Gli amici di Sdangher mi hanno chiesto se mi andava di raccontare i miei anni di webzinaro incallito, stiamo parlando di una decade (dal 2005 al 2015) nella quale ho gestito un sito, un portale, una webzine o come volete chiamare quello strano oggetto internettiano dedicato al metal (ma anche con frequenti divagazioni in ambito darkwave, electro, ambient e similia perché mi piacevano assai).
In verità il mio battesimo avviene un anno prima attraverso una piccola webzine alla quale mi unisco e che mi serve da palestra. Fatta quell’esperienza ne metto su una mia assieme a due amici, anche se in breve tempo rimango l’unico depositario del marchio e così è andata avanti per 10 anni. Quindi nel 2015, esausto, chiudo bottega. Non ne potevo veramente più, per tanti anni ogni mio minuto libero è stato dedicato alla gestione della webzine e quel che è peggio non ascoltavo più la musica che volevo ma quella che dovevo.
Era talmente tanto il materiale da coprire (se volevi fare le cose per bene) che ogni speranza di poter mettere in cuffia un disco che avevi voglia di sentire davvero si dissolveva, perché c’era quello e quell’altro da recensire.
Afferrato che non stavo più inseguendo una passione ma una sorta di mansione che per altro nessuno mi aveva commissionato (né pagato), ci ho messo un punto, anche perché paradossalmente l’ascoltare musica era diventata l’ultima delle attività connesse alla webzine.
C’era la posta da sbrigare, i contatti da tenere, la gestione del parco recensori, la progettazione della settimana dopo perché quella in essere era già stata progettata la settimana prima; amministrazione, public relations, marketing, etc… insomma, musica poca.
Ero diventato un burocrate, in 10 anni quello era successo ed era giunta l’ora di dire basta e tornare ad essere un qualunque appassionato di musica senza alcuna velleità se non quella di sprofondare in ore ed ore di ascolto disinteressato.
Cosa ho visto e vissuto in quegli anni?
Tutto ciò che avete sempre sentito dire sulla vita da webzine corrisponde suppergiù al vero. Ci sono redattori cani e incompetenti (ma ci sono anche quelli bravi, deontologicamente corretti e competenti).
Ci sono lettori che ti massacrano non appena gli tocchi il loro gruppo da taschino che devono poter esibire senza che nessuno lo macchi di ombre e critiche (ma ci sono anche quelli che ti fanno i complimenti…. ok il rapporto è 100 a 1 ma esistono).
Ci sono musicisti che ti linciano se parli male del loro nuovo album e in genere al 90% sono italiani, vuoi perché la webzine era scritta in italiano e dunque tedeschi, inglesi e guatemaltechi non capivano né usavano google traduttore, vuoi perché gli italiani sono spesso così, attaccabrighe e permalosi. Ma ci sono anche musicisti con i quali sono rimasto in buoni rapporti anche oltre la promozione del disco e dell’intervista, con i quali mi sono mantenuto in contatto per anni attraverso una corrispondenza amicale, belle persone oltre che bravi e talentuosi musicisti.
Si dice che nelle “redazioni” virtuali delle webzine esistano penne che fanno quel “mestiere” esclusivamente per ricevere benefit, dischi gratis, accessi ad eventi e concerti gratis, merchandising, o semplicemente il privilegio di potersi vantare di aver sentito un album in anteprima rispetto ai comuni mortali.
Sì, ne ho avuti di questa genia, c’è stato pure chi bramava i promo per andare poi immediatamente a rivenderseli, una roba veramente da pezzenti. E ci ho pure litigato perché non capiva la ragione per cui chi ci aveva mandato il disco (per la recensione) se la sarebbe dovuta prendere se poi noi ci facevamo il busco sopra.
C’è stato chi scriveva distrattamente, svogliatamente, episodicamente, e allora ti chiedevi perché diavolo volesse far parte di una webzine che come ragione sociale aveva proprio quello: scrivere. Dovevi andare a svegliarlo tutte le mattine, come la sua mamma, perché lui di alzarsi dal letto proprio non aveva voglia.
C’è stato chi ha scritto sonore panzane, eppure non sono mai intervenuto su una riga di contenuto di nessuno, mai. Di grammatica e sintattica ne ho corretta tanta, ma ho sempre ritenuto che ognuno avesse l’onore e l’onere di dire la propria anche se questo finiva con l’essere identificato con una presunta linea editoriale della webzine che invece la webzine non aveva, perché era sostanzialmente un collettivo di battitori liberi sebbene coordinati da un tizio che poi materialmente si occupava di mettere online i pezzi.
Questo ha nociuto alla webzine?
Sicuramente, ma così facendo mi sono sempre sentito corretto nei confronti di tutti.
Si parla molto delle magagne dei redattori di webzine, un mondo di metallari barbosi, ottusi, retrogradi e moralmente abbietti, ma si parla molto poco del mondo delle label e di chi si rivolge ai Media per promuovere i propri prodotti.
Naturalmente tutto va retrodatato al periodo 2005-2015, come detto in premessa, oggi i social hanno abbastanza squinternato tutto, ma almeno finché sono stato il collettore delle mail di etichette, agenzie e manager a vario titolo, ne ho collezionate tante di situazioni strambe.
C’erano label molto presuntuose e ricattatorie che si atteggiavano a fighe di legno, che tu dovevi meritarti. Termine che non uso a caso perché mi fu scritto nero su bianco che come webzine ci saremmo dovuti “meritare” l’attenzione (ovvero l’elargizione di materiale promozionale) da parte di quella data agenzia, non era un privilegio concesso a tutti.
Un’altra che contattata mille volte rispondeva mille volte no, ed era tra quelle simpatiche e garbate perché perlopiù non rispondevano proprio, dall’alto dei loro castelli dorati.
C’era quella che proprio non tollerava recensioni negative, ed anche una banale sufficienza veniva stigmatizzata e dovevo dare spiegazioni del perché il voto fosse così basso.
C’era chi ti faceva avere solo i dischi minori del proprio catalogo perché le “big thing” in uscita erano riservate praticamente a 2-3 portali nazionali e stop, gerarchie inattaccabili.
C’era chi ti mandava il disco solo se intervistavi. Tu intervistavi, magari via mail, e le risposte alle domande inviate mesi prima non sono mai arrivate perché al guitar hero di turno in realtà faceva fatica.
Tra i musicisti c’è stato chi ha minacciato denunce e percosse (esatto, italiani); questo tra i colletti bianchi delle label non accadeva mai, la loro arma era chiudere il rubinetto. Le band invece se la prendevano e siccome qualcuno aveva la quinta elementare pensava di risolvere tutto come fosse I Guerrieri della Notte.
Devo essere sincero, non mi manca per niente quel periodo, abbiamo fatto belle cose, sono stati anni in cui ho imparato, ho fatto tesoro e mi sono creato un bagaglio, ma non tornerei indietro nemmeno mi pagassero.
C’è chi dice che oggi le recensioni non servono più, non hanno più senso. Chiunque può accedere in tempo reale al disco che vuole ascoltare, se lo ascolta e giudica da sé.
Io non sono molto d’accordo.
Se a 20 anni avessi trovato uno che ascoltava musica dal doppio o dal triplo di tempo e che avesse speso delle parole a commento di un disco o di una band che mi interessava, l’avrei ascoltato convinto di imparare qualcosa.
Se ancora oggi mi avventuro in un genere musicale che conosco poco o mastico relativamente, il parere di persone più esperte mi è gradito. Ma più in generale, un altro punto di vista oltre al proprio arricchisce sempre, perché non potrebbe essermi utile?
Non è che il recensore dalla sua cattedra deve insegnare qualcosa, io ho sempre visto la recensione come una serie di riflessioni sull’ascolto fatto, dunque opinioni, pareri, sfumature, considerazioni, mi piaceva scriverne e mi piace leggerne.
Cosa diversa sono ad esempio le interviste, nelle quali comunque ho la possibilità di apprendere “cose” da parte dell’intervistato ma fondamentalmente – ed è un problema mio – non mi importa più granché di cosa pensa un musicista, ascolto la sua musica e quello mi basta.
Una forma di mediazione tra la musica e chi l’ascolta per me è un bene non un orpello, si può scegliere di rinunciarvi ma di per sé non esiste l’assioma che è inutile. Guardo tonnellate di film da quando sono bambino ma ancora oggi la prima cosa che faccio dopo aver visto un titolo è andare a leggere cosa se ne dice in giro per vedere se le mie impressioni, le mie sensazioni, le mie elaborazioni al riguardo sono condivise, magari del tutto sbagliate o se c’è qualcosa che io non ho saputo cogliere.
Né se vado in pinacoteca e mi dispongo davanti ad un Rembrandt penso che i miei occhi siano bastevoli a leggere esattamente tutto ciò che è contenuto in quella cornice.
Una cosa è certa però, io di recensioni non ho più voglia di scriverne, semmai mi diverto di più a meditare e comporre a più ampio spettro, studiare una band e/o un musicista, il suo percorso, il suo contesto, un dato momento storico, certi parallelismi tra questo e quello, spunti biografici, etc.
Anche per motivi di spazio, la recensione finisce col diventare una sorta di fotografia che inchioda il musicista a quel giorno di quell’anno in quella precisa ora, un momento prima e un momento dopo era già altrove. Una cristallizzazione in uno slot spaziotemporale che falsa un po’ tutto perché poi non si ripeterà mai del tutto identica e dunque rischia di sfigurare anziché ritrarre con puntualità.
Amo di più gli excursus perché danno l’idea del fluire, del divenire, della trasformazione, dell’evoluzione o anche dell’involuzione in certi casi, ma comunque rifuggono la stasi, che per definizione è l’antitesi della musica. A tal proposito Sting diceva che per quanto amasse Rolling Stones e AC/DC, non riusciva a vedere cambiamento nella loro musica, un gruppo deve essere il mezzo per le canzoni, non il contrario e con gli Stones e Angus Young invece non funzionava così.
AC/DC, Running Wild, Ramones, Bolt Thrower non hanno mai fatto del dinamismo il loro focus e sono tutti gruppi che apprezzo, sia chiaro, ma il concetto in sé è valido e mi guida in questi anni nei quali ho accantonato la vita da webzinaro per ascoltare musica e scrivere riflessioni unicamente guidato dal piacere di farlo e dal progresso delle cose.