Premetto che questo è un pezzo molto personale, non autobiografico, ma quasi. A me i dischi “famosi”o “storici” piacciono molto meno di quelli considerati minori, di quasi ogni band. Gli Slayer di Show No Mercy e di Hell Awaits e non di Reign In Blood, gli Onslaught di In Search For Sanity, i Celtic Frost di Cold Lake mi gasano mille volte di più dei soliti The Number Of The Beast o Master Of Puppets.
Lo so, sono un feticista e un tipo strambo, ma a me piace così. Poi a me i Thin Lizzy dicono poco, così come gli Uriah Heep, ai quali preferisco i Necromandus e gli High Tide. Tutto sto pippone per parlarvi del mio disco preferito degli Anthrax, che a volte se la gioca con Spreading The Disease, ovvero Fistful Of Metal.
Un signor album, oh sì, ma non viene quasi mai citato. Ha al suo arco tante, tante frecce. Intanto è un bel mix tra metal classico, il nascente thrash, lo speed metal e soprattutto ha una voce davvero bella a guidare le danze, ovvero quella di Neil Turbin. Graffiante, maschia, acuta, ruggente, e in grado di cesellare alcune belle melodie.
Lo preferisco a Belladonna, certo, ma il destino ha voluto diversamente. Il disco risente ancora molto delle influenze degli idoli giovanili Anthrax, ovvero gli Iron Maiden e i Motorhead, ma anche di certa NWOBHM.
Azzardo una certa vena riconducibile ai filoni più primitivi dell’US metal, ma con cautela. Un bel mix di sonorità che solo Spreading The Disease ha in parte mantenuto, poi la trasformazione completa in quel tipo di thrash, che si ama o si odia. A me piace poco, ma ne riconosco l’importanza.
Poi in formazione c’era ancora Dan Lilker, che a Frank Bello gli mangia in testa. Su Ian, Benante e Spitz nulla da dire, già galoppavano selvaggi, e pure bene. Facciamo un passo indietro però.
Nel 1981 parte la storia, Scott Ian e Dan Lilker a scuola, compagni di banco, fondano il complessino, a New York, e prima di arrivare a una line up stabile cambiano i musicisti continuamente. Nomi che non dicono molto, come Joe Gelione, Dave Weiss, Paul Kahn, Dirk Kennedy, Jason Rosenfeld, Tommy Wise, Greg Walls, Bob Berry, Kenny Kushne.
Ma due in qualche modo li ricordiamo ancora oggi. Uno è Greg D’Angelo, poi batterista nei White Lion e l’altro è John Connelly, cantante e chitarrista nei Nuclear Assault. In alcuni live amatoriali su YouTube ci sono i filmati dei primi concerti, e pensare che sia lo stesso gruppo di Antisocial o I Am The Law fa sorridere.
Le setlist sono infarcite di cover di Iron Maiden, Saxon, Kiss, Judas Priest ma anche incredibilmente di ZZ Top, Triumph e Focus. Più vari brani originali dai primi nastri, ormai dimenticati. Poi nel 1983 dopo una bella e faticosa gavetta, una svolta: Ross The Boss dei Manowar gli produce un demo di cinque pezzi, in cui ritroviamo fimalmente anche Neil Turbin e Dan Spitz, proveniente dai conterranei Overkill.
John Zazula lo sente, gli piace e li mette sotto contratto. Stampa un 7”, Soldiers Of metal, con dietro Howling Furies, che vende tremila copie in due settimane. Per degli sconosciuti è un gran bel risultato. Mister Z li mette al lavoro per un debutto coi fiocchi, e ci punta molto. Ross The Boss non può produrre l’album, Paul Curcio, che doveva farlo (aveva lavorato su Kill’Em All dei Metallica) nemmeno, ripiegano su Carl Canedy dei Rods.
Gli Anthrax storcono il naso, non era lui che volevano, manco lo conoscevano, ma fanno buon viso a cattivo gioco. Il budget è ridotto, Canedy propone tre studi a New York affrontabili, alla fine la scelta ricade sul Pyramid Studios a Ithaca.
Lavorano veloci e bene, la band provava quei brani cinque sere a settimana, quindi i le registrazioni filano lisce. Un sogno che diventa realtà, e come spesso ribadito da Ian e Benante in sede d’intervista, il loro scopo era mescolare i suoni di Iron Maiden e Motorhead con la una più personale visione.
Non a caso misero la copertina di Piece Of Mind di fronte a loro per ispirarsi durante le sessioni. Unica nota negativa è l’inclusione di una cover di Alice Cooper, I’m Eighteen che è il punto debole del disco, e la resa è davvero scadente, per chi scrive.
Scott Ian voleva inserirne una dei maiden o dei Motorhead, ma gli altri insistettero per quella. Che errore! Una resa moscia, spompata, per dirla alla politicamente corretta, una frociata!
Sembra che io e Scott Ian abbiamo pensato in sincrono questa cosa, poiché egli si rifiuta di suonarla, e tutte le chitarre le incide Spitz. Altra nota la resa finale del master dell’album. Se lo si ascolta bene è sbilanciatissimo, le chitarre spariscono e la batteria sovrasta tutto. Non a caso Canedy è un batterista (nei Rods) e applica il suo punto di vista.
Male, molto male. Esce a gennaio 1984 per Megaforce Records, e a differenza di Kill’Em All, la cui cover originale viene cassata, questa trucida e sanguinolenta col tizio a cui spappolano la faccia con un pugno di ferro, l’etichetta la approva. Idea malsana di Neil Turbin e disegnata da Kent Joshpe (autore pure del logo). A oggi fa sorridere, ma dona un fascino davvero speciale, vintage e ingenuo, che per me è irresistibile.
Un disco che trovo iconico e che non viene certo menzionato o ricordato spesso, quando si parla degli Anthrax, ma secondo me ha dentro una tracklist godibilissima, specialmente da chi ama l’heavy metal classico e non solo il thrash.
Per chi adora gli Iron Maiden dei primi lavori Deathrider e Panic sono due grandi tracce, senza dimenticare la mitica Metal Thrashing Mad e le chitarre armonizzate di Howling Furies, che sembrano outtakes di Killers. Un bell’esordio, che come Show No Mercy e Killing Is My Business… non hanno retto il passo con l’asso pigliatutto Kill’Em All (che NON un è un album thrash e non ha dato il via al genere), rapidamente messo da parte per i lavori successivi.
Among The Living resterà nei cuori di tutti i thrashers, ma a me non piace molto. De gustibus. Se non avete mai ascoltato questo “pugno” fatelo, se invece lo conoscete ripescatelo. Nelle gemme dimenticate c’è tanto da godere.
(Marco Grosso)