Presentati personalmente da Beppe Riva su Metal Shock, in un periodo in cui la collaborazione con la rivista cominciava a ridursi, gli australi Baby Animals facevano una mistura di hard rock e blues bianco da birreria, con voce femminile. Nonostante i vistosi accostamenti a gente come Ann Wilson delle Heart o Chrissie Hynde dei Pretenders, l’allora giovane e molto potitina Suze De Marchi, cantante di origini genovesi, disse chiaro di non amare i gruppi rock con voci femminili, meglio effeminate purché maschili. Il povero Beppe incassò la manfrina e tenne duro incitando la pischella con la definizione davvero imponente di “una delle front-girl futuribili di punta”. Ovviamente come pronostico fu più un vendicativo macigno sulla carriera di Suze che un buon auspicio. Ma tant’è, al tempo i critici musicali erano usi a spararle grosse, tanto chi poi sarebbe andato a rinfacciargli qualcosa, dopo vent’anni?
Suze De Marchi è svanita nel nulla, per quanto ne so. Con lei i Baby Animals, sono ormai dissolti come una compressa di vitamine in acqua temperata. Eppure erano un bel gruppo, anche se mi hanno sempre spinto a sospettare sia stato sapientemente costruito da qualcuno molto in gamba (John Woodruff ?).
No, pensiamoci un momento. C’è questa ragazza dal fisico asciutto, il taglio mascolino e l’aria tanto così dalle mestruazioni, che torna da una disastrosa esperienza con la EMI in Inghilterra. Partita dall’Australia con un paio di canzoni e tante speranze negli anni 80, ha esaurito presto ogni occasione di lancio in un paese dove, parole sue “se non hai alle spalle una grossa etichetta che ti protegga e investa su di te, non trovi letteralmente spazio per suonare”.
La grossa etichetta c’era, (più della EMI chi altri???), però è mancata una valida strategia di lancio, oppure, è stato commesso l’errore di confezionare intorno a Suze, una maschera poco adeguata alle sue inclinazioni.
E così, dopo questa falsissima partenza, ecco che all’inizio degli anni 90, spuntano i Baby Animals, e c’è ancora lei al microfono, a tener su l’immagine di una band che, nella copertina del primo disco, schiacciata sullo sfondo e persino sfocata, fa pensare a dei tizi crossover metal sudati e impenitenti, molto lontani dall’afflato darkettino della Suzie, occhiali scuri fissi, abbigliamento minimale e attitudine imbronciata. Però le cose tra lei e quelli lì, funzionano.
Il primo disco dei Baby Animals ha tutto per funzionare e in gran parte funziona. Ci sono i singoli da mandare in rotazione senza ripensamenti: Rush You, One Word, Painless. E sebbene la patina sia quella delle grandi band da stadio, c’è anche una massiccia andatura rock (Out To Many, Working For The Enemy).
Il sound è un miscuglio tra gli INXS, Robert Plant, Bryan Adams e Alannah Myles, cantante canadese da sturbo che è uscita praticamente due anni prima con un disco molto simile ma dieci volte superiore in tutto, singoli, tiro e persino una patina più lipidica, dell’omonimo dei Baby Animals.
Erano i “primeri” anni 90 e il rock dei Baby Animals è fortemente sintonizzato con l’andatura tradizionalista ma attenta alle sfumature del nuovo heavy sound. Non c’è grunge, solo un lunare rastrellamento di ogni delusione dal cuore, come l’incipit di Break My Heart.
Make It End mi fa pensare a certe mattinate fresche d’autunno, le prime domeniche dopo l’inizio della scuola, quando l’ottimismo è ancora sodo e impunito come il ghiaccio natalizio prima di mezzogiorno.
Era il tempo in cui il CD rappresentava il futuro della musica, volenti o nolenti, e le grosse etichette cullavano le nostre vezzose inclinazioni al piano, al forte, al lento o al veloce amore su lenzuola sgualcite dal telegiornale della sera, sempre pieno di cattive notizie.
Suze è carina e fa sbavare il maturo Beppe Riva ma tutto sommato si tradisce presto. Dalle canzoni dell’album, a parte la grintosa Waste In Time contro i preti, il disco è un continuo prenderlo nel culo dagli uomini: abbandonata, scaricata, mollata, sono tutti sinonimi, esattamente come One Word, Make It End, Break My Heart sono sinonimi della stessa canzone su una ragazza a cui è andato male l’ultimo amore. Perché come canta Suze, tu non puoi mettere le braccia attorno a un ricordo ma è in fondo quello che ci resta da fare, a volte. Quello e cantarcela addosso.
Va bene, se è questo che vuoi cantare, sono d’accordo. Del resto la capacità dei Baby Animals, da brava band rock dei tempi lontani, è di infondere coraggio, speranza, dare conforto a cuori ammaccati in ascolto; però c’è un limite. Un po’ d’orgoglio, ragazza mia. Sei così carina, possibile che nella tua vita, dopo un po’ se la svignino tutti senza nemmeno una riga?
Non possono avere sempre torto gli altri, no?
Però ci sono momenti che mi hanno davvero trascinato nella fogna di ripensamenti, sensi di colpa e incubi a cielo aperto da cui cerco di uscire da una vita. Per esempio le parole di One Word sembrano scritta per la mia ex ragazza.
Una parola, una lettera, una riga e starei molto meglio
Uno sguardo andrebbe bene. Perché proprio non riesco a capire come mai sia andato tutto storto. Quindi mi chiedo, oh più ci penso, meno capisco
Andar via è facile quando sai che sei al comando.
Dovrei mentire? oh no
I Baby Animals al tempo andavano forte. Disco prodotto da Mike Chapman (noto per aver reso commestibile Suzi Quatro e condensato i Blondie), il gruppo si presentò in Italia, a supporto di Bryan Adams e facendo una gran bella figura, per essere la band d’apertura. Questo al Palatrussardi, il cui “suono eccellente” non è stato mai neanche decente per i gruppi spalla.
La Imago è l’etichetta che li stava sostenendo con grandissimi investimenti. Oltre ad andare dietro al canadese, la band aveva diviso il palco insieme a Van Halen e Robert Plant. Questo al tempo significava tanti soldi da lanciare nel pozzo risucchiante di una prospettiva.
E il primo disco andò benone.
Il secondo meno perché pur essendo buono, non aveva i pezzoni del primo e inoltre già nel 1993, tutto ciò che era “pulitino” e accademico, veniva spinto allegramente nel tritarifiuti da quello smascellone idiota di Beavis di MTV.
Quindi i Baby Animals diventarono un impiccio per la Imago, la quale rifiutò di mollare il nome alla band, impedendole di proseguire su un’altra strada con il seguito di carriera e letteralmente uccidendo il gruppo. Almeno per un po’.
Non ci sono state rinascite, reunion sì, ma piuttosto innocue, direi.