C’è stato un tempo, eoni fa, in cui certe leggende metropolitane circa gli eroi della musica pesante che infiammavano il cuore dei metallari italiani, non potevano essere né smentite né confermate. Correva l’anno 1985, e lungi dall’essere vicini all’avvento di internet, in piena esplosione di popolarità per Ride The Lightning, sui Metallica si iniziava a fantasticare, e sopratutto a desiderare ogni testimonianza sonora possibile.Qualche fortunato possedeva i primi demo tapes, ma quello che faceva incuriosire e far desiderare di saperne di più, era il progetto Spastik Children, in cui, si mormorava in stile Fantozzi sul goal di Zoff su calcio d’angolo, erano coinvolti praticamente tutti loro. Le riviste specializzate già faticavano a scrivere delle band principali, figuriamoci se potevano saperne di più di questa fantomatico progetto. Qualche foto sparuta testimoniava che l’esistenza era reale, ma, in un’epoca davvero avara di fonti, non c’era nessuna informazione aggiuntiva. Quindi, a distanza di tanti anni, cerchiamo di ricostruire, e finalmente ridare un volto, a questa solida (si fa per dire..) realtà.
Gli Spastik Children sono stati fondati nel 1985 da Fred Cotton, James McDaniel e Rich “Jumbo” Sielert a Berley, California, come mero diversivo alla loro band, i Pillage Sunday, nati un anno prima, (la cui unica testimonianza resta un demo dal titolo The Blitz Has Begun! del 1988).
Nacquero con un “manifesto” ben preciso: essere sempre ubriachi sul palco, improvvisare sul momento le canzoni, presentarsi on stage solo con un soprannome, e soprattutto una cosa: i membri del gruppo dovevano ognuno lo strumento che gli riusciva peggio, quindi non il loro.
Negli anni che dal 1985 vanno al 1990 la lista di componenti “ufficiali” degli Spastik Children è vasta e ben nutrita di pezzi grossi, tanto che di fatto potrebbe essere stata la più importante realtà thrash della storia. Ma solo teoricamente, e vedremo il perché.
Dapprima si esibivano con James Hetfield (Bobby Brady) alla batteria, Kirk Hammet (Goddamm It) al basso, Fred “Mad” Cotton (Johnny Problem) alla voce e James “Flunky” McDaniel (Slucky McDonald) alla seconda chitarra.
I pezzi composti erano assolutamente demenziali, tra i quali ricordiamo Let Me Flush, che parla di un tizio che conosceva Hetfield, che per scorreggiare si cagò addosso in pubblico; What’s That Smell, sulla puzza di merda sempre delle scorregge; Cunt dedicata a un’ex fidanzata di uno di loro (forse James, ma non c’è la certezza), o Bra Section, storia di un ragazzo che fa il guardone nella sezione reggiseni di un grande magazzino e si imbosca, arrapato, con la propria madre. Oppure c’era Benefit Baby, in cui un bel ragazzo finge di sedurre delle tipe, illudendole di volerle scopare solo per scroccar loro una cena gratis. Insomma, follia pura!
Musicalmente si parla di punk hardcore grezzissimo e sguaiato, che vedeva questi tizi vestirsi con pantaloncini da tennis attillati giro chiappa, fasce in testa, treccine e t-shirt di colori improbabili.
Se scorriamo la lista però, seppure suonarono solo in Nord California per una manciata di date in cinque anni, c’è da stupirsi. In formazione, in questo lasso di tempo, parteciparono: Jim Martin (Faith No More), Paul Baloff e Gary Holt (Exodus), Doug Piercy (Heathen), e infine Jason Newsted.
Di stanza allo “The Stone” a San Francisco, o all’”Onni” a Oakland, immaginiamo i fortunati teenager californiani, magari usciti per bersi una birra, vedere di sorpresa su un palchetto una simile parata di leggende viventi della scena thrash mondiale. Se poi mettiamo che ogni concerto durava dalle 2 alle 3 ore, e ogni volta suonavano pezzi diversi, chissà che spettacolo!!!
Gli stessi Metallica dichiarano in successive interviste, che grazie agli Spastik Children, erano riusciti a scaricare lo stress dovuto alla popolarità e ricaricare la mente in modo creativo.
Ci piace pensare che Master Of Puppets del 1986 abbia in sé idee nate da quelle sessioni selvagge, o anche semplicemente abbia ispirato loro dei riff, dei testi o delle parti cantate. Non lo sapremo mai, così non sapremo mai che cosa portò quell’esperienza negli Exodus, Heathen e Faith No More.
Le strane traiettorie della musica regalano perle di questo tipo, progetti piccoli fatti da grande gente, e grazie al web, qualche cosa è rimasto possibile da vedere e sentire. Lunga vita ai re del t(h)rash! (Marco Grosso)