Saluti dalla Sky Valley…

Cari ronzini e affini, vi scrivo dalla mia nuova casa. Ho un mutuo di centomila curcume che mi preme all’altezza della carotide, sono sudato per via delle pulizie mattutine, alle 18 passate, e sto ascoltando, mentre vi mando questa mia dall’Inter-B-Zona, Welcome To The Sky 
Valley dei Kyuss. Disco del 1994. Probabilmente alcuni di voi non erano neanche nati nel 1994. Poco male. Al tempo per me i Kyuss erano una roba non molto interessante che passava di tanto in tanto su Videomusic. Oggi ho cambiato idea, sono stati grandi.

Facile dirlo ora, ma è così. Nel 1994-1996 usciva della roba incredibile e stavamo tutti, noi metallaretti orfani di Bruce Dickinson via dai Maiden e dei Metallica rinnegati, a lamentarci del declino inesorabile del genere. Intanto uscivano i Cradle Of Filth e Marilyn Manson, guardati (mica ascoltati) con sospetto, in quanto troppo popolari tra le nostre sorelle. E intanto uscivano i Nevermore, così giganteschi che noi formiche neanche li notavamo. E poi, intanto uscivano i Kyuss, My Dying Bride, Anathema, le L7, i Manic Eden… sì, lo so che non sapete chi cacchio siano i Manic Eden. Ma non è di loro che voglio parlarvi ora.

Non ve lo nego, sto pensando di chiudere la stalla. I cavalli sono ormai fuggiti e probabilmente non torneranno indietro. Sono rimasto solo io, Padrecavallo. Ruggiero è da qualche parte a piangere per il suo povero cane. Mi ha inviato un messaggio di dodici minuti su Whatsapp ma non ho il coraggio di ascoltarlo.

Io e altri ragazzi che hanno già bazzicato Sdangher in passato, abbiamo dato l’avvio a una serie di nuove attività (tutte ruote del criceto, sia chiaro) e ancora altre sono in cantiere. Siamo iper-attivi e iper-cattivi, ci lagniamo che il pubblico mostri poca reattività e non ci tenga dietro, ma in fondo è colpa nostra. Stiamo sbagliando tutto, come sempre. Sbagliamo alla grande, in modo eroico, poiché lo sappiamo, e non ce ne frega niente.

Ma dicevo del blog. Non so, sto pensando di fermarmi qui. Mi sono preso un anno sabbathico, per pensarci e decidere. A gennaio del 2025 saranno tipo 14 anni che vi scrivo da questo pagliericcio pieno di pulci e vane speranze. E a gennaio Carmine, il maniscalco, mi domanderà se ho ancora intenzione di rinnovare di un altro anno i suoi servigi o andare alla deriva. Io dirò forse sì e forse no.

Intanto ci penso.

E penso che in fondo voi ci siete ancora, non è così? Qualcuno mi sta leggendo, in questo momento. E io sono ancora qui. Scrivo, scrivo e scrivo.

Vorrei tornare a farlo con tutta la sincerità dannosa e masochistica che mi rende Padrecavallo del cazzo. Ma fatica.

Vi dico che non lo so. Sto realizzando delle fanzine e trovo sia una cosa molto poetica e forse un po’ hipster. Sto progettando un podcast, come tutti ormai. Partecipo a delle live su youtube e quasi quasi mi diverto. Però il blog…

Il blog mi manca. La scrittura è ciò che davvero mi occorre per andare avanti in questo mio percorso di crescita interiore e l’istantanea di certi articoli che metto qui, non la vivo in nessun posto. Questo è il posto in cui posso davvero sfogare la mia natura punkabbestiale.

Vorrei dirvi che ho sperato nel successo. E in fondo ci ho sperato. Ma nel tempo ho capito due cose fondamentali.

La prima è che non lo raggiungerò mai.

La seconda è che non lo voglio raggiungere. Almeno, non da vivo.

Chissà perché non lo voglio da vivo?

Il successo è fico, è tanta roba, come direbbe il Mannocci.

Ma non so, in fondo sento che non mi interessa finché respiro. O meglio lo vorrei secondo le mie regole e chiaramente non ce la posso fare. Allora perché scrivo?

Perché realizzo tutta questa mole di articoli, saggi, mini-saggi, ciccioli letterari, invettive, smart-pamphlet, manifesti programmatici…

Lo faccio perché mi piace. E mi serve.

A cosa?

A star meglio. A capirci qualcosa. A resettare e ricominciare.

Di conseguenza sono qui. Scrivo, ho scritto e scriverò.

Scrivere aiuta a capire. Quando lo faccio arrivo a delle conclusioni che non sarei in grado di raggiungere con il solo pensiero, mi capite?

Le parole si snocciolano una dietro l’altra e mi conducono in certi posti. Formano dalle mie dita che battono, opinioni di gran lunga più intelligenti di quelle che riesco ad avare con la semplice riflessione peripatetica o con la meditazione su il cazzo che c’è.

Scrivere è una gran cosa. Uno strumento che lascia una traccia. Ora state seguendo l’ennesima lumaca del mio pensiero. Sempre che siate ancora qui.

Ci siete?

Se accidentalmente questa traccia conduce a qualcosa che interessa pure voi, che vi aiuta, come sta aiutando me, beh, meglio così. Ma il senso di tutto questo non siete voi e il vostro piacere. Non pagate, mi leggete e sono contento di questo, ma non potete pretendere di essere intrattenuti. E io non posso chiedervi di godere delle mie cose. Magari vi annoiano, vi annientano. E allora cosa fate qui?

Certo che ho bisogno di voi. Scrivere può essere fatto rivolgendosi in due direzioni: internamente, noi stessi, tipo caro diario. Non è male, l’ho fatto per anni, ma al momento non mi alletta quel tipo di introspezione mediata verso me stesso. Esternamente, sapendo che c’è qualcuno che leggerà, assisterà, quella sì. Io mi diverto molto di più così. E indirizzandomi verso là fuori, io ho l’impressione di raggiungere me stesso molto più di quanto ci riesca con il fottuto caro diario.

Lo faccio per migliorarmi.

Cosa significa migliorarsi? Dire sempre meno cazzate, liberarsi dalle pose, le ambizioni, le cagate… in uno slogan di tre parole: dire la verità. Cosa è la verità?

Ma siete dei cazzo di filosofi?

La verità è quello a cui state pensando. Esatto. Quella è la verità. Basta aggiungere chiacchiere su cosa sia la verità.

La verità è la verità. Non la potete vedere, non la volete sentire, ma la capite quando ci arrivate.

Per raggiungere la verità bisogna viaggiare tutta la vita. Non si tratta tanto di conoscere come stanno le cose ma levigarle, accarezzare la realtà, scolpirla, finché non diventa vera.

Quando scrivo io vado più a fondo di voi. Andare a fondo non nel senso del Titanic, ovviamente. A fondo nello sprofondo, oltre lo sfondo e ritorno.

Dove vado a fondo io, voi non avete tutti la bombola abbastanza ossigenata per arrivarci. Ci penso io, tranquilli. Torno a galla e vi racconto cosa ho visto. E se non ho visto niente, vi dico cosa non c’è là sotto. O là sopra.

Cosa c’entra il metal con tutte queste cose che sto dicendo?

Ma come cosa c’entra? Ve lo devo spiegare? Proprio a voi metallari?

Il metallo è l’inizio di tutto per me. Quando ero ragazzino e ho scoperto gli Iron Maiden, ho capito che potevo davvero rimanere in questo mondo. Per la prima cosa c’era un messaggio per me. Io quella cosa la capivo sul serio. Era per me.  Ho iniziato a decifrare l’arte, la storia, la poesia, partendo da lì. Mi si schiudeva l’intero creato, che prima di ascoltare quella cacchio di musica cavallosa, era un informe guazzume di noia, sogni a occhi aperti e dolore fitto.

E dal metal io riparto sempre. Ogni volta la strada è nuova. E ogni volta la strada mi riporta al metal.

Vostro Padrecavallo.