Alessandro Gargivolo – Scomode dissertazioni sul Metal

G/Ab Volgar dei Deviate Damaen se la chiacchiera con un metallaro esordiente tuffatosi nella fornace del Diavolo e ritrovatosi in un’acquasantiera con l’amuchina.

Com’è ormai noto ai fegati di tanti e tante, amo usare questa “dark-room” che Sdangher ha messo a disposizione per i miei sollazzi intellettuali, a favore di esclusi, outsider, cani sciolti e inculatori seriali di soya-blackster che altrove sarebbero trattati dalla stampa blasonata con la supponenza dell’intellettuale zeccoide che cazzeggia su Trump mentre il negretto di turno aspetta di prendergli l’ordinazione del Poke di insetti.
Io li conosco bene, quelli là: sono trent’anni che me la spasso a riempirli di sputi, da musicista; ora m’è preso a farlo anche da un’angolazione più prossima al loro ruolo, dando voce a tutti quei musicisti banditi perché più avvezzi alla lecca che alla leccata.
E poiché le dissenterie dilaganti hanno solo alimentato la mia libidine, voglio proprio esagerare: lascerò che il giovane esordiente in questione si ponga da solo le domande a cui vorrebbe rispondere, vera lesa maestà per i detentori della deontologiaH giornalisticaH metallicaH.
Del resto, quali rilievi argomentativi possono essere più convincenti e genuini di quelli proposti dall’intervistato stesso!?
Quindi, forza, Alessandro, presentati ed esponi come meglio credi sogni, aspettative, disagi e sgomenti di un ventenne che, oggi, decide di fare Heavy Metal.

ALE: Salve Volgar, è folle ma anche molto curioso accettare il tuo invito per “Sdangher”, pertanto intendo presentarmi subito al meglio prima che qualche conformista o semplice giovin-vulnerabile incominci a scrollare velocemente l’articolo. Sono nato e cresciuto a Torino, da una famiglia che mi ha trasmesso valori solidi, una profonda consapevolezza e importanza per l’istruzione. Ho sempre ritenuto che lo studio sia un privilegio, soprattutto in questa epoca quando la formazione non è più un accesso garantito in tutto il mondo. Pertanto, con una preparazione di carattere matematico-scientifico evidenzio che ho sempre avuto una visione analitica della realtà. Mi definisco quasi razionale fino al midollo, ma questo non toglie che io abbia una dimensione emotiva e carismatica.

Sono estremamente convinto che il carattere personale sia una forma, dettata da una geometria dell’anima: chi nasce quadrato, come si suol dire, non può morire tondo, e chi cambia forma di continuo, è a mio parere la vera “pecorella della società”. Parallelamente agli studi, la musica è sempre stata la mia più grande passione.

La musica non è mai mancata in famiglia, soprattutto grazie a mia madre, che fin da piccolo faceva risuonare in cameretta i brani di Alice Cooper, dei Led Zeppelin e dei Metallica. Il mio percorso musicale è cominciato con studi classici all’età di 11 anni tramite maestro privato per poi proseguire da autodidatta con la chitarra elettrica.

Durante questi anni ho dedicato innumerevoli ore a sviluppare una tecnica personale, perfezionando e scoprendo band con sonorità che mi hanno influenzato particolarmente. Già ai tempi delle scuole medie rientravo a casa, facevo gli esercizi di matematica e poi mi mettevo a suonare, avevo già ad allora un bellissimo combo Marshall e la mia iconica Jackson Randy Rhoads… che tempi!

Suonavo ore e ascoltavo molte band, dalla NWOBHM all’heavy americano, thrash e death metal. Non ero assolutamente il tipo da discoteca o colui che cercava innumerevoli modi come la palestra con il rapporto carboidrati, o il patentino della moto per “acchiappare” di più. Ho sacrificato anni cercando di conoscere persone per condividere questa grande passione. Non sempre però è andata come speravo.

VOLGAR: …me’ cojoni! L’umiltà è la virtù dei deboli, quindi non posso che compiacermi dei tuoi toni. Va pure avanti.

ALE: Ahahahah! Beh, per essere ottimi leader bisogna avere molta pazienza. Vivo con equilibrio, resto sereno finché non viene invaso il mio spazio personale. Dedico molto tempo a me stesso anziché lasciarmi influenzare ma posso assicurare che se mi incontri casualmente sono un tipo tranquillo… magari introspettivo più che riservato.

Divenuto al 100% marshalliano, ho fondato a 16 anni il gruppo thrash metal Alchemist, nato dalla frustrazione di esperienze musicali insoddisfacenti con altri ragazzi e da un tradimento amoroso. Sin dall’inizio, il mio obbiettivo è stato chiaro: fare metal veloce, aggressivo, sia dissonante che melodico, senza compromessi, per come è stato concepito negli anni ‘80. Mai ho accettato insalate miste qua dentro, l’idea fu l’unica e tale è rimasta.

Non mi sono mai passate cazzate per la testa, come rendere il tuo gruppo un po’ più fraintendibile per guadagnare maggiore visibilità e due date in più. Fare metal e basta. Se sei veloce, melodico, hai anche i capelli lunghi, sai cosa c’è? Sei Metal. Non sono mai stato influenzato da tutti i derivati commerciali del genere come l’alternative, nu, metalcore e quant’altro.

Li ho ascoltati, ma ho capito che c’era ancora altro di meglio da scoprire per soddisfare a pieno la mia passione. Questo non scredita l’abilità e la professionalità dei musicisti che lavorano in quei settori. Però sai, dopo aver accumulato esperienze insoddisfacenti con ragazzi che cambiavano gusti e idee come le mutande ho capito quanto questo fosse destabilizzante per la mia visione.

Passare dall’ascoltare i Ghost (che ritengo comunque una grande band) perché di moda, ai Twenty One Pilots che non c’entrano niente, ai Tool (non sono un loro fan) a Caparezza (nemmeno di lui) o ai Bullet for My Valentine… ecco queste influenze non erano affatto sane per me. Però devo ammettere che alcuni di questi ragazzi/e che suonavano con me prima di Alchemist han fatto una brutta fine.

Se non a uno in particolare, 8 anni in più di me, gliel’avrei fatta fare io… ma anche queste esperienze hanno consolidato in me una passione e una visione chiara di cosa voglio esprimere e costruire, sia nella musica che nella vita. Questa è la mia alchimia di vita, consideratemi pure l’alchimista.

VOLGAR: Ola Kala. Entriamo nel vivo del discorso più “pubblico”: nonostante la giovane età, la tua consapevolezza storica di ciò che il Metal è stato ai suoi esordi ti consente di rilevarne le attuali “disfunzioni” che non sfuggono alla tua coscienza di artista libero. Forza, scatenati…

ALE: Scateniamoci. Sicuramente ritengo essenziale menzionare come nel mercato musicale sia facile riscontrare una mancanza di serietà nelle agenzie di booking e promozione, occorre domandarsi: quali difficoltà ci sono per le band emergenti, in particolare riguardo alla serietà delle agenzie di booking e di promozione? Come influisce la disponibilità limitata di etichette disposte a offrire contratti sensati per le nuove leve?

Mi ritrovo qui a fare un resoconto dell’ultimo anno, senza voler sembrare un ventenne presuntuoso. Con gli Alchemist c’è un album in ballo, nonostante il sacrificio cosi grande, non ci si può accontentare di fare sempre le stesse date negli stessi locali. Un momento, non li disprezzo assolutamente, anzi, sono molto contento di organizzare degli eventi per poi ritrovarmi con i miei amici, frequentatori e magari anche nuovi ascoltatori… ma l’ambizione deve essere comunque alta perché là fuori c’è molta competizione e delle volte anche invidia.

Allora decisi di contattare alcuni booking, tra cui un paio che mi sono sembrati più seri e con proposte interessanti. So bene che la musica è un investimento al giorno d’oggi e che non si può partire con l’idea di guadagnare subito “cifroni”, ma non ha nemmeno senso avviare un ciclo continuo di investimenti senza prospettiva di guadagno.

Come cazzo puoi arrivare a pensare di far tornare in pari il bilancio se l’unico scopo diventa quello di vendere più magliette invece che di suonare dal vivo? Molti booking finiscono per ignorarti, vuoi perché sono già saturi e preferiscono lavorare con le band di cui si fidano, o semplicemente ti snobbano perché preferiscono puntare più al “metal popolare” per garantirsi un ritorno certo.

VOLGAR: ti seguo…

ALE: Per quanto riguarda i contratti di label, in giro ce ne sono sicuramente di interessanti. Quest’anno ho inviato molte email a diverse etichette che lavorano con band underground, ma spesso la risposta è stata deludente: scaricavano il demo e poi sparivano. Farà cosi schifo (…) mi viene da pensare. Mai pretendere che la tua musica possa piacere a chiunque segua il genere; anzi, ritengo sia essenziale avere una forma stilistica che possa risultare oggettivamente “fastidiosa”; fa parte del marchio, accende curiosità e regala un pizzico di originalità che altrove non puoi scovare.

Anche la questione dei suoni è problematica. Non intendo dire che un disco debba suonare sempre spaccato al metronomo da privarsi dell’anima, ma almeno deve trasmettere chiarezza e comprensione.

Al di là del budget iniziale, con gli strumenti moderni è possibile ottenere buoni risultati. Un momento, non intendo dire che le chitarre debbano suonare per forza di plastica eh, un budget basso può permetterti grandi risultati con un po’ più di manodopera. Questo vale sicuramente di più di chi spende 1000 euro se non di più, per farsi produrre il mini EP dal mastro della zona.

 Come ti puoi fidare di questi personaggi? C’è chi spende subito facendo magliette, felpe, polsini, borse, cappelli, calzini e mutande come se fosse un’azienda di un marchio prestigioso e poi fa due live all’anno.

Pensare che in Sud-America c’è una scena di fame e thrash metal, molti se ne escono dal nulla con produzioni mediocri ma l’attitudine non è sicuramente paragonabile a chi è “nessuno” e spende un sacco di soldi, è necessaria tutta questa merce se poi manca l’attitudine?

No. Brasiliani, cileni, peruviani, gente che se ci suoni assieme ti asfalta, ti apre in due letteralmente, come è anche facile che accada in altri paesi europei. Per quanto riguarda la produzione, si tratta maggiormente di ottenere un buon bilanciamento sonoro e amalgama; essenziale per permettere alla musica di esprimersi al meglio.

Questo vince su tutto, se un lavoro non suona perfettamente bene ma ha un suo “suono”, è molto più soddisfacente, almeno per me. Se fai Thrash Metal ad esempio, le chitarre devono essere tirate in stereo e presenti, all’unisono con la doppia cassa e il rullante. Non esistono alternative. La chitarra elettrica non è stata concepita per “suonare” a volume basso come se accompagnasse il cantante di turno indie sofferente.

Contratti, booking, per non parlare del mercato nero delle reviews sui magazine metal… La realtà è che se non hai i giusti contatti o non scendi a qualche compromesso per renderti più fraintendibile, vieni messo in secondo piano. Non si può rimanere coglioni di fronte a scambi e favoritismi che omaggiano più l’apparenza rispetto alla passione e al talento.

VOLGAR: … nulla da obiettare, se non che non hai ancora citato le responsabilità della stampa di merda, nel decadente quadro che descrivi. Tranquillo, lo faccio io, che sono testimone diretto di quel passato perduto che pure è esistito. Io, che ho conosciuto tanti dei suoi protagonisti anagraficamente ancora vivi, ma morti dentro, genuflessi all’Agenda woke solo per poter continuare a galleggiare come stronzi in un cesso dismesso.

Quanto ai live, chi ti parla è della generazione di quando a organizzarli era gente del calibro umano e professionale di Baffo di Metal Massacre; uno che per farti suonare non controllava l’orientamento politico dei tatuaggi che avevi sotto la maglietta o dei monili che portavi al collo. Uno che a fine concerto ti pagava, ti ringraziava e poi preparava una spaghettata per chi ne aveva voglia. Oggi, tanti di coloro che hanno vissuto quel mondo come me, timbrano il cartellino come promoter o vegetano sulle live come dei bot umanoidi col solo compito di resettare il vecchio e di setacciare il nuovo, normalizzando i disobbedienti più storici e cancellando date e interviste a quelle band in odore di “sconvenienza”. Ebbene, io non sono come Pasolini, che sapeva ma non aveva le prove; io le prove le ho. E le tirerò fuori goccia a goccia per dimostrare che a tradire quel mondo sono stati proprio quelli che di quel mondo si sono pasciuti.

ALE: Baffo di Metal Massacre… Ahahah! Che figure mitologiche mi sono perso! Ora gli organizzatori manco rispettano più il cachet delle band. Sai, dal momento che impieghi due veicoli per trasportare testate, componenti della batteria e strumenti, se si usasse un minimo di logica, la spesa della band dovrebbe aumentare…No!?

Qui l’assicurazione dei danni è ha carico personale, per tanto detesto girare con strumentazione costosa. Se un giorno vorrò acquistare una 4×12 Marshall 1960 come si deve e una struttura rack composta da pre e finali a valvole ci penserò ben due volte a portarmela in giro. Bisogna minimizzare il “gear” e massimizzare la sua utilità live e inoltre va saputa distinguere l’attrezzatura che è stata concepita per “studio” e quella per “live” che io ribattezzo “da battaglia” perché fare un live qui è come andare in guerra.

Al momento utilizzo una Valvestate 8100 degli anni ‘90, il mio suono è identificato lì dentro, per tanto non venite a commentare che live non può rendere, vi assicuro che viene fuori un muro. Ci sono anche locali in cui il metal gira alle stelle ma che dispongono soltanto di una cassa per la chitarra, ma andate a morire…! Su mercatino musicale le trovate anche a 200-300€, se non meno.

Non vorrei manco menzionare il problema riguardante l’acustica che tirano pure dritto facendo i “fuffaguri” del suono… lasciamo perdere. La gavetta me la sono fatta e continuerò a farmela, come quando giravo Torino intera sui mezzi pubblici con una Dean e la sua custodia molto pesante per andare alle prove. Non mi sono mai lamentato a riguardo. Ma dal momento che le mie necessità si sono evolute, da allora non lo rifarei.

VOLGAR: apprezzo molto queste dissertazioni tecniche. Ormai nelle interviste metal leggi solo ringraziamenti a tizio, benemerenze a caio e “fuck Putin”; di musica non si parla mai.
Riguardo i mezzi pubblici, non li ho mai usati: mi spostavo in bici allora come ora; e quando vedo quei sedicenni aggrappati come scimmie ai volanti di scatolette spernacchianti in giro per Roma, mi domando: ma che fisici avranno a 50 anni, quei ragazzini? E che estro artistico potrà mai avere gente che passa il tempo a sditalinare lo schermino di una cineseria da sostituire ogni 6 mesi per averne sempre la versione più tamarra?

ALE: Quelle microcar occupano solo parcheggi inutili! Proseguirei con le disfunzioni menzionando l’egregia tendenza al “copia-incolla” nel sound del Thrash Metal. Vorrei evidenziare in che misura la ripetitività sonora e la mancanza di originalità, soprattutto in questo genere, sono un problema. Molte etichette discografiche impongono un suono omologato, quasi “di plastica”, rendendo difficile per le band innovare.

Fino a non molto tempo fa, il gruppo si era ridotto ad un trio per varie necessità, che chiamerei più costrizioni, il che mi ha portato a utilizzare una vasta gamma di effettistica per riempire maggiormente il suono. Tuttavia, con l’intensificarsi delle parti vocali e dei riff in contemporanea, ho deciso nuovamente di adottare la formula originaria delle due chitarre che scelsi per questa band, continuo a considerare che sia la scelta più sensata e promettente per questo genere.

Tra i miei effetti preferiti c’è sicuramente il chorus che ritengo innovativo per il mio sound, non tutti lo usano oramai, soprattutto sulle ritmiche che sui soli. Ma torniamo un attimo a prima, peggio ancora, non mancano le band mediocri con contratti discografici e tour prestigiosi: come è possibile che band di merda riescano a ottenere contratti discografici e partecipare a tour con nomi grossi?

VOLGAR: te lo spiego io. La globalizzazione woke non ha schiacciato le categorie meritocratiche soltanto in orizzontale, ma anche in verticale. Oggi le dicotomie non sono più “eccellenza-mediocrità”, “originalità-banalità”, “pindaricità-bassezza”. E nemmeno sono di tipo geografico, culturale o stilistico.

No, oggi l’unica dicotomia esistente è quella fra l’artista-pecora che consegue il “green pass” del sistema, e l’artista libero che al sistema si ribella. Lo si è visto con la pandemenza, dove anche artisti che per prestigio e conto bancario avrebbero potuto sottrarsi alla necrofila pornografia della foto con l’ago alla spalla, hanno invece obbedito a farsi sponsor di quella criminale istigazione al suicidio collettivo.

Su un esordiente il ricatto è segargli le gambe; ma anche su un big può essere tagliargli i fondi e delegittimarlo agli occhi del suo pubblico di riferimento: e sono proprio i big che, senza fondi e senza pubblico, non sanno trovare altre ragioni di vita.

ALE: Tutto chiaro. Pertanto da quest’anno ho dato alla luce un secondo progetto musicale a nome Jester Majesty, un’esperienza “teatrale” Progressive Heavy/Thrash Metal nata come valvola di sfogo personale, anche a queste crude realtà. Con questo nuovo nome intendo esplorare sonorità moderne e accessibili a un pubblico più ampio.

È una sorta di provocazione nei confronti degli standard dell’industria musicale, dimostrando che riff provenienti dal cuore possono risuonare autentici anche con un’impronta sonora più attuale. Per tanto, oltre che essere un progetto nato per passione voglio esprimervi al massimo il mio potenziale musicale. Attualmente assieme a me collaborano il talentuoso e amico Erymanthon Seth sempre da Torino ma che ora si trova a Stoccolma e Luca Margini dall’Emilia Romagna sulle tastiere.

Ho recentemente pubblicato un EP indipendente, a titolo Plains Of Heaven, che invito a scoprire. Il mio obiettivo è di far evolvere questo percorso, vorrei giungesse alla realizzazione di un album entro il 2025, salvo imprevisti. Sto adottando un nuovo approccio, cercando in via telematica di ottenere più ganci possibili, sia per magazine che per contratti e collaborazioni. Io ci guadagno per quanto riguarda la soddisfazione personale e a loro questo sound piacerà indubbiamente: potete farci sopra quanta pasta volete.

VOLGAR: diciamo che nella storia, caporali e signorsì hanno sempre abbondato alla corte dei despoti. Ma ora c’è di più: i ri-programmatori culturali di regime non cercano solo pecorelle obbedienti da pascolare, ma puntano a promuovere quelle più mediocri per ingrigire e abbrutire l’ambiente secondo i parametri del progetto nichilista in corso.

Di conseguenza, qualsiasi artista ancora capace di far drizzare i peli a qualcuno è visto come un pericolo sia dai pastori del gregge, sia dalle stesse pecore che si sentono surclassate al confronto con chi si rifiuta di pascolare.

ALE: Ben detto Volgar, hai menzionato la corte. Guarda un po’, il “Jester” e la “Majesty”. Accostando questi due termini si ottiene una dialettica tra il potere assoluto e chi si trova in una posizione apparentemente subordinata ma che ha comunque la facoltà di influenzare o rivelare verità scomode, anche in modo sovversivo. Ma quante verità al giorno d’oggi non vengono più considerate?

Ma quanto cazzo di politicamente corretto c’è in giro? Pensa anche alle preferenze del pubblico verso generi ripetitivi, me lo sono sempre domandato… quali sono le ragioni dietro il crescente interesse del pubblico per generi che spesso risultano ripetitivi o “impastati”?

Come influenzano l’evoluzione della scena metal? Ho notato che gran parte del pubblico che vedo sui social è più attratta da generi come il brutal death, nu metal, deathcore o metalcore, ma perché questa preferenza?

Non è l’ultra velocità che rende il tuo brano più cattivo, nemmeno adottare cliché per tecniche di growling con riff da terza elementare tirati a 200 bpm. Un brano “cattivo” non dovrebbe dipendere né dalla ultra-velocità né dai cliché stilistici.

L’aggressività musicale autentica può emergere dai contrasti ritmici, dalla costruzione dell’atmosfera e soprattutto da una composizione solida. Struttura, significato e arrangiamento sono gli elementi più importanti per una buona riuscita uditiva di un brano. Il resto per me sono solo stronzate o semplici mode, come ad esempio i breakdown studiati per enfatizzare che sul palco indossi pantaloni abbassati fino alle caviglie, ritrovabili nei gruppi alternative o nu, manco un assolo di chitarra poi, cristo…

Devono essere stati anni brutti per il metal. Per fortuna non ero nato, o meglio, non vivevo, durante l’avvento di generi pop-metal, ma credo che mancassero già molte figure di riferimento. Se Chuck, Dimebag non fossero morti, molte stronzate sarebbero state fermate dall’industria musicale… almeno credo. Ora non farmi sparare una sentenza senza esagerare, altrimenti qualche attivista del pop-metal o un semplice buonista a 360 gradi del metal si offende.

Pace alle loro anime, sono due artisti che mi hanno influenzato tanto, è sempre emozionante ascoltare i lavori dei Death e dei Pantera. Poi per me gruppi come gli Sweet, i Thin Lizzy, Budgie o semplicemente Rory Gallagher erano già più metal di diverse porcate oggi concepite. Parliamo degli anni ’70, dove anche i Judas pubblicarono capolavori come Sad Wings Of Destiny. Che voce e che riff là dentro!

Black Sabbath, Uriah Heep, Lucifer’s Friend… e quanti altri grandi nomi. Al di là del fattore riguardante le band, trovo ci sia anche una mancanza di passione e conoscenza tra i giovani fan del metal. C’è un problema generazionale nella mancanza di passione e di approfondimento tra i giovani che si definiscono metallari, è facile incontrare personaggi che non conoscono le radici del genere.

Ho conosciuto elementi a 15 anni che si spacciavano per metallari, senza aver mai speso 5 minuti del loro tempo ad ascoltare la NWOBHM. Cazzo, con tutta questa digitalizzazione del mercato musicale puoi permetterti di ascoltare qualsiasi cosa, dov’è la scusa per non informarsi? Nel metal ci sono voci che continuano a regalare emozioni, e io, queste emozioni desidero condividerle.

Che tu sia nuovo in questo mondo o meno, prova a scoprire la magia di Tim Aymar (Control Denied/Pharaoh, R.I.P.), James Rivera (Helstar), Warrel Dane (Nevermore/Sanctuary, R.I.P.), Devon Graves (Psychotic Waltz)…il dimenticato Eric Clayton (Saviour Machine) da cui ad esempio quei Type ‘O Negative ci dovevano un debito esistenziale.

Ci sarebbero anche altri nomi meno conosciuti ma non finirei più. Questa categoria di persone che vive il metal come se fosse un passatempo della domenica o un qualcosa che riprende in mano occasionalmente, continuerà a non valere un cazzo perché è come se fosse alla continua ricerca della pizza con l’ananas senza mai aver mangiato la vera margherita napoletana. E questo pare sia impossibile.

VOLGAR: hai una cultura musicale alla quale io non riesco a star dietro; commento solo dicendo che sicuramente la tendenza giovanile all’oblio che descrivi è figlia della cancel culture imperante. Insomma è progettata, non ha nulla di spontaneo. Quindi, occhio a coglierne i segnali caso per caso.

ALE: I segnali vanno colti sempre, perché non inaugurare un’università degli studi sul metal? Primi appelli a Gennaio: Death Metal 1, Elementi di hardcore punk ed heavy metal, Progressive Rock Inglese 1 e 2 … Ahahaha! A parte gli scherzi… Cancel culture? Tasto dolente. Come si può ad esempio rimuovere testi di un’importanza universale come la Divina Commedia o i Promessi Sposi soltanto perché non sono graditi da culture medio-orientali qui residenti in Italia?

Dio mio… ero cosi appassionato a studiare filosofia e letteratura al liceo, se siamo arrivati a questi livelli allora in fondo mi mancheranno quegli anni. Ma la cattiveria che troviamo nel mondo reale spesso supera quella che si può esprimere attraverso la musica. Nella musica metal, quell’aggressività è catartica, un’espressione collettiva dove grazie allo sfogo si instaura un legame tra chi condivide le stesse passioni.

Ma nella vita di tutti i giorni, la “cattiveria” è più insidiosa e spesso assume la forma di un “lavaggio del cervello”, una sorta di imposizione sottile che influenza pensieri e comportamenti senza che ce ne si accorga.

Come il Principe di Machiavelli insegna, là fuori puoi trovare strategie, manipolazioni e giochi di potere che influenzano la vita di tutti. L’etica del Machiavelli spinge ad essere consapevoli, a riconoscere quanto si è realmente manipolati o influenzati e allo stesso tempo trovare un modo per navigare questa realtà senza perdere la propria integrità. “Il fine giustifica i mezzi”.

A volte davvero penso come sia importante e dimenticato Il Principe… non bisogna essere cattivi, ma essere capaci di essere cattivi. La chiave sta nella “necessità”. Questo induce anche ad una superficialità e mancanza di studio nel genere musicale. Il rischio è che molti giovani si avvicinano al metal solo per apparenza, anziché come vocazione interiore, senza approfondire lo studio del genere e limitandosi a riprodurre cliché moderni…

Addirittura c’è chi arriva a giudicarmi come “boomer” soltanto perché difendo una visione più tradizionale e profonda del metal. Vadano a fare in culo. È come insultare sia me che il sacrifico passionale che impiego ogni giorno a studiare questo genere.

Io mi sveglio la mattina e penso al metal e alla chitarra, indipendentemente dal fatto di andare all’università o di andare a lavorare. Sono classe 2002, è davvero una questione generazionale o c’è una mancanza di rispetto per le radici del genere?

VOLGAR: proponi degli accostamenti arditi, ma davvero interessanti. Le tensioni generazionali sono sempre esistite, e non hanno lesinato lati costruttivi nell’evoluzione sociale. Certo, quando vedo i ragazzini con la visiera all’indietro e l’andatura orangica, vomito pure io. Ma loro sono il prodotto, non il produttore.

ALE: Già Volgar… ci sono troppe tensioni generazionali. Pensa a coloro che spendono sempre il loro tempo a fare gli attivisti. Chi segue continuamente problemi sociali, temi di genere e posizioni politiche studiate tramite reels per fotterti il cervello… ma non è meglio condividere un disco che ti piace o una foto che hai scattato in vacanza? Cazzo.

Finché si è degni di far quel che si vuole OK, ma spacciare la libertà di pensiero per futile ricerca di attenzione NO. Ne vedo troppi. Non ha nemmeno senso prendersela a vita con la società in cui vivi o perché hai assimilato troppe nozioni dai guru del cambiamento climatico, della contaminazione alimentare o dell’impatto degli allevamenti, arrivando a imporre un modello ideale che costringerebbe un’intera popolazione ad abbandonare lo sviluppo tecnologico e l’economia delle città per acquistare un terreno e vivere in mezzo agli animali.

L’aspettativa di vita è aumentata grazie alla ricerca scientifica e allo sviluppo tecnologico poiché non credo proprio che se nascevi 100 anni fa in mezzo ai campi eri più nutrito e mangiavi meglio di ora. I processi markoviani riguardano anche l’economia sociale, chi li conosce oltre i matematici, statistici, economisti, fisici, persone che si sono sbattute anni a capirlo sopra i libri?

Non è necessariamente sensato estremizzare la discussione da una parte o dall’altra: rinunciare allo sviluppo tecnologico non è una soluzione reale. Questo si riflette come anche il metal stia perdendo la sua direzione originale a causa dell’attenzione eccessiva su queste questioni, ma come anche i temi di genere, le lotte sessuali, o i movimenti politici.

Temi a mio parere inutili e addirittura distruttivi per la cultura metal. Io non sono né una figura politica, né un poeta, né un attivista, né una pedina appartenente a correnti ideologiche di questo tipo. Sono un musicista, a me interessa suonare e basta. Questi interessi possono rovinare l’atmosfera musicale di una band.

Ho dei messaggi da comunicare certo, potete ritenermi un’artista o altro che volete, basta che non vi dimenticate che voglio divertirmi con la chitarra e il metal. Perché “artista” oggi è chiunque. Pensare prima ai riff e alle melodie. Poi magari qualche significato nascosto ce lo metti anche nei testi, ma se parti in quinta con l’intento di spacciare la tua musica per politica, ahimè sei fuori dal mio range.

È vero che i testi musicali, specialmente nel metal, vengano messi in secondo piano rispetto allo strumentale perché è del tutto normale, questo lo capisco anche io da chitarrista. Sai, ti ricordi la melodia, il riff, il ritornello… piuttosto che soffermarsi sui significati più profondi delle parole. Ma se le parole non sono interessanti in questo caso, i riff possono salvarle.

Ad esempio nel brano Wings Of Freedom non parlo direttamente della discriminazione per ogni problematica vivente, perché ritengo che alcuni di questi argomenti, come le questioni di genere, siano esasperati o amplificati.

Mi “immergo” in una prospettiva ironica su come un individuo con disfunzioni biologiche possa percepire e affrontare la realtà che lo circonda. Da ragazzino, mi capitava di vedere una comunità di persone con sindrome di Down prendere la mia stessa linea di tram. Mi chiedevo semplicemente cosa potessero provare a livello emotivo in quel contesto, semplicemente questo.

Dunque, credo che anche in generale al di fuori del metal ci sia un’eccessiva attenzione riguardante temi di attualità come le questioni di genere o simili, trascuranti quelli che dovrebbero essere universali e meno legati alle mode mentali del momento.

Meglio parlare delle ossessioni e delle malattie mentali a questo punto. Pensare a Max Cavalera che a 17 anni intitolò il secondo album dei Sepultura Schizophrenia, quanto basta almeno per me.

Il Metal è una scena che invita a credere in una “legacy”, in una comunità che accoglie chiunque ne condivida la passione e il rispetto, non è una religione medio-orientale. Anche se l’estremizzazione, in qualsiasi ambito, tende ad essere negativa, il metal riesce a mantenere un’umanità di fondo: chi fa parte di questo impara che esagerare, nella vita come nella musica, spesso significa perdere qualcosa di importante.

Però il metal devi viverlo, devi vivere la scena che ti circonda e che ti interessa. L’attitudine la dimostri poi sul palco, l’orgoglio ad un certo punto va messo da parte. Devi trasmettere un’aura di fiducia e carisma nei confronti del tuo pubblico, altrimenti se la tua musica è già complessa di partenza ahimè… sarà difficile che tu venga compreso e ricordato. Ma prima di tutto, è sempre la passione quel che conta. In un contesto di band devi pensare a divertirti e a creare momenti memorabili.

VOLGAR: considero la matriarcalizzazione del Metal, come quella di ogni settore politico e culturale, il fenomeno più ributtante della cultura woke. E il più pervasivo, dato che mira a lusingare una platea di parassite molto ampia e pronta ad arraffare i soliti laidi benefit femministi blindandoli con alibi cazzari come quello del “patriarcato”.

Idem il genderismo in sé, una roba da laboratorio sociologico di terz’ordine mirata a svirilizzare il maschio privandolo di tutto ciò che ne caratterizza l’indole nella storia, nell’arte e nella mitologia tradizionali. E quindi vai di mascherine, di ipocondrie, di monopattini e di veganate varie. Una vera “demolizione del cazzo” portata avanti, paradossalmente, da tutte categorie che per il cazzo stravedono.

ALE: Comprendo il tuo punto di vista… tutta questa questione di genere è davvero pesante e noiosa. Sembra che ci sia una forte tendenza a mettere in evidenza aspetti personali come anche l’orientamento sessuale o l’identità di genere, spesso a tal punto da far passare in secondo piano altri valori ed interessi individuali.

Basta con il “mostrarsi” prima per il tuo orientamento anziché per le tue vere qualità di vita. Questo tipo di esibizionismo digitale è eccessivo e svuota certi temi del loro valore autentico, soprattutto per chi è abituato ad una visione più riservata della vita personale, come nel mio caso e ritengo che sia giusto cosi. Stop a questo mettersi in mostra eccessivo, è davvero snervante vedere sulle pagine social una bandierina arcobaleno o scritture abbreviate strane come se fossero il numero identificativo o il codice fiscale.

Ma invece coloro che non supportano le band acquistando CD o vinili, senza domandarsi quale sia l’impatto dell’uso esclusivo delle piattaforme digitali sulla scena musicale? Ritengo sia davvero importante che i fan supportino le band acquistando fisicamente CD e vinili, piuttosto che limitarsi allo streaming.

Io non uso piattaforme di streaming come Spotify. Sono un grande appassionato di CD e vinili, ne ho molti in casa. Ascolto la musica principalmente da YouTube (come in auto) o a casa dall’impianto stereo, un bellissimo pioneer fine anni ’80 prodotto in Giappone.

VOLGAR: il tema dello streaming è lo stesso dell’ It wallet o del green pass (demmerda): la digitalizzazione della società punta alla transumanizzazione del singolo, alla de-spiritualizzazione coatta delle coscienze e al capitalismo della sorveglianza.

Ma nel caso della musica c’è di più: affidare unicamente a banche digitali centralizzate la disponibilità della discoteca universale, anziché continuare a fruirne possedendone fisicamente i supporti materici che ne riproducono i suoni, è il modo migliore che il Sistema ha per cancellare con un click i contenuti scomodi attraverso i soliti alibi puritani (“fake news”, testi eversivi, razzismo ecc). Ecco perché la musica non va (solo) fruita, ma anche -e soprattutto-posseduta.

ALE: Ma assolutamente. Quando acquisti un CD o un vinile, stai comprando due pezzi d’arte: la musica e la copertina. Cosa c’è di più emozionante quando scopri un nuovo sound che ti piace combinato con un’arte parlante?

Lo avrai sempre con te, rimane tuo. Nessuno può portartelo via. È molto più entusiasmante avere la copia reale anziché uno stream o un download. Puoi provare l’esperienza d’ascolto e interagire con i testi allo stesso momento. Crei sensazioni che difficilmente dimenticherai.

Hai menzionato il green-pass, la scissione che ha generato mancanza di identità e coerenza. Nulla è cambiato, poiché la tendenza di alcune persone a cambiare continuamente gruppo, ideologia o stile di vita, senza una vera identità è molto comune.

Come chi dedica più tempo alla sessualità che alla musica, un vero sopravvento sul sentimento autentico dell’amore, sia nelle relazioni personali che nel rapporto con la musica. Questo fenomeno può severamente danneggiare la profondità e il rispetto all’interno della scena metal. Come chi anche preferisce puntare all’immagine di una “frontman” anziché impegnarsi un po’ di più sul suo strumento…

VOLGAR: ormai, da Marilyn Manson ai miei amati Sisters, se non hai almeno una figa in formazione, non suoni. Sottoni e malati di figa abbozzano e fanno i simp con la bava alla bocca. Io, citando un celebre brano della cantante più fregna di sempre, Shania Twain, brindo alla figa, ma aggiungo: “that don’t impress me much!”

ALE: Pensa… durante l’adolescenza ho avuto molti amici, tra tra cui anche ragazze coetanee che suonavano con me. Sai queste che fine facevano? Se ne andavano con quelli più grandi che io stesso introducevo nel giro d’amicizia e che comunque ritenevo amici. Non provo alcun rimpianto per quei tempi, anzi ero sempre l’animatore delle serate.

Il mio entusiasmo e il desiderio di creare una comunità erano divenuti una fonte di gioco. La chitarra e il metal sono sempre stati il mio rifugio, devo dire che mi hanno salvato. Ma da quel momento ho deciso di evitare la presenza di figure femminili all’interno di una band. Non mi piace l’idea che il pubblico si concentri sull’immagine di una ragazza, mettendo in secondo piano i musicisti e la musica stessa, come spesso accade.

Comunque in generale, il problema sta nella fonte. Mi riferisco a tutti i temi che abbiamo trattato, ad esempio menzioniamo quanto influisce negativamente l’assenza di un’educazione familiare solida nel permettere ai giovani di fare scelte consapevoli nella vita. I “lavaggi del cervello” che portano le persone a seguire ideologie o stili di vita dannosi, per arrivare a non avere più obiettivi nella vita, dedizione 0… non ne verremo mai fuori.

Molti tendono a sbatterti in faccia certi “valori” come l’idea di non farsi schiacciare dalla società o che i nostri nonni si sono sacrificati in guerra. Non vanno confusi i valori nazionali con quelli personali. Nemmeno con quelli delle stupide mode e tendenze. Io ad esempio non ho mai fumato una sigaretta, e difendo questo valore personale con convinzione. Mio nonno smise di fumare quando ero neonato perché non voleva espormi alla tossicità del fumo mentre mi teneva in braccio. Le proposte scomode sono inutili con me, statemi alla larga. Pensiamo alla musica e al metal che è meglio…!

VOLGAR: guarda, ti parla uno che non si è mai fatto una canna in vita sua, non prende medicine e non altera il fisico se non con ormoni autarchici, vino patriarcale e gelato al puffo. Però non ho mai creduto in alcuna forma di proibizionismo. Certo, al frikkettone col cannone preferisco ‘na bella braciolata sanguinolenta e un bel maritozzo con panna di latte appena munto; e credo che leccornie identitarie siano retaggio da proteggere e da trasporre in militanza artistica. Ma quando vedo rocker celebri per essersi sparati nel naso la qualunque, fare campagna vaccinale come delle ziette sferruzzanti, beh… era mejo se continuavano a drogasse.

ALE: Vaccini? Bene, allora torniamo indietro negli anni ‘80 e facciamoci preparare un bel cocktail di speed da zio Mustaine e Oliva.

VOLGAR: beh, direi che non abbiamo lesinato opinioni personali piuttosto “marcate”. Racconta qualche esperienza vissuta che ti ha portato ad acquisire cotante consapevolezze…

ALE: Va bene, la più grande esperienza che sento di condividere è stata tanto difficile quanto liberatoria, e credo che i suoi protagonisti meritino un ringraziamento, seppur intriso d’ironia perché ritengo non sia stato facile per un giovane ambizioso di 15 anni.

Nonostante io sia piuttosto riservato su alcuni aspetti personali, su questo sento la libertà di esprimermi. È stata la “scintilla” che ha acceso in me l’idea di rinnovare e di fondare la band Alchemist. Prima di quel periodo, suonavo con una formazione comprendente una batterista a cui ero molto legato, un chitarrista e al basso c’era un ragazzo, più grande di me, di otto anni, a cui ero affezionato.

Eravamo amici, lui è uno dei due protagonisti. Al tempo ero fidanzato, al primo amore, coetanei. Le cose, però, si complicarono quando lei si avvicinò a lui in modo inaspettato. A rendere la situazione ancora più intricata c’era il fatto che tutto avveniva praticamente sotto casa mia: lui abitava nella via dietro e lei usava un’amica come pretesto per andare a trovarlo.

Per gli ultimi due mesi, prima di vedersi con me, trovava il modo di incontrarlo, e spesso passavano le notti in chiamata. Di colpo mi trovai a tagliare i legami sia con lei che con lui, imminente al tradimento, separandomi non solo dalla relazione. Mi ritrovai a sbatterla fuori dalla porta di casa mia la sera stessa che lo scoprii e il giorno dopo a sbattere fuori lui definitivamente dalla mia band e dalla mia vita.

Ero tremendamente incazzato in quel periodo, al tempo ho sofferto tanto perché l’amavo, poi ho incominciato a vedere nero per almeno un anno intero. Fu un periodo intenso e oscuro, e quell’energia trovò poi la sua espressione nei brani “Cyclone Of Torments” e “Empty Mirrors”.

VOLGAR: ecco, sulla base di quanto hai vissuto, che consigli daresti a ragazzi che, come te, iniziano adesso a fare Metal e potrebbero quindi trovarsi ad affrontare le medesime “disfunzioni”?

ALE: Un consiglio che lascerei ai ragazzi più piccoli di me è questo: investite tempo ed energia sul vostro strumento se suonate, nella vostra crescita musicale, invece di inseguire persone che non vi corrispondono veramente. Molto meglio suonare con coetanei, scoprendovi insieme e crescendo come gruppo.

Fidarsi ciecamente di qualcuno è un rischio che può costare molto caro. Imparare ad essere schiavi solo di sé, anche se significa affrontare i propri limiti. La parte più oscura va accettata e bilanciata, perché è li che si cela una forza trasfomativa. Alla fine, è la passione, quella pura e profonda, a dare senso alle vostre vite.

VOLGAR: hai accennato ad alcuni tuoi ascolti; tutti poco attigui a quelli della media dei tuoi coetanei. Completaci il quadro e continua a farci sognare…

ALE: Certo! Mai limitarsi in musica, se è ciò in cui credi. Ma un momento, non significa ascoltare sempre le stesse tre band. Perché io ad esempio ascolto anche generi estranei ma comunque indirettamente legati al metal, come il punk inglese, il progressive rock inglese, la dark wave, il gothic… il pizzico oscuro mi affascina sempre, come quello dei Sisters Of Mercy, dei London After Midnight, degli Strange Boutique, dei Christian Death di Valor… non uccidetemi fans di Rozz, Ahahaha!

Chi lo direbbe che sono anche un grande fan del movimento grunge? E invece che sono un grande ammiratore dei Marlene Kuntz? Sono il mio gruppo italiano preferito.

C’è anche chi pensa che io non condivida pienamente il Black Metal, non è assolutamente vero questo. Ci sono alcuni lavori come The Somberlain dei Dissection o In the Nightside Eclipse degli Emperor che ritengo incredibili per il genere, quanto anche per il sound, per la storia che vi risiede dietro ed ovviamente per il lavoro di chitarra.

Semplicemente non sono affini con quello che io suono e che voglio portare in alto, riguarda l’idea che diverse persone hanno su di me. Non li ascolto tutti i giorni, dedico molto di più ad altre particolarità, ecco, questo è vero.

L’omonimo Angel Witch, devo molto la mia scrittura a quel pazzo e geniale di Kevin Heybourne, un’enorme ispirazione per me. Quanto anche a figure come Dave Mustaine e Chuck Schuldiner, grandi chitarristi come Randy Rhoads, Uli Jon Roth, Jimmy Page, Ritchie Blackmore e visionari come Greg Lake e David Gilmour.

Raw Power degli Stooges, un disco che mi affascina tanto, seppur lontano dal metal. The Year Of The Cat del mitico Al Stewart. L’omonimo Boston e l’incredibile storia che c’è dietro, Tom Scholz con il suo Rockman (ne possiedo uno). Taken By Force degli Scorpions poiché sono molto legato al periodo Uli.

Physical Graffiti, il mio preferito dei Led. Come Let There Be Rock dei fratelli Young. Nel contesto metal ad esempio Peace Sells dei Megadeth, No Exit il mio preferito dei Fates Warning, A Social Grace degli Psychotic Waltz, Spiritual Healing dei Death, Nosferatu degli Helstar… minchia non finisco più! Ce ne sarebbero ancora molti.

Come in musica non ho mai trovato limiti, lo stesso è stato anche per la matematica. Una disciplina che mi ha salvato e che mi ha indirizzato al meglio fino ad ora. Mi ha sempre guidato. Molti non capiscono l’importanza universale che la matematica racchiude, è molto semplice: ti rende libero. Ti insegna a pensare e a ragionare in modo indipendente e a risolvere qualsiasi tipo di problema ed ostacolo.

Si tiene conto del fatto che imparare a fare matematica stabilisce un nuovo tipo di collegamento cerebrale, un cablaggio mentale per la risoluzione dei problemi. Non si tratta in fondo di quel che si impara, perché il teorema di Pitagora potrai anche scordartelo, ma riguarda i metodi e le strategie che hai dovuto sviluppare per risolvere questo tipo di problema. Che magari non ti si ripresenterà più in là, ma vedrai che ne compariranno sempre degli altri in vita.

VOLGAR: premesso che si può essere sepolcri imbiancati anche a 20anni se lo si è nell’anima, nell’infinita carrellata di offese e delegittimazioni che da trent’anni ingrassano il mio ego, domina senz’altro quella di essere rimasto un ragazzino immaturo e puerile.

Così domando a te che ragazzino lo sei davvero: come definiresti gente per la quale chi inizia a fare Metal dovrebbe dare per scontato che, a ‘na certa, dovrà abiurare ogni cazzata, ogni eccesso, ogni sproloquio di quelli che gli hanno fatto brillare la carriera? Dei dissociati mentali? Dei traditori a orologeria? Dei semplici peracottari?
Per me so’ solo stronzi, ma dimmi la tua…

ALE: Credo fermamente che la chiarezza sia una delle virtù più preziose, verso se stessi che verso gli altri. Essere diretti, senza nascondersi dietro ambiguità, è fondamentale se si pretende comprensione. La fedeltà inizia con l’essere sinceri sui propri bisogni e sulle direzioni che la propria ragione suggerisce. Il cuore più grande è soltanto di chi ti ammira davvero.

Chi saprà apprendere questa trasparenza ne comprenderà il valore, riconoscendo la grandezza che nasce dall’integrità di chi segue il proprio percorso con coerenza.

VOLGAR: voglio chiudere questa pindarica dissertazione con una domanda dal sapore solenne e fatidico. Nel 1990 scrissi “Gelsomino”, storiella di un bambino che fa strazio della sua maestra per farne cessare le vessazioni contro la propria autostima. Ebbene, credo che il fenomeno dei “talent-show”, successivo agli anni ’90, abbia subdolamente traslato il ruolo di quella maestra su mediocri mercenari travestiti da “ribelli” e resi dal regime i boia della libertà d’espressione, “i giudici”.

Gente che fino a ieri gridava “Fuck The Queen”, e poi, con la stessa alterigia di chi reprimeva i movimenti punk e metal, si è improvvisata a decidere del valore di esordienti buttati nella fossa dei leoni davanti a un pubblico di amebe in lock-down perpetuo.
Io la mia scelta l’ho fatta dalla culla e, come ha scritto Metal Skunk a proposito di vigliacche epurazioni discografiche, “sono uno che non ha mai cambiato idea”. Tu che intendi fare, bello mio?

ALE: Con il metal non devono esistere talent show, sai, non sono fan delle carnevalate. Basta che non mi toccate i Saviour Machine perché nessuno è mai arrivato al loro livello ahahah! Aguante Metal. Forza e sempre!

ALESSANDRO GARGIVOLO
Suaviter, G/Ab SVENYM VOLGAR