The Strange Thing About Ari Aster

Ari Aster è uno dei più talentuosi registi/autori horror degli ultimi anni. Ha diretto Hereditary e Midsommar, per citare i suoi lavori più popolari. Non sapevo però che prima di realizzare questi due titoli e affermarsi in fretta nel circuito dei film “de paura”, e prima di complicarsi la carriera con uno strano esperimento come Beau is afraid, Ari aveva diretto sei cortometraggi. Il più impressionante, quello che dopo essere diventato virale sul tubo gli valse un agente e successivamente le belle cose che ha realizzato, è il suo primo. Si intitola The Strange Thing About The Johnsons.

Non credo che avrei desiderato vederlo, se la mia compagna non avesse insistito. Dopotutto dura poco ed è di un regista molto in gamba e che stimo, mi sono detto. E così l’abbiamo cercato su You Tube, selezionato la funzione sottotitoli e ce lo siamo guardato. Ragazzi, è una delle cose più impressionanti che abbia mai visto! E vi posso garantire che conosco il cinema estremo in profondità, bazzico l’horror da quando avevo sette anni, quindi fidatevi, vi garantisco che The Strange Thing About The Johnsons è davvero un lavoro inquietante e che non dimenticherete.

Direi che è diverso dalle rappresentazioni orrorifiche che Ari Aster ha inscenato nei suoi lungometraggi, perché è disturbante in modo quasi doloroso. Inoltre tratta un tema così estremo, che la famiglia incasinata col demonio di Hereditary e la trasferta folk di un’americana nel paganesimo feroce di un’insospettabile comunità svedese (o danese, non ricordo) di Midsommar, sembrano due storielle della buona notte, al confronto.

Intanto fate caso al cognome della famiglia citata nel titolo. Johnsons è tipicamente afro-americano e di fatti il dramma si consuma all’interno di un nucleo “colored”. Molte delle polemiche intorno al corto sono dovute proprio a questo elemento razziale. Se un regista bianco rappresenta dei neri, e in modo così deviato, le accuse di diffamazione culturale si sprecano.

Ma Aster non ha optato per dei neri per qualche ragione discriminatoria. Potevano essere bianchi, rossi, gialli o blu, nella sceneggiatura da lui scritta, quello somatico non è un elemento importante. Direi che una buona volta, il suo criterio e casuale, come il tipo di approccio da casting che usa Netflix: che sia un imperatore romano o un ladro egiziano, basta che mettiate anche un nero tra i protagonisti del film.

I Johnson potevano essere i McDowell o i Manfredi. Il cast tutto nero è stato scritturato intorno al protagonista, Brandon Greenberg, che era nero e avrebbe interpretato il ruolo del figlio. Volendo, Aster avrebbe potuto fare la mamma di colore e il padre bianco; sarebbe venuta una roba ancora più incasinata, però avrebbe suggerito metafore politiche inopportune e faticose da gestire. Un carico esagerato oltre il peso che il corto, con una storia così estrema e in una famiglia di colore, poteva già produrre.

Quindi sono tre attori neri: il padre Billy Mayo (Sidney), scrittore di successo, la madre Angela Bullock (Joan) e il figlio, interpretato appunto da Greeberg e che ha il nome biblico di Isaiah.

Qual è il problema sulla stranezza dei Johnson?

L’incesto.

E fin qui potete già pensare che sia abbastanza per disturbare, ma l’incesto è solo il punto di partenza.

Ari Aster, ragionando con i suoi compagni di corso alla scuola di specializzazione dell’American Film Institute in cui studiava per la laurea, ha pensato bene di creare un caso talmente oltre le consuete e terribili storie di incesto, da far tremare le colonne dell’Istituto: anziché il padre che violenta il figlio o la madre che violenta il figlio o il figlio che violenta la mamma… cosa c’è di peggio? Che è il figlio a violentare il papà.

Chiaramente, di tutte le ipotesi incestuose, questa non è la più rara ma probabilmente è quella irreale. Può anche darsi che in qualche sperduto anfratto dei monti appalachiani, ci sia stato qualcosa di simile, ma la sfida del corto è di mettere in scena una vicenda di perversione incestuosa all’interno di una famiglia media surreale, inesistente, e di renderla credibile e insopportabilmente vera. E vi assicuro, Ari Aster ci riesce. Io mi sono visto il film senza domandarmi mai se sia possibile o no quello che vedevo. Me la sono bevuta. Subito dopo ho passato venti minuti senza parlare, senza condividere una qualche impressione con la mia compagna e così lei. Non sapevano cosa pensare. Ci aveva levato il fiato.

Il giorno dopo ci siamo confrontati e dopo aver discusso sul valore e l’intensità del film, non abbiamo comunque, per un momento, sostenuto che non fosse una storia plausibile. Anche se non lo è. E Ari Aster ci garantisce che l’ha pensata proprio con l’idea che non sia reale. Direi quindi che la sfida che si era posto, oltre a laurearsi in una scuola votata al cinema disneyano con la tesi più anti-sistema possibile, sia stata vinta? Vedere per credere, gente. La strana cosa riguardo i Johnson sembra una storia accaduta.