W.A.S.P. Kill Fuck Die – Anche i senzalegge piangono

Per comprendere appieno un disco come Kill, Fuck, Die degli WASP bisogna innanzitutto aver provato quello che ha vissuto Blackie Lawless. Un’esperienza orribile che lo ha portato quasi al suicidio: essere mollato dalla fidanzata/moglie/morosa!!!
Bella storia, direte voi, e a chi non è mai capitato??
Vero, ma voi non eravate alla testa di una delle band più oltraggiose della storia e pronta a tornare all’assalto totale come agli inizi!

Kill, Fuck, Die esce nel 1997 e prima ancora di poterne sentire una nota già se ne parla perché vede il rientro in formazione del sodale storico di Blackie ovvero quel Chris Holmes che fino a The Headless Children sembrava il partner perfetto alla solista. Blackie dal canto suo, in totale solitudine, aveva sfornato quell ‘intenso capolavoro che porta il titolo di The Crimson Idol, un disco che (nel bene ma anche nel male) farà da spartiacque tra i vecchi e “nuovi” WASP.

Il successo di quel disco (soprattutto di critica) lascerà il nostro protagonista piuttosto sfiancato, il percorso creativo e realizzativo fu parecchio complesso e in più si trattava di una sorta di “autobiografia”, uno scavare in profondità riesumando anche sensazioni e ricordi non piacevoli. Gli seguirà uno pseudo solista Still Not Black Enough (ma sempre a marchio WASP) dallo scarso successo.

Intanto il mondo della musica si muove parecchio, lasciando da parte i vecchi dinosauri e continuando a sfornare nuovi e anche interessanti trend. C’è stato il grunge e l’alternative, il Groove Metal dei Pantera e anche la diffusione di quello che veniva definito “industrial”, che poteva essere metal o meno.
Proprio in questo sotto-filone, Blackie trova linfa per dare al nuovo album della sua band l’impronta che ne definisca il messaggio e il concept.

Come dicevamo nell’introduzione i tempi sono grami per Blackie. Esce distrutto da una relazione tossica e decide di convogliare tutta la sua rabbia e frustrazione nel nuovo materiale. Questi sentimenti così “neri” e forti dovevano trovare un vestito su misura, non bastavano i riff spigolosi e i testi al limite della denuncia, la band doveva osare anche nel suono per creare una sorta di Maelstrom (che probabilmente era proprio quello che stava vivendo il ns Amato Singer, inside).

Esce dunque per la Castle “KFD” probabilmente uno dei dischi meno venduti del gruppo americano, penalizzato (nonostante il clamore della Reunion con Holmes) da una scena poco ricettiva e da una distribuzione e promozione del lavoro veramente assente.

Il disco prende il tipico stilema chitarristico della band e lo infarcisce (qualcuno disse “seppellisce”?) di sample, suoni asettici e zanzarosi e percussioni a go go, arrivando spesso a creare, più che una traccia da ascoltare, un magma sonoro. Moltissima atmosfera e poca ironia o voglia di scherzare. Blackie ci è proprio rimasto male e vuole urlarlo al mondo.

Ma quindi sto disco è da buttare via nel cestino di un’autogrill, qualunque?! Assolutamente no. Perché a salvare la situazione ci sono tre elementi chiave. 1) Dei testi veramente “pesanti” con insulti e minacce di morte (storica la frase “sono nel mio letto fantasticando sulla tua morte” pronunciata nella morigerata U); 2) una totale sensazione di disagio (che è esattamente quello che Blackie voleva trasmettere) e; 3) soprattutto lo strumento che veramente fa la differenza, lo strumento più distorto e potente di tutto l’album: la voce del ns Nerino Senzalegge!!

Blackie in questo disco strilla e gracida come non mai, sbraita, inveisce, dichiara guerra a quella maledetta che lo ha portato sul baratro, la song Kill Your Pretty Face è emblematica in tal senso. La già citata “U” riprende un canovaccio usato spesso nell’album con partenze rallentate ed esplosioni di suono e “concetti”.

Little Death (forse la più “industrial” del lotto) in certi punti è quasi incomprensibile nella sua struttura, viste le tonnellate di “tutto” (urla, chitarre, rullate, samples) di cui è infarcita. Pure gli episodi più ritmati ruotano comunque attorno al medesimo tema “morte e sofferenza” che permea il disco intero (Killahead).

In questo senso KFD è un lavoro perfetto perché se ci mettiamo ad ascoltarlo nell’ ottica di chi lo ha composto, esprime esattamente tutto quello che doveva esprimere, senza sconti per nessuno. E l’accusa di voler seguire un trend a mio parere è relativa, come nel caso di Belly To Belly degli Warrant; probabilmente questo stile era l’unico per far passare il messaggio che Blackie aveva in testa.

Il futuro ci dirà che: a) il flop era a due passi, anche se live la band tornerà a macinare alla grande e da spettatore della data del tour al Rockplanet posso confermarlo assolutamente, b) che Chris Holmes odia il disco perché in pratica non ha potuto metterci becco, registrando gli assoli e restandosene a guardare e c)che pure Blackie, alla domanda di un fan a un meet & Greet su cosa ne pensasse di KFD, ammette di non sapere bene come abbia potuto registrare un disco del genere, dai contenuti così violenti.
Sì perché KFD non era sangue, lame e teschi dei primi dischi, KFD era e rimane un viaggio totale nella parte più oscura della mente umana: zero ironia, zero svacco, solo odio totale.
(Demian)