For Love Not Lisa – Tutta colpa della casa discografica

Che genere facevano i For Love Not Lisa? Beh, all’inizio degli anni 90, tutto ciò che mescolava metal, punk, funk, shoegaze e pop, finiva nel cestone dell’Alternative rock. Oggi, su Wikipedia, se cercate la scheda su di loro, c’è scritto hard rock. In effetti, ormai possiamo dircelo che quella tendenza a fondere Led Zeppelin, Black Sabbath, Fugazi, Pink Floyd e Ramones, nasceva da un bisogno di una nuova generazione, quella emersa sul finire degli anni 80, di rimescolare le carte e restituire al genere quell’imprevedibilità randomica che le rigide classificazioni commerciali avevano bloccato da almeno sei anni, in una produzione copiosa e costosa, ma di album che, più ci si avvicinava al 1990, e più si somigliavano tutti.

I produttori erano sempre gli stessi, così come gli autori di mestiere, gli artigiani di hits; i suoni di un certo tipo, il bisogno di vendere, avevano strozzato la creatività dei gruppi anni 80; al punto che band come RATT, Motley Crue, L.A. Guns o Metallica, appena fu possibile, si liberarono di tutta la veste sonora consolidata e affrontarono impavidi lo scontento generale, cambiando connotati e festeggiandoli con un senso di rinascita che il pubblico, soprattutto quello metallaro, proprio faticò a comprendere.

Una creatura inclassificabile come i For Love Not Lisa per un po’ rese le cose molti difficili ai giornalisti. Che roba erano? Come si faceva a descriverli al pubblico? Pesanti sì, melodici anche, tristi, aggressivi, energici, sperimentali, progressivi… ma non erano né grunge, né crossover e tantomeno alternative. Erano solo rock. Hard rock. Erano l’hard rock dopo la pioggia di scintille che il metal aveva prodotto dominando le classifiche per dieci anni, erano ciò che  l’indie aveva insegnato a essere ai ragazzi, nel tentativo di sopravvivere secondo le proprie regole e non quelle delle major.

Un esercito di giovani talentuosi furono subito circoscritti a Seattle e ricoperti di denaro, ma non bastò a neutralizzare l’onda spermatica. Bisognava fare i conti con molte altre realtà ribelli e temerarie, pischelli capaci di scrivere una ballata in modo diverso, di cacciare fuori un ritornello coinvolgente eruttandolo da un magma di riff e di fraseggi tutt’altro che commerciali. Potevano vendere, ma se si erano inventati un modo particolare di azzeccare le canzoni, le labels non avevano voglia di essere altrettanto creativi nel proprio raggio di competenza: creare nuovi miti e fargli fare milioni.

Sapete, al tempo, creare una band iniziava sì con un gruppo di ragazzini in una cantina. Questi scrivevano canzoni, si inventavano un nome, un look e dopo incidevano un demo, scattavano foto e le inviavano all’etichetta. E l’etichetta, a volte gli mandava un contratto, certo. Ma non era questa entità disumana a decretare l’interesse verso questa o quella band. Ci voleva qualcuno, un folle, all’interno di un’etichetta, che vedesse qualcosa di entusiasmante, meraviglioso, che nessuno vedeva, in un pugno di ragazzini, in un demo scalcinato.

Vi potrei fare un sacco di esempi, ma i gruppi che hanno fatto la Storia incontrarono un tipo molto scemo e paraculo che li vide non come erano, ma come sarebbero diventati, li prese per mano e li condusse nel futuro, prendendosi un sacco di rischi, anche a costo di essere licenziato.

Tanti di questi “creatori” finirono per perdere il lavoro, bastava puntare su un paio di nomi “sbagliati” e si ritrovavano per strada o trasferiti a qualche altro reparto dell’etichetta, in punizione. Non avevano il fiuto necessario per intuire quale cavallo sarebbe stato il vincitore? Avanti un altro. Vincitore di cosa? Per lo più si trattava di vendere. Nell’industria funzionava così. O si vendeva o si moriva. Oggi le cose sono tecnicamente le stesse, ma in fondo quando guardiamo l’industria discografica del rock, stiamo guardando una stella nel cielo: brilla ancora ma è morta da un pezzo.

I For Love Not Lisa parevano giusti per il solo discorso che interessava a un’etichetta, la East West, con base alla Atlantic Records. Potevano vendere e parecchio. Nessuno l’avrebbe detto dei Pearl Jam o dei Nirvana, quindi bisognava dar fiducia anche a loro perché erano insoliti, erano forti ma non somigliavano certo ai Bon Jovi o agli Slayer. Erano una roba mai sentita e potevano aver ragione.

Non so bene chi, ma un responsabile li scelse; fece di tutto per lanciarli. Poi fu fatto fuori. Il primo album, Merge, oltre sessanta minuti di un rock nuovo, bello gonfio di gravità e di sogni infranti, ottenne recensioni positive, piazzò bene un paio di singoli, di cui uno, Slip Slide Melting, con il suo accorato ritornello “I Will Die For Youuu!” era perfetto per la storia di Erik Raven; finì così nella bellissima colonna sonora del film Il Corvo; un CD che resta un manifesto totale di ciò che era rock nei primi anni 90.

Nonostante il buon avvio, le vendite non furono appaganti per la East West, almeno penso, perché altrimenti non mi spiegherei le tribolazioni che il gruppo subì quando fu il momento di far uscire il secondo disco: Information Superdriveway.

Il disco era bello quanto il primo e abbastanza simile per stile e potenziali singoli. Il gruppo però fu messo da parte quasi subito. I For Love però ci credevano e si diedero da fare, arrivando a finanziarsi da soli un videoclip per il singolo Coming Into Focus. L’etichetta rifiutò di promuovere il brano.

Poco dopo, di male in peggio, la East West mollò la Atlantic e si unì alla Elektra, celeberrima per i cambi continui al suo interno. Il risultato fu che nel giro di qualche mese, con un album in commercio, non c’era più nessuno che sapesse cosa fare dei For Love Not Lisa.

L’etichetta aveva dichiarato fallimentare il loro nuovo album dopo una settimana dall’uscita e aveva smesso di spenderci dei soldi. Era finita. Il gruppo si arrese e andò in pezzi.

I For Love Not Lisa. Facevano roba interessante che oggi si mantiene vivace e coinvolgente. Dal primo album, More Than A Girl è il pezzo più grungettone che abbiano mai fatto ma io lo trovo irresistibile. Tra gli altri mi piace molto Travis Hoffman e il suo crescendo, per quanto Mike Lewis talvolta chieda un po’ troppo alla propria voce. Nei momenti in cui la stende parecchio, ho l’impressione che diventi scialba e anche un po’ sgradevole. Lucifer For Now è una ballata bellissima, fa pensare ai raggi di sole che entrano da una finestra sudicia e illuminano il cadavere di un barbone e il suo angelo custode seduto li accanto, con una bottiglia di J & B vuota tra le mani.

Pure Merge, la title-track che dura un sacco, è molto intensa e figa. Mi piacerebbe intervistare qualcuno del gruppo. Erano grandi autori. So che dopo alcuni di loro fondarono una christian rock band di buon successo di America, ma con i FLNL non c’è mai stata reunion e quindi la rete, motivata da logiche promozionali, non offre praticamente niente. Se non altro vorrei domandargli che cacchio significhi il nome e se non pensino magari di aver toppato proprio con quello. Va beh… Provateli!