Amsterdamned – Dick Maas e le premesse quelle belle

Amsterdamned quando arrivò in Italia diventò subito un cult. Dick Maas, regista olandese che aveva già colpito e affondato il pubblico con L’ascensore, tornava alla carica dirigendo un thriller cattivo e molto originale. Un sommozzatore serial killer che colpisce gli abitanti notturni della città sfruttando la fitta e strategica rete dei canali.
Al tempo non lo vidi mai, pur interessandomene. Le critiche erano tutte positive ma qualcosa mi tratteneva dal noleggiarlo. Ricordo che lo registrai anche dalla TV e la VHS rimase sullo scaffale per diversi anni, fino al giorno in cui regalai tutti i miei mille e centoundici film a un amico; non avevo il coraggio di buttarli in un cassonetto.E ora mi sono visto Amsterdamned. A 34 anni dalla sua uscita. E l’ho trovato buono, ho capito l’entusiasmo di chi ne scrisse al tempo, ma devo riconoscere purtroppo che è invecchiato parecchio.

L’idea di base è buona. Il mostro in azione, un dannato, come dice il titolo, conduce lo spettatore verso un finale orrorifico, e avvicinando il film, dai canali olandesi ai laghetti poco controllati degli Stati Uniti.

I canali però aggiungono un tocco di decadenza e malsano in più. Amsterdam è una città bella e attraente per un certo tipo di turisti interessati più alle inalazioni e ad andare (e venire) per vetrine, che alle mostre di pittura.

Il sindaco del film però ci informava che le cose erano migliorate da poco. Tra gli anni 70 e 80, ed è vero, ad Amsterdam era pieno di hippie e detriti contro-culturali, tossici e barboni, borseggiatori e malati di mente vari.

Tutto questo è stato levato di torno sul finire degli anni 80 e la città, come danno a intendere nel film di Maas, si apprestava a godere un nuovo boom economico. L’88 quindi, anno in cui è ambientata la vicenda del sommozzatore killer che danneggia il turismo ritrovato, è stato un momento di progressiva rinascita.

Eppure i canali non sono granché piacevoli da frequentare. I poliziotti di Amsterdamned ci informano che sono sudici e pericolosi, che non si vede a un palmo e che palmati o no, ci si possono prendere le brutte malattie a nuotare lì dentro. E questo ci dice una cosa interessante, badate, ovvero che il tipo forse non è solo un assassino compulsivo ma un autentico matto scatenato.

Il killer invero sembra quasi una specie di super-eroe. Porta sott’acqua le vittime con grande rapidità. Una volta riesce a farvi sparire nelle profondità un corpo senza nemmeno sciacquettare un po’. La vecchia barbona (che al solito sa tutto ma non viene ascoltata da nessuno) parla di un vero e proprio mostro e in effetti, se non lo vedessimo agire all’inizio, potremmo pensare che si tratti di un coso soprannaturale, un Nessie che invade le acque di Amsterdam o un Jason in spedizione punitiva contro i giovani amanti dei cannabinoidi.

Credete, Amsterdamned è ancora un film in grado di sollazzare lo spettatore in cerca di emozioni forti. Ci sono due ottimi inseguimenti, uno tra una macchina della polizia e un sospetto motorizzato, e uno tra due motoscafi. Inoltre c’è la scena del rinvenimento della prima vittima del mostro, la sequenza del cadavere appeso e la navetta turistica che gli passa sotto, che è forse ancora più spettacolare delle corse e le sparatorie, e per me indimenticabile.

Per quanto violento e ricco di omicidi, non vediamo mai o solo di sguincio l’assassino in azione. Maas preferisce suggestionare il pubblico sbattendogli in faccia i cadaveri: riemersi, recuperati, ritrovati nei o intorno ai canali. I corpi gonfi d’acqua, aperti come pescioni, sbiancati e deturpati dalla violenza e la “putrea”, raccontano i terribili atti compiuti e la spietatezza con cui il maniaco ha colpito in apparenza vittime a caso. C’è tutta la fauna folkloristica olandese del tempo: una prostituta, due ecologisti di straforo, una questuante in bicicletta. Più la polizia si avvicina all’assassino “subbacquo” e più lui cambia tipologia di bersagli: poliziotti, testimoni scomodi eccetera eccetera.

Ma parliamo delle cose che non vanno in Amsterdamned.

Per primo la colonna sonora, composta ed eseguita dallo stesso Dick Maas, è un garbuglio di tastiere sinfonic-pop-darkwave anni 80 monotono e invadente. Sconfina tra il limitare di ciò che è diegetico ed extra-diegetico, creando momenti davvero intollerabili.

Cosa voglio dire con questi paroloni?

Intanto che ho studiato Cinema all’università. Poi che…

Allora, diegetico significa che la musica fa parte della realtà stessa del film, quindi mettiamo una canzone che esce dal finestrino di una macchina è diegetica.

Extra-diegetico è tutto quello che sente lo spettatore ma non i personaggi in scena, quindi la colonna sonora vera e propria. Se aveste confuso la prima con la seconda, avreste fatto incazzare parecchio Morricone.

E come mai nel caso di Maas le cose non vanno bene, secondo me?

Perché finché i “piripiri” mediosi sono contenuti fuori dalla storia, uno può anche abituarsi e sopportarli, ma quando la figlia del poliziotto, in un momento di scazzo generazionale accende lo stereo a palla e quello che sentiamo è solo un altro momento atroce dell’esperienza svisarmonico-creativa di Maas, non può esistere in nessun universo che la radio passi una roba del genere alle otto di mattina!

Lo stesso vale poco dopo quando è il poliziotto, il protagonista, Huub Stabel, diretto al lavoro, che accende lo stereo e una voce fa: “E ora un programma di musica leggera: e via ancora le nefandezze tastieresche di Dick Maas.

Basta, cazzo!

Poi ci sono i costumi, gli arredi e il make-up a non convincermi.

Capisco il tempo che passa e gli oggetti che diventano testimonianze assurde dei gusti di una volta, ma non si può sopportare la giacca di pelle verdolina indossata per gran parte del film dal personaggio principale. È una bella giaccona con le spallone e corta alla vita, ma verdolina, cazzo!

Invece il telefono che ha in casa, tutto trasparente, è stato un tuffo al cuore. Ricordo dei miei vicini di casa che avevano un apparecchio come quello, ma immagino che il mio cuore tuffato non possa valere come prova di gusto estetico, solo nostalgia del cazzo.

Per non parlare della pettinatura semi-mullet di lui… È difficile non associare il personaggio, considerando il look e lo stile recitativo, alle gallerie indecenti dei serial thriller tedeschi di Raidue.

Huub Stapel aka Erik Visser, pare uscito da un poliziottesco all’italiana. Basta come prova la scena in cui, tra uno svincolo e una fila al semaforo, trova il tempo di sventare una rapina al volo prima di recarsi al commissariato e svaccarsi su una scrivania piena di nebulose scartoffie.

Bello, aitante, rapido nell’azione, scanzonato, cinico e testardo, Eric è uno che sa fare il proprio mestiere e risponde al tipico identikit del poliziotto votato al lavoro per natura: divorziato, con una figlia minorenne che mantiene ma lascia costantemente sola di giorno e di notte, un’intelligenza investigativa che non trascende mai i limiti dell’azione e così via. Ma Eric non si domanda nulla, non è un filosofo, solo un segugio pagato per mettere i criminali in gattabuia.

Sapete, vedendo i thriller cinematografici, mi sono sempre chiesto che orari faccia la polizia normalmente. I poliziotti dei film lavorano in ogni momento del giorno e della notte, telefonate improvvise li fanno schizzare fuori dal letto a qualsiasi ora, turni supplementari di pedinamento, di spionaggio, scazzottate con gli assassini… In quale momento timbrano i cartellini, chi tiene il conto delle loro ore di lavoro, che genere di busta paga si ritrovano in mano alla fine del mese gente come Richard Case di Vivere e morire a L.A. o Erik Vessel di Amsterdamned, tenendo pure presente un grave incidente sul lavoro, quando viene ferito in un tunnel sotto il canale dal sub-pazzoide. Cazzo, andiamo a fondo a questa cosa, nessuno prende mai lo stipendio nei film polizieschi. Sarebbe interessante vedere come le indagini possano incastrarsi con gli orari di lavoro e gli straordinari, no?

Un’altra cosa che mi ha sempre dato da pensare è l’alimentazione della polizia. I pedinamenti sono massacranti e spesso accompagnati da lunghe pause scandite da festini a base di cibo spazzatura in piedi all’angolo di una via o in un’automobile della pula. Ma Erik e un suo collega, all’inizio del film mangiano alla mensa del lavoro e sui vassoi ci sono bicchieroni di latte, panini imbottiti, tramezzini e roba fritta. Dovrebbero essere le dieci del mattino e quella è solo la prima colazione. Giubbotti anti-proiettile e stomaco d’amianto. Quando, nel tipico momento goliardico di questo genere di film, uno dei poliziotti fa uscire un peto in auto e l’altro sbanda nel traffico, non è un’esagerazione, temo.

E riguardo il discorso alimentare, c’è una cosa che mi ha molto colpito in Amsterdamned. Nella scena tipica del necroforo che si aggira intorno ai letti con i cadaveri e spiega ai poliziotti cosa ha scoperto, per lo più fa un dettagliato resoconto di ciò che avevano nello stomaco le vittime. Non si capisce a cosa serva, forse è solo per dare un tocco di realismo. Magari in necrofori offrono le loro informazioni senza domandarsi quanto possano essere utili alle indagini, ma sapere che la prostituta all’inizio del film aveva due hamburger nello stomaco e una bibita gassata, che cosa dovrebbe aiutarci a capire, quanto la routine alimentare delle prostitute e quella dei poliziotti siano simili?

Ancora, c’è chi ha scritto (i Castoldi’s  nella loro Guida al cinema splatter) che l’aria scanzonata di molte scene faccia bene al film, io invece temo che siano in gran parte proprio quelle a datarlo oggi. Potevano far ridacchiare il pubblico medio europeo tra l’88 e il 91, ma ora irritano e suscitano un certo imbarazzo.

La commistione tra comicità e violenza raggiunge l’apice al di fuori del film, nel videoclip della canzone scritta appositamente dal duo pop in voga al tempo delle due Loïs Lane. Vi consiglio di dare un’occhiata su you tube, l’euforia pop festaiola del brano, abbastanza adatta alla chiusa leggera del film, accostata alle immagini più cruente nel video, produce un effetto davvero scemo.

Dopo Asmterdamned, Dick Maas sembrava destinato a consolidarsi come autore horror-thriller di livello, ma scorrendo la sua filmografia non sembra proprio che le cose siano andate così. Oltre a dirigere due seguiti del suo primo successo comico Flodders, ha firmato una serie di lavori poco incisivi, un remake de L’ascensore e Sint, un horror-comedy altalenante. Ormai ha più di settant’anni e non mi aspetto grandi riprese.

Le tre cose più inverosimili di Amsterdamned:

  • Dopo più di mezzo film, l’assassino sembra inarrestabile e le vittime crescono. Beh, una bionda pensa sia il caso di mettersi a fare un giro col gommone, in bikini, lungo uno dei canali.
  • Verso la fine, l’amante del poliziotto scopre l’identità del maniaco. Raggiunge un telefono e chiama la poliz… no, chiama l’ospedale dove è ricoverato il suo amante poliziotto, che siccome dorme, non può risponderle. Per migliorare la propria situazione, lei lascia un messaggio a un’infermiera demente che non sa riferirlo correttamente al poliziotto quando si sveglia.
  • Prima di ingaggiare un inseguimento altamente pericoloso con il serial killer nei canali, e di guidare il motoscafo requisito per l’occasione come se non abbia mai fatto altro che surfing sportivo tutta la vita, il protagonista dice ai proprietari della barca: “ ehi, come si mette in moto?”