Il regista-cinefilo della quinta generazione (di cui secondo Curti e La Selva, Frank Henenlotter è la figura paradigmatica) non va più al cinema: rifiuta in blocco il mainstream contemporaneo e si rifugia nel passato (possibilmente weird), divorando videocassette su videocassette. Conosce a memoria ogni fotogramma di Blood Feast e Blood Orgy Of the She-Devils, e sviluppa un gusto e una sensibilità paragonabili a quelli dell’appassionato di modernariato. La visione diviene un atto rigorosamente privato: dall’esperienza liturgica del drive-in si passa a quella intima della VHS. Il regista-cinefilo della quinta generazione si sente latore di una conoscenza esoterica, e prova il bisogno di condividerla con gli altri iniziati – Tratto da “Sex and Violence – Percorsi nel cinema estremo” di Roberto Curti e Tommaso La Selva (Lindau).
Secondo me Curti e La Selva trascurano un aspetto della figura di regista-cinefilo della quinta generazione, vale a dire la passione per certe figure autoriali europee da accostare a quelle più dannate del cinema di serie Z.
Un regista come Frank Henenlotter, così come il suo predecessore e nume tutelare John Waters, non conosceva a memoria solo Blood Feast e tutti i film di Herschell Gordon Lewis, a cui tributò il suo primo lungometraggio Basket Case, ma anche Pasolini, Bergman e Bresson.
Il principio degli autori di film splatter-gore degli anni 80, intendo i più impresentabili, quelli che raramente arrivavano sul mercato home-video italiano o di qualsiasi altro paese, se non addomesticati dalle forbici censorie (vedi Muro, Ellison, Buttgereit) era di vincere una sfida: utilizzando una storia tremenda, un budget ridicolo, attori mediocri ed effetti speciali svenduti dal macellaio all’angolo, riuscire a realizzare un prodotto così solido e affascinante da trasformalo in un cult-movie internazionale.
E per riuscirci non solo studiavano le basi del linguaggio cinematografico ma anche le voci più personali, coraggiose e di rottura che il cinema aveva prodotto negli anni.
Frank Henenlotter arrivò in Italia con questo film, Brain Damage – La maledizione di Elmer. Secondo le cronache fu distribuito due anni dopo la sua uscita in USA, fece capolino in qualche cinema (uno solo in tutta Milano, come testimoniano i tipi dell’Almanacco di Dylan Dog 1991) e si assestò sugli scaffali di alcune videoteche.
Io riuscii a scovarlo in un negozio di Viterbo, cinque anni più tardi e ne rimasi soggiogato. Brain Damage, sebbene tra le cose a cui Frank Henenlotter sia più affezionato, non rappresenta il punto più alto della propria striminzita ma grondante filmografia.
Per capire fino in fondo la portata di questo regista dovreste spararvi in una sera, dopo aver fumato erba, tutta la trilogia di Basket Case, che per quanto ne so io, in Italia è giunta lentissimamente, a fatica e utilizzando i circuiti ultra-illegali delle videocassette piratate a dieci euro tra appassionati di film proibiti (negli anni 90 esisteva questo mercato eccitantissimo).
La maledizione di Elmer nella versione italiana è arrivato integro, cosa che non è accaduta in quello americano e per via di una scena di cui vi dirò dopo. Rivederlo oggi non mi ha deluso e questo, dopo anni in cui l’ho mitizzato e trattato come una reliquia di una rivoluzione cinematica underground tra le poche davvero significative della mia generazione.
Brain Damage è, ora come quando uscì, un film che non potrà mai passare sui palinsesti di Italia 1. Magari lo vedrei meglio nel famigerato appuntamento con i “brutti di Odeon”, ma non sulle reti formato famiglia. Questa resistenza al mainstream è grandiosa, se pensiamo che Arancia Meccanica, ormai sia pronto per la seconda serata di Rai 2, magari tagliuzzato qui e lì.
La maledizione di Elmer non è mai sceso a patti con il mondo, sebbene quel mondo che nel 1988 stroncava e insultava la poetica immaginifica di Henenlotter, oggi si sia avvicinato ai confini e le condizioni del vecchio Frank (vedi Grindhouse della coppia Tarantino-Rodriguez già qualche anno fa). Soprattutto ora quel mondo potrebbe ingerirlo senza problemi nel disgustoso imbuto digerente della porno-social culture internettara, magari in una delle clip estrapolate e messe sul tubo.
Ricordo di essere stato al The Waverly Theatre una sera, e dopo che il film era finito c’era un gentiluomo lì. Ha iniziato spontaneamente a discutere del film e ad analizzarlo, come se fosse un grande critico o qualcosa del genere. E la gente lo ascoltava mentre pontificava dal teatro giù per le scale e fuori in strada, sotto il tendone. E io sono lì ad ascoltarlo. Ho pensato: “Oh, interessante. Sta parlando di quanto sia stato bello il film”. E poi ha aggiunto l’avvertenza: “Comunque devi capire, il regista non sapeva che stava facendo una commedia. Tutto questo non è intenzionale. E ricordo di aver pensato: “Bene, vaffanculo amico”.
Da noi La maledizione di Elmer uscì e divise la critica specializzata. Cammarota nel volume La storia del cinema dell’orrore 3 (Fanucci) lo liquidò come una “pellicola rozza e involontariamente parodistica, girata con pochi soldi e ancor più poche idee” mentre il duo Curci-Lavagnini in Lo schermo insanguinato (Solfanelli) lo approvò dicendo che “esalta il malsano umorismo del geniale regista, qui al suo secondo film”.
A proposito dei “pochi soldi” di cui parla Cammarota, devo smentirlo, visto che si parla di due milioni di dollari, budget rispettabile per un horror di serie B.
Inoltre l’intento parodistico è volontario fino all’osso. Chiaramente se un parassita a forma di fallo-stronzo si mette a cantare come un crooner nel lavandino di un sudicio motel (con la voce di John Zacherley) non si può davvero pensare che il regista prendesse sul serio la storia. Rispondendo a quell’improvvisato critico, dopo la visione di Basket Case, nella citazione di Henenlotter riportata più sopra, fa ridere perché vuole far ridere.
Fino agli anni 80 c’era questa idea che gli horror facessero ridere e molto, ma per lo più solo involontariamente. Era perché si pensava che i pazzi convinti di realizzare dei film tanto deviati non fossero consapevoli di quanto potessero rendersi ridicoli nel tentativo di risultare osceni e spaventosi. Invece era tutta una burla, come direbbe Cristian De Sica.
E anche no. Perché La maledizione di Elmer, più di tutte le altre opere disturbate e disturbanti di Frank Henenlotter, nasceva da una profonda sofferenza interiore.
Se non ho una relazione, divento davvero infelice e odio il mondo, quindi di solito ho una relazione. Brain Damage è stato scritto subito dopo che avevo avuto una rottura. Ero piuttosto devastato e odiavo tutta l’umanità. Sai, è proprio da lì che è scaturito tutto quel film. All’epoca avevo anche una seria dipendenza dalla cocaina. Quindi metti insieme queste due cose e avrai Brain Damage!
La storia del parassita-stronzo Elmer (che per inciso si chiamerebbe Aylmer, antica parola che… ma lasciamo perdere) e del suo ospite, il giovane e piuttosto figo Brian (il nome più vicino a brain) interpretato dal futuro gregario delle soap Rick Hearst, è una metafora della tossicodipendenza (ma io ci metterei pure l’AIDS) e di come questa possa mandare in vacca una bella relazione sentimentale e non solo.
Brian ed Elmer diventano una grande squadra di Succhiacervelli (vi giuro che in Italia il film uscì nei cinema con questo titolo) ma nel mentre la vecchia vita del giovane va in malora. Un giorno si sveglia e trova la sua ex a letto col fratello. È così immerso nella dipendenza dal succo allucinogeno che il parassita gli inietta nella ghiandola pineale, o da qualche altra parte sensibile del cervello, da affrontare il grande tradimento con un apparente distacco.
Brian si allontana dai due per salvarli da Elmer (Aylmer) e solo alla fine, prima dell’epilogo tragicissimo, ammette di aver desiderato trovarsi al posto del fratello, accanto a Barbara (Jennifer Lowry). Si rende conto di ciò che ha perso per sempre e nello stesso momento di non potersi più liberare dal giogo del parassita.
La maledizione di Elmer è dolorosamente datato. Magari qualche scemo potrà trovarlo gustoso per la sua spiccata ottantezza, ma io credo che certi effetti speciali oggi risultino davvero troppo limitati per i mezzi che Henenlotter e Gabe Bartalos avevano a disposizione. Tuttavia, la scena con le polpette-cervello resta ancora oggi tra le cose più straordinarie del cinema splatter di quegli anni.
La vera differenza tra Henenlotter e molti altri scriteriati in fissa con il cinema spazzatura e con il suo stesso mito H.G. Lewis è l’aspetto creativo. Quegli spaghetti con le polpette che via via diventano nella mente di Brian dei piccoli cervelli (momento in cui il sodalizio con Elmer esprime la propria netta problematicità) non sono solo disgustosi e ridicoli ma anche terribilmente creativi.
Il miglior splatter è sempre al servizio della fantasia e La maledizione di Elmer così come tutto il cinema di Henenlotter rappresenta questo.
Sì, è qualcosa che non vedi spesso, ma è basato su una vera allucinazione che ho avuto una notte. Stavo inciampando e stavo mangiando un gelato alla vaniglia e ciliegia e i pezzetti di ciliegia hanno iniziato a pulsare e sembravano cervelli. Non volevo più mangiare il gelato, ma ricordo di aver pensato che fosse molto bello.
Ma il vero motivo per cui Brian Damage resta un film fuori dagli schemi, e davvero troppo per essere annesso al blob mainstream, è la scena del pompino svuotacervello. Ogni volta che la vedo finisco per chiedermi cosa non vada in me, dal momento che mi ritrovo a gongolare ed entusiasmarmi. Ammetto anche di essermici masturbato la prima volta che la vidi, tanto siamo tra pochi intimi.
È la scena non è mai uscita in America. Secondo La Corte Suprema degli Stati Uniti è un atto contro-natura e non può essere mostrato in un film. Eppure è una di quelle scene che ci spingono la fantasia in zone dove da soli magari non avremmo mai avuto il coraggio di andare.
La maledizione di Elmer, così come tutti i film di Frank Henenlotter degli anni 80, mostra, secondo chi c’è stato e chi ha vissuto a New York in quegli anni, una città ormai defunta.
New York è solo una città per ricchi, adesso. Luoghi come Times Square e 42nd Street un tempo erano buche infernali di ogni peccato conosciuto dall’uomo – questo è ciò che mi piaceva di loro! Mi piaceva il fatto che fosse sesso, droga e film sporchi. Era semplicemente orribile, e l’ho adorato, ci ho vissuto, ci ho sguazzato. Oggi è per i turisti! È come Disneyland. E così è Times Square: non avrei mai pensato che l’avrebbero ripulito. Quindi non ho più alcun interesse in quelle aree. Molto del sapore della vecchia New York si è diffuso a Brooklyn. Ecco perché ho girato Bad Biology a Brooklyn.
New York è solo una città per ricchi adesso. Luoghi come Times Square e 42nd Street un tempo erano buche infernali di ogni peccato conosciuto dall’uomo – questo è ciò che mi piaceva di loro! Mi piaceva il fatto che fosse sesso, droga e film sporchi. Era semplicemente orribile, e l’ho adorato, ci ho vissuto, ci ho sguazzato. Oggi è per i turisti! È come Disneyland. E così è Times Square: non avrei mai pensato che l’avrebbero ripulito. Quindi non ho più alcun interesse in quelle aree. Molto del sapore della vecchia New York si è diffuso a Brooklyn. Ecco perché ho girato Bad Biology a Brooklyn.
In Basket Case, quando Kevin Van Hettenryck corre per la strada nudo, e anche in Brian Damage c’è una scena in cui Brian cammina sconvolto lungo un marciapiede, accompagnato dalla camera a mano, con una musica incalzante di violini sintetici e bassi circolari. Ebbene quelle scene sono state girate senza alcun permesso, proprio perché al tempo New York poteva recitare in un film malsano senza nemmeno rifarsi il trucco. I motel che cadono a pezzi, la metropolitana piena di facce disperate e anestetizzate rappresentano il teatro ideale per le fantasma-gorie di un pazzo come Frank Henenlotter.
Due curiosità musicali:
1 – Il gruppo goth-punk che si esibisce nel locale dove Brian rimorchia la tipa a cui succhierà il cervello con l’Elmer-pene, si chiama Swimming Pool Q’s, band davvero esistita. La canzone è intitolata Corruption.
2 – Il finale, con la luce che esce dal cervello di Brian, è stato ispirato a Frank Henenlotter dalla canzone dei Magazine, The Light Pours Out On Me.