I Comecon meritavano più considerazione?

I Comecon sono stati sottovalutati, secondo me. In effetti ci sono da sempre un sacco pregiudizi su di loro. Per cominciare erano un progetto avviato da due tizi, Rasmus Ekman e Pelle Ström, provenienti dai Krixhjälters, dagli Omnitron e dalla scena crossover e thrash svedese. Erano più vecchi dei pionieri che avevano trasformato una combriccola di metallari in fissa con i Kiss e i cimiteri, in una delle più rivoluzionarie scene estreme degli anni 90. Persino Daniel Ekeroth, autore della bibbia sullo Swedish Death Metal, li accusa senza troppi giri di parole, di aver tentato un inserimento opportunistico sul treno del death metal, (cit: “penso che volessero fare i soldi con il movimento death metal”) nel momento in cui il genere iniziava a funzionare in termini economici. Inoltre, nonostante le fitte smentite da parte dei due membri principali nel corso degli anni, i forti sospetti che la batteria fosse programmata al computer e quindi finta, nacquero sin dal disco d’esordio,  Megatrends in Brutality. E certo questa cosa era ed è ancora intollerabile per gli integralisti. “Se le foto del ragazzo che posa con loro è davvero il batterista della band” ha scritto Ekeroth, “e non si tratta quindi di una drum machine come sospetto, allora quello è il batterista più noioso e banale del mondo”.

I Comecon furono prodotti, per tutte e tre le uscite discografiche ufficiali da Tomas Skosberg, che in quel periodo era il signore dei Sunlight Studios e l’artefice del tipico sound death svedese di Stoccolma. Alle spalle avevano la Century Media, che mentre pubblicava gli album di questo progetto un po’ bizzarro e molto snobbato dal pubblico di intenditori, si faceva il nome con i Grave e gli Unleashed e poi dei bei soldi con i Tiamat.

Inoltre c’era la girandola dei vocalist che caratterizzava il gruppo. Al tempo, sembrava che nei Comecon finissero tutti quei growler licenziati dalle rispettive band principali. Sul loro primo ci canto L. Goran Petrov, scacciato dagli Entombed per una storia di ragazze poco prima che incidessero Clandestine. Sul secondo album, Converging Conspiracies, il microfono passò a Martin Van Drunen, fuggito dai Pestilence e la prepotenza egemonica di Mameli. 

In Italia, il Fuzz scrisse bene di questo album cercando di invogliare il pubblico all’acquisto con una serie di metaforiche suggestioni (vocalizzi come acido sulla pelle nuda; tessuti sonori cibernetici e industriali) ma con tre pallini e mezzo di voto, dubito che i lettori si siano soffermati a leggere la recensione. Fuzz chiudeva riconoscendo i meriti della prestazione di Van Drunen e lamentandone la già ufficiale uscita per un progetto solista. Non sapeva che per Elkman e Ström i cantanti dovevano solo cantare, uno diverso per ogni disco, come ospiti, coloriti strumenti di un concetto gestito sempre e comunque da loro due. Una roba tipo i Delta V qualche anno più tardi, in Italia.

Il lavoro finale, quello del 1995, Fable Frolic, infatti è incartato attorno alla voce più ruvida e accessibile di Marc Grewe dei Morgoth, il quale non era capitombolato nei Comecon dopo aver rotto con la propria band, ma si sarebbe separato da quella un anno dopo aver contribuito pure lui alla causa del progetto svedese.

Ora, io credo che sia vero; Megatrends In Brutality, in un momento di grande creatività della scena death svedese e nonostante la presenza di Petrov, resta un lavoro abbastanza goffo e trascurabile, ma non per la batteria elettronica. Mancano proprio le idee. Tuttavia, Converging Conspiracies, mi ha folgorato. Si tratta di un disco che merita di essere rivalutato e riscoperto

Il sound è massiccio e accattivante come quello di Clandestine, la prestazione di Van Drunen è catarroidale e brutallara in maniera impeccabile e le canzoni sono decisamente interessanti. L’alternarsi di parti acustiche ed elettriche, l’uso di uno scacciapensieri qui e là, la spudorata ritmica schematica e robotica che tanto piacque al Fuzzone, lo rendono nel tempo un lavoro audace e con un suo ragionevole perché. Oggi sono decine i gruppi death che usano la batteria programmata al PC e come nei primi anni 90, quando i Comecon lo facevano già, non lo dicono solo perché non sta bene. Nel caso loro io invece penso che fossero dei gran burloni e provocassero il pubblico con le foto di amici e le smentite categoriche, nonostante l’evidenza.

Forse, come dice Ekeroth, la voglia di sperimentare condusse il progetto Comecon un po’ fuori mano, fino a perdersi del tutto. Fable Frolic non sembra la chiusa soddisfatta e clamorosa di una trilogia esplorativa, ma piuttosto l’inevitabile conclusione di un discorso che a livello commerciale non era mai decollato. Altro che fare i soldi con il death metal.

Eppure a distanza di anni farebbe bene agli appassionati di quel sound tornato così in voga, riesplorare il breve cammino dei Comecon, perché mostra come al tempo delle vacche grasse, si poteva salire in groppa di un bel manzo buzzone, ma poi bisognava menarlo da qualche parte, trovare una strada verso i verdi pascoli, per quanto intervallati di lapidi muschiose.

A distanza di trenta compleanni da allora, Converging Consliracies regge bene. The Whole World, Aerie o The House That Man Built sono ancora ottimi esempi di come gestire la voce di Stoccolma per dire qualcosa diverso.