marco Grosso)