Due ma uno: l’allineamento di pianeti dolci e selvaggi tra Wildhoney e How to Measure a Planet?

L’essenza più profonda dell’essere umano nasce dalla scintilla divina, che l’ha creato, secondo chi crede a questa filosofia, capace di contenere in sé la dualità del maschile e del femminile allo stesso tempo. La separazione delle due parti, originata dalla mancata elaborazione dell’ “ombra” (il nostro lato oscuro), produce, invece, litigi, incomprensioni, quindi relazioni fallimentari di tutti i generi, poiché nell’altro vediamo rispecchiata quella parte di noi che non è in equilibrio.

Individui scissi danno vita a relazioni e pensieri malati, fatti di paura e fragilità emozionale. Ogni bambino interiorizza l’esperienza della sua Anima in relazione alla madre e l’esperienza del suo Animus in relazione al padre. E tutto questo rimane tatuato nella sua essenza, e lo guida nel resto della sua vita, spesso a livello subconscio.

Tutta questa introduzione per catapultare una mia teoria, personalissima, in cui ho individuato due album che, pur essendo diversi, sono in realtà la stessa cosa, separata nell’atto pratico, ma che a mio avviso ha pescato da un essenza univoca originaria, una fonte primaria e significante delle stesse vibrazioni, emozioni, significati profondissimi.

Il primo è “Wildhoney” dei Tiamat (1994, Century Media), mentre il secondo è “How To Measure A Planet?” dei Gathering (1998, Century Media). Già appare che a pubblicarli è una unica entità discografica, e questo sembra non casuale. Figli di un relativo momento storico ravvicinato, ognuno di questi lavori è molto intimo, denso di emozioni che toccano in profondità le corde dell’anima, e che hanno strati di ascolto e lettura diversi e sovrapposti.

Intanto sono album che ridisegnano l’evoluzione delle due band; distaccati progressivamente dall’heavy metal, ma in qualche modo facenti ancora parte di esso, in cammino verso terreni nuovi e originali, senza rinnegare ma ridiscutendo le coordinate musicali in cui esistono.

Non voglio entrare nello specifico delle canzoni, entrambi i dischi nei rispettivi insiemi, sembrano attingere da una fonte monadica divina unica, le due sensibilità maschili (Edlund) e femminili (Van Giersbergen) che dominano e guidano la band in un mood intenso e delicato, come novelli Cibele e Dioniso, portatori di fertilità e di fioritura spirituale, incarnate in musica.

Entrambi gli album colorano di tinte giallastre e arancioni, delicate ma visibili, un miscuglio di metal, psichedelia, folk, trip hop, intimità cantautoriale, che si muovono sinuose negli interstizi di ognuna di esse, senza lasciare prevalere troppo un aspetto piuttosto di un altro.

Sembrano appunto svilupparsi analogamente, nelle stesse istanze, come se telepaticamente i due fossero in triangolazione diretta tra di loro e tra un’entità superiore, che ha donato loro la stessa materia, che poi è stata plasmata nello stesso modo, differentemente ma dannatamente similare nella trama emozionale.

Pianeti dolci e selvaggi, in cui il fluido vitale è immateriale, spirituale, dove la carne sembra svanita, dove fluttua l’Anima e l’Animus, e che a me sembra comparire l’uno nel pianeta dell’altro, come se la connessione fosse reale. Potrebbero essere sovrapposti in un ascolto in cui ognuno, anche di durata diversa, si integra e si compenetra dell’altro, dove la matrice comune emergerebbe chiaramente e inesorabilmente. I colori vibrazionali sono gli stessi, ma l’energia è duale.

Ci si potrebbe chiedere quale matrice primigenia rappresenterebbe la fonte unica, la summa delle due parti, ma la risposta ci è sconosciuta. Restano due monadi musicali enormi, che vi invito ad ascoltare in sequenza, per coglierne le similitudini e le differenze, un “Giano Bifronte” che nella somma delle parti è l’Androgino Musicale. Se non vi siete persi nelle mie elucubrazioni, basta soltanto aprire interiormente sé stessi e lasciarsi andare dolcemnte in tutto questo.

Marco Grosso