Nell’universo del progressive metal tante sono state le sfumature e le sotto-categorizzazioni che hanno contraddistinto negli anni molte band, e ben poche di esse sono riuscite a imporsi al di fuori dei circuiti secondari. Se Queensryche, Fates Warning e Dream Theater sono riuscite a vendere molto e a finire negli ascolti più mainstream, per quasi tutti gli altri, anche meritevoli, l’impresa non è riuscita o l’hanno solo sfiorata. Tra chi non è riuscito a compiere il grande passo, nonostante grande tecnica e idee valide, ci sono sicuramente i tedeschi Sieges Even.
Forse perché non hanno fatto della melodia l’ingrediente principale, forse perché considerati musicalmente ostici, fatto sta che raramente li si menziona tra i capostipiti del genere, pur di fatto essendolo. Nati nel 1983 con il nome di Sodom (no, non quelli thrash che tutti conosciamo), temporalmente sono tra i “prime mover” di queste sonorità, cambiando nel 1985 nome in Sieges Even.
Qualche nastro, concerti dal vivo, la gavetta insomma, e poi nel 1988 finalmente il debutto su Steamhammer Records, con il magnifico Lifecycle, focus di questo articolo. A parte Operation Mindcrime dei Queensryche, i capolavori del genere dovevano ancora essere scritti e pubblicati in quel 1988, ma i Sieges Even erano presenti, con pochi competitor in campo, tra cui Fates Warning e Watchtower.
Ecco, proprio di quest’ultimi bisogna parlare, poiché sono la cosa più vicina stilisticamente ai Sieges Even, fratelli separati alla nascita, almeno per questo disco. Se altre band incorporavano elementi più classicamente metal e dosi di melodia elevata, mutuate da Iron Maiden, Judas Priest et similia, colorando appena di progressive i pezzi, su Lifecycle la miscela metal + prog è equamente divisa a metà.
Sono i Rush, i King Crimson, i Genesis a ispirare le ispide e sghembe sonorità atonali e dispari, affiancandole a un thrash metal aggressivo e potente, creando un ibrido fenomenale. Il paragone possibile per inquadrare Lifecycle è soltanto appunto Energetic Disassembly dei Watchtower, anche per la similarità del cantante Franz Herde con Jason Mc Master.
Stessa produzione minimale e imperfetta, che però riesce a donare un fascino globale al disco non indifferente. I Sieges Even, vocalmente e musicalmente, guardavano in egual misura a Metallica e Van Der Graaf Generator, ai Rush e agli Iron Maiden, senza sbilanciarsi mai troppo.
Markus Steffen alla chitarra ricama e sovrappone le ritmiche e gli accordi thrash con aperture jazz e prog che si appoggiano a una delle sezioni ritmiche più fantasiose, creative e tecniche di sempre: i fratelli Oliver Holzwarth e Alex Holzwart (rispettivamente basso e batteria).
In Lifecycle non ci sono ritornelli piacioni, assoli barocchi, cavalcate maideniane, neppure cori e svolazzi vocali arditi, quanto una rete intricata di frammentazione sonora che evolve e si concatena tra momenti furiosi e calme aperture. Diversamente da tanti altri gruppi, basso e batteria hanno un ampio spazio, sono ben udibili nel mix, al pari di chitarra e voce.
Herde ricorda nel timbro una miscela di Geddy Lee, Peter Hammill e John Arch, che ricorda un po’ quella di McMaster, appunto. Oliver Holzwarth in Lifecycle ingloba Steve Harris, Geddy Lee e Tony Levin, accentuando partiture jazzate con folle creatività, poco apprezzabile dall’ascoltatore medio di heavy metal, che era abituato a linee di appoggio semplici, se non la mera ripetizione delle note degli accordi di chitarra sovrastanti.
Alex è un batterista incredibile, potente, creativo, in grado di accelerare e rallentare fulmineamente, scomporre i tempi a piacere, un polipo tentacolare e liquido. A riprova di ciò, è innegabile che in anni più recenti, sicuramente Atheist e Cynic hanno rielaborato quello che i Sieges Even (e i Watchtower) proposero allora.
Nel corso dei 44 minuti dell’album non c’è nessun “highlight“ che si stacchi da altre canzoni, quanto un livello generale di ottima musica, continuo, in un flusso spazio temporale alieno, che si snoda serpentino, tanto che appena si preme “play” si resta ipnotizzati in questo labirinto sonico, arrivando alla fine come se fosse passata un’eternità o solo cinque minuti, a seconda del grado di sensibilità dell’ascoltatore.
Troppo complicati, troppo metal per i progster, troppo progressive per i metallari, come per i Watchtower, i riscontri sono modesti, il pubblico non ama troppo le contaminazioni, né ieri né oggi, e quindi dopo questo piccolo gioiello, ammorbidiranno e aggiusteranno il tiro, con una svolta più accessibile e melodica.
Infatti già in Steps del 1990, la band si sbarazza gradualmente delle parti più thrash e inserisce la chitarra acustica in modo più massiccio, facendoli virare verso una versione più annacquata dei primi Rush. In seguito li ho persi di vista, avendo con il cambio di cantante mutato l’approccio musicale, a me sgradito.
Da sottolineare come i fratelli Holzwarth siano poi diventati celebri suonando con progetti molto apprezzati e famosi: Oliver con Blind Guardian e Rhapsody Of Fire, Alex con Avantasia, Kamelot, Luca Turilli e Leaves’ Eye tra gli altri. Siamo certi che Lifecycle meriti una riscoperta, un ascolto intenso e dedicato, e che abbia un suo degno posto nella hall of fame del progressive metal, poiché quando tutto iniziò, loro c’erano già.
(Marco Grosso)
https://www.youtube.com/watch?v=FGiyRlo6-Kw