Dopo Hill House della Jackson (speciale pubblicato sulla versione cartacea di Sdangher) parliamo di Hell House di Richard Matheson. Non credo sia necessario fare dei paralleli e dei distinguo tra i due romanzi. Sembrano molto simili ma non lo sono. Per certi versi si contrappongono. Entrambi però hanno un elemento comune che secondo me va sottolineato. C’è di mezzo tanto sesso.
La casa degli invasati ha una matrice sessuale sotterranea. Nel libro di Matheson la faccenda sale, come un cadavere, prepotentemente a galla. Hill House della Jackson è il contenitore di una forza repressiva e “puritanesca”, profondamente americana, mentre Casa Belasco è un annoso ricettacolo di polvere, orgasmi e altri fluidi corporei di varia provenienza, corporea o incorporea.
Quello che sorprende, ma solo i lettori meno avvezzi all’opera di Matheson è che Casa d’Inferno (titolo italiano inaugurato dalla Rizzoli nel 1974 e confermato via via da Fabbri e in ultimo Fanucci) sia una storia di fantasmi e infestazioni, ma inaspettatamente carnale e spinta.
I quattro indagatori, assoldati da un miliardario in punto di morte, devono scoprire prove inoppugnabili dell’esistenza di una vita oltre la vita, sono assaliti da spettri libidinosi sia da fuori, con morsi, ferite e persino uno stupro- zombie, che posseduti interiormente da ciarliere e boccaccesche entità, le quali gli fanno sputar dalla bocca, le loro boccucce mordicchiate e logorate da dentistiche remore pudorifere, frasi pornografiche e incitamenti all’atto sessuale secondo un formulario dannatamente esplicito.
Lo stesso Richard Matheson, sceneggiatore del discreto film diretto da John Hough nel 1973 e uscito col titolo italiano Dopo la vita (The Legend Of Hell House) decide di limitare gli estremismi del libro, come se egli stesso non se la sia sentita, per la riedizione su schermo, di spingersi fino ai limiti raggiunti e superati nelle sue stesse pagine.
Ed è un peccato perché chi vedesse il film di Hough ne trarrebbe solo un timido ragguaglio della cattiveria e il bisogno di andare fino in fondo del romanzo di Matheson.
Per molti versi la possessione, che a turno subiscono tre su quattro dei protagonisti, anticipa quella della piccola Regan in L’esorcista di Bletty (il romanzo) e poi il film di Friedkin. Infatti, oltre al gusto di far dire cose oscene ai loro ospiti, gli spiriti di Hell House, li usano per colpire gli altri dove fa più male, esprimendo una carica distruttiva che mette però a nudo l’ipocrisia generale dei personaggi.
Voglio dire: a un certo punto, la medium Florence Tanner, procace milfona, è posseduta dal presunto spirito di Daniel Belasco, figlio del terribile “gigante ruggente” Emmery. Questi le fa dire, rivolgendosi alla signora Barrett, astinente sessuale con un passato stupro paterno, che è una lesbica repressa. E in fondo sappiamo, e lo sa anche lei, così come il marito impotente, che è la verità. Quindi quale sarebbe l’azione ingiusta e dannosa del diavolo in mezzo agli uomini, se non metterli con le spalle al muro e sollevare pubblicamente la loro reale essenza?
La stessa faccenda succederà in L’esorcista. Fate caso, per bocca della bambina, il demone Pazuzu, svela in una specie di super-outing, le beghe e i peccati di tutti quei preti e pretazzi che gli stanno puntando il crocefisso contro.
E se lì parliamo di Satana, non ci allontaniamo troppo con il signor Emmery Belasco, un incrocio tra Rasputin, Gurdjieff e Crowley. Lui edifica un tempio alla più intemerata blasfemia, con tanto di cappella interna riconvertita al demonio, la cui descrizione, nelle prime pagine fa caracollare lo spettatore oltre quei gradini dove la luce della lampadina non va.
All’interno di Hell House, tra “scientisti” e spiritisti, evocatori che producono ectoplasmi e fisici pronti a misurare e controllare tutto attraverso dei rilevatori ultra-tecnologici, Matheson sembra dare ragione più ai primi; al contrario di come la gestì James, mescolando talmente bene le carte da costringere per cent’anni la critica a cercare di sbrogliarle senza riuscirci.
Forse però l’autore di Hell House nutre solo una simpatia per la purezza di Florence rispetto alla smania di avere ragione del fisico Barrett. Quest’ultimo è talmente preso dal proprio esperimento che trascura la moglie, in balia delle influenze erotomani più di chiunque altro e soprattutto trascura di soccorrere la stessa Florence quando si caccia fatalmente in pericolo.
C’è nella caparbietà dello scienziato un fondo di ottusità e di vigliaccheria che Matheson registra e non scusa, mentre la sensitiva, è vero che esagera con moine e sentimentalismi legati al contatto con le anime imprigionate nella casa, ma è pronta a sacrificare tutta se stessa per salvarle, non per dimostrare di avere ragione lei.
Barrett invece sarebbe capace di far morire la moglie annegata nel lago, se nel mentre dovesse scegliere tra il correre a soccorrerla o finire di azionare la sua oscura macchina esorcistica e avere la prova definitiva della teorizzazione di una vita.
Forse anche lui è un puro, va oltre gli affetti e i bisogni personali (dopo un paio di assalti-poltergeist resta ferito e con un dito probabilmente in cancrena) ma è meno umano di Florence, guidata dalle emozioni e dall’amore per Daniel Belasco (prigioniero, anche dopo la vita, del tirannico padre).
Tra Ann e Lionel Barrett c’è un rapporto di convenienza. Lui offre a lei sicurezza economica e morale. Lei non gli domanda prestazioni fisiche virili, che il dottore non potrebbe offrirle dato l’handicap fisico ereditato da una polio in giovane età.
Lei detesta separarsi da lui, da tipica dipendente affettiva. Lui, menomato e sempre in bilico tra successo e fallimento, teme di essere abbandonato e quindi si consola sentendola al fianco ogni minuto.
La Casa d’inferno fa a pezzi questo accrocco sentimentale e libera in Ann le pulsioni sessuali che lei ha colpevolmente rifiutato di accogliere, vivendo in una sordità dei sensi che è assai più innaturale e inaccettabile di un ectoplasma lungo il cavallo dei pantaloni.
Se volete leggerlo, vi sconsiglio l’edizione Fabbri e Rizzoli, hanno una pessima traduzione. Provate l’ultima di Fanucci, anche se non garantisco.