Babylon Sad – Le morti in culla dei supergruppi di una volta

Ecco una chicca. Sulla carta mi incuriosivano parecchio. Svizzeri, sestetto di gente già attiva con Messiah, Krokus, Mekong Delta e persino Sickening Death, uscirono nel 1992 per la Massacre Records con questo dischetto di mezz’ora circa, Kyrie, tra death americano e (parola magica) Avantguard.

In effetti, i sei brani principali, framezzati di sipariotti sinfonici con violino e tastiere, timpani e cori mefitici in stile Cathedral (Serpent Eve) sono un mistone scorrevole e poderoso tra Morbid Angel, Celtic Frost e le cose groove metal prodotte da Terry Date in quel periodo.

C’è sicuramente qualcosa che oggi non si trova più tanto facilmente, un’atmosfera minacciosa, malsana e sordida, una grandeur di tenebra e da notte di tregenda. Il suono ha uno spessore immaginifico, qualsiasi diavolo di cosa voglia dire. Mi fa immaginare panoramiche vertiginose sui laboratori splatter del dottor Herbert West e gli scenari carnali e perversi di Clive Barker. Le chitarre di Christian Muzik e Dan M. Raess (non so chi dei due faccia gli assoli, magari entrambi) sgozzano dal tessuto “brutallaido” fiotti nerastri di scale jazz, barbagli di luce flamenco o isteriche elegie neoclassiche.

Per la verità c’è un buon dinamismo in ogni brano. Basti pensare a Gothic Spring, che comincia violenta e oscura ma si sgomitola presto ruzzolando arpeggi e sprangate di accordi sinfonici giù per le scale neo-melodiche da tumore al cervello di Tom Warrior. Il brano arranca in un finale sinistro pieno di lirismo deviato, fino a smollicarsi in allucinanti preghiere laringofaringee su tappetini di tastiere dal sapor-mediorientale. Non troverete il “classico” assalto death metal come si faceva una volta. Il supercazzolo elettronico qui è importante quanto le chitarre e la musica è importante quanto le formiche che siete, mentre i piedoni di un gigante con la bava vi spazza via ululando proteste per il solletico che gli fate esistendo sotto le sue fettone callose.

Persino il violinista, che si chiama Priska Gut, ha un suo ruolo ben preciso e insistente. Non si tratta semplicemente di un turnista che fa capolino di tanto in tanto. Probabilmente nel 1992 un lavoro del genere sorprese qualcuno e suscitò profondo piacere in chi domandava già al metallo estremo qualcosa di più della solita brutalità.

Kyrie poteva essere un inizio promettente e forse per un po’ lo fu. Di certo però già un anno dopo che questi signori si misero insieme per jammare le loro preghiere a Nyarlathotep (ehi, ho controllato, l’ho scritto giusto al primo colpo) tutto si era già concluso. Il disco uscì, prese buone recensioni anche in Italia, ma il gruppo non esisteva più. Peccato?

Non so. Kyrie è un buon ricordo di ciò che fu e avrebbe potuto essere. Disco simpatico, sopra la media del tempo. Se si nutre una vera ossessione per il genere e se ne pratica una compulsiva storicizzazione magari potete cercare di recuperarlo su discogs. Se vi ho incuriosito e vi domandate come cacchio suoni, andate sul tubo. Non lo troverete su Spotify. Vi garantisco che Unknown Tribe o Wandering Spirits sono due pezzoni che valgono il prezzo del biglietto.