Salve sdangheri della domenica (e per chi leggerà domani, salve sdangheri del lunedì). Ci sono tantissime novità, del resto è un pezzo che non vi scrivo. “Cari amici, vi scrivo”, come diceva il Dalla, che ora è morto. Allora, per cominciare stiamo preparando, con la solita ditta equina e manzina, numeri nuovi di riviste già esistenti e numeri nuovi di riviste non ancora esistenti. Abbiamo in pentola un podcast e se qualcuno ha pensato che questo blog fosse in avaria, dato che per un mese e mezzo non ci ho pubblicato nulla, beh, si sbaglia: Sdangher è vivo e continuerà a esserlo finché questo ronzino attempato, seguiterà a scalpitare, foraggiarsi e saltare (la cavallina).
Non ho più portato avanti il blog perché la vita me l’ha impedito. Ho avuto da fare, molto da fare. Forse alcuni di voi non lo sapranno ma ho comprato casa. Il successo di Sdangher mi ha permesso di accendere un mutuo e poi scappare. Sono stato arrestato per piromania finanziaria e siccome io non ho il pedigree criminale di certi geni della finanza creativa, sono stato riportato a forza nella stalla bancaria e obbligato a a buttar legna sonante sul fuoco del mio mutuo, che per bruciare ne avrà almeno per altri trent’anni, ovvero molto oltre la mia dipartita da queste vesti cavalleresche.
Oltre alla casa vi confermo che la mia relazione va, come disse il vecchio marinaio della ballata, “a gonfie vele” (lo cantava pure Vasco, ma sappiamo come finì). La mia compagna si chiama Shara, io la amo e convivo con questa enorme passione per lei senza impazzire, senza gatti e soprattutto con quattro figlie in casa da alimentare e comprendere. Due mie e due sue.
Per questo, l’appartamento che ho comprato è grande abbastanza da ospitare tutti quanti, non pestarci le rispettive calze abbandonate sul pavimento e, nel caso di un’emergenza intestinale, ci sono due bagni e due balconi all’occorrenza.
Sono possidente, per la prima volta nella mia vita, di qualcosa. Ergo, fregato definitivamente dal Sistema. Figli e mutui sono le catene della moderna schiavitù capitalistica. Lo sapevo ma non è stato sufficiente. Madre Natura è dalla parte del Capitale. Insieme, da alleati, vinceranno sempre. Sempre.
Passando di palo in frasca, come diceva mio nonno quando si decideva a far visita al suo podere molto trascurato, sto riflettendo sul problema della critica musicale di oggi, nello specifico quella metallara. Io seguo il genere dal 1991, ho cercato di smettere un paio di volte ma mi è stato impossibile. Negli ultimi anni soffro, un po’ come tutti gli “antenni”. Non riesco a entusiasmarmi per le cosiddette novità e non mi abbandono all’ammirazione sperticata per i nomi nuovi che Decibel Magazine sbatte in copertina. Decibel è una delle ultime riviste cartacee specializzate ancora in vita, eh?
Per dire un paio di nomi che vanno per la maggiore, gli Hulder e i Midnight. Ricevono voti altissimi e recensioni piene di superlativi, ma quando li ascolto io, non provo altro che noia. Dovrei liquidarli come dei bluff, ma non sarei un buon critico se lo facessi. Così come non lo sarei se mi accodassi ai proclami dei più, solo per non apparire desueto, stolto e definitivamente sordo davanti alle meravigliose canzoni mute dell’imperatore.
C’è senza dubbio qualcosa di interessante e che va esplorato intorno ai due nomi qui sopra. Intanto bisogna capire se la critica c’è o ci fa e poi se effettivamente il metal possa essere divenuto una volta per tutte “arte concettuale”, vale a dire, l’operato di artisti singoli (Hulder e Midnight sono creazioni complete di due individui che si avvalgono di turnisti per i concerti ma che scrivono e incidono quasi tutto da soli) che utilizzano il metallo come oggetti di scena, aggiungendo concetto a concetti per creare significati altri. Un po’ come i barattoli Campbell di Warhol. Magari il nuovo artista metal concettuale sta agli Anvil e i Venom, come Andy era bravo a cucinarsi da solo una zuppa e confezionarla in una lattina.
Insomma, forse la suggestione la si prova allargando lo sguardo. Magari assistendo ai concerti di Midnight, dove si dice che il “divertimento” (l’amusement) è assicurato.
Questo che scrivo forse è un mio errore di valutazione superficiale. Probabilmente, dopo aver studiato a fondo i fenomeni in questione, magari avrò le idee più chiare, però intanto la sparo lì. Chiaramente Midnight e Hulder non si adattano ai principi estetici che si usano solitamente davanti a un artista e ciò che ha realizzato. E ancor più chiaramente, non basta essere metallaro dal 1991 per godersi dopo un semplice ascolto (o magari dopo due o cinque) i dischi di costoro. C’è bisogno di documentarsi, di capire il moderno, come si faceva per Kandinsky o per Ligeti.
Leggendo le recensioni degli ultimi lavori di Midnight, che è appena uscito con un nuovo album di soli ventisei minuti (ma non si tratta di un EP) ho notato qualcosa che vorrei condividere qui.
Angry Metal Guy, felicissimo del disco, a un certo punto scrive: Questo nuovo disco è sporco quanto qualsiasi altro disco pubblicato dalla band, e la sua lunghezza compatta lo rende l’album perfetto da ripetere quando i tuoi suoceri se ne vanno.
Metal Injection conclude, altrettanto euforico: Il punto è che l’acciaio avanza e non puoi fermarlo.
Metalitalia invece aggiunge: “Insomma, cosa aspettarci da Midnight ormai lo sappiamo bene, e sentire Athenar così incazzato è una gioia per i nostri padiglioni auricolari, nonché per i nostri livelli di ignoranz… pardon, di adrenalina. E ancora: “sapere che ha scritto l’intero album in un fine settimana, non ci stupisce.
Ecco, io penso che il problema sia in queste uscite piacione e compiaciute di cui sono piene le recensioni positivesche intorno a Midnight e molti altri nuovi eroi del genere, che dopo l’uscita del disco svaniscono nel nulla, a meno che non si passi ogni giorno da Blubbermouth e che di fatto non incidono sull’intero genere e sulla cultura occidentale. Sembrano più tante mosche stagionali che degli specialisti insettofili individuano, catturano e classificano in base alle dimensioni delle zampette o delle ali, prima di lasciarle uscire dalla finestra e concludere che “le mosche non le fermi” e che “sono l’ideale da liberare in sala da pranzo, quando c’è vostra suocera”. Insomma, commenti decisamente scientifici sulla qualità e la peculiare utilità delle mosche in questo creato.
Dire che un disco è (metti aggettivo) quanto qualsiasi altro disco di questo gruppo (che poi gruppo non è) significa una cosa positiva oltre che inesatta? Perché chiamare ancora gruppo qualcosa che è un solo essere umano? E perché chiamare disco qualcosa che è un cumulo di dati su un PC?
E tirare in ballo i suoceri è un elemento estetico di rilievo o solo un altro modo per ridurre il tutto a una barzelletta?
Perché il metal, inteso come forma artistica e non come scaccolamento anale fatto con la chitarra davanti a un otto piste virtuale su un computer, è roba seria, quanto tutta l’arte in genere, cazzo.
Quando Metal Injection chiude con “l’acciaio avanza e non puoi fermarlo”, cosa dovrebbe significare davvero? Avanza dove, come? E perché dovrebbero cercare di fermarlo?
Metalitalia nostrano si accoda ribadendo, come Angry Metal Guy che sappiamo cosa aspettarci dai Midnight e che sapere quanto tempo ha impiegato per realizzare l’album (un minuto e una scoreggia) non ci sorprende. Dire così è una cosa positiva in riferimento alla qualità di un disco o negativa?
Quando a un figlio controlli i compiti e dopo ti dici che “non ti sorprendi li abbia fatti in soli cinque minuti” come ti ha confessato tutto compiaciuto, vuol dire che è stato bravo o che ha scarabocchiato una paginetta ed è volato a farsi i giochi suoi e quindi dovrà impegnarsi un po’ di più se vorrà andare bene a scuola?
Chiaramente, per un discorso estetico adulto, queste esclamazioni non dovrebbero essere equivalenti a qualcosa di buono. “Un disco come gli altri, non ci stupiamo perché fa sempre la stessa roba, ci ha messo due giorni…” cosa vuol dire?
E invece è tutto buono, anzi, è magnifico. “Perché l’acciaio non lo puoi fermare. Yeah!”
Io penso che dovremmo cominciare a smetterla di trattare il metal come un bambino viziato e cominciare a prenderlo un po’ a calciotti nel culo, quando ci propina una paginetta delle solite cose con l’aria di aver capito che tanto siamo delle puttanelle accontentabili con due rutti e quattro scudisciate sul sedere. Che ne pensate?
Comunque, visto che vorrei cominciare io stesso a trattare il metal come un ente che non ha cinque anni, ma ne ha quasi cinquanta ed è ora che ci metta un po’ più di impegno, farò ricerche e scriverò un saggio critico approfondito sia su Hulder che Midnight, magari ricredendomi, chissà. Usciranno sul prossimo cartaceo di Sdangher, non preoccupatevi. Dovrete pagare per leggerli, non li subirete qui. Sarete voi i masochisti, non tanto io il sadico idealista.