Gli Split Lip che non sempre riesco a ricordare come si chiamano e penso a Stick Lip, Slip Stick, Spit Bliz… un disastro… va ben, gli Split Lip, dicevo, a un certo punto fecero uscire un disco. Era il loro secondo e si intitolava Fate’s Got A Driver. Prima di quello avevano esordito con un mezzo capolavoro: For The Love Of The Wounded. Stavano andando alla grande. Non so quanto in termini di vendite, ma sulla qualità non si può discutere. Possono farvi schifo, però ammetterete che è un problema vostro. Se non vi aggrada la maionese, non è mica colpa della maionese, mi spiego?
Gli Split Lip fecero uscire quindi due grandi album prima di sparire. Anzi, uno e mezzo perché, ancora prima di pubblicare il secondo, pensarono che fosse il caso di cambiare nome. Quindi Fate’s Got A Driver, pur essendo un album di conferma e ascesa di un gruppo brillante che aveva già esordito meravigliosamente un anno prima, diventò il disco d’esordio di un altro gruppo molto interessante e promettente: i Chamberlain. E come tale fu, ma non da tutti, giudicato.
Insomma, come mossa produsse un mezzo pastrocchio. Ancora oggi non si sa cosa pensarne di quel lavoro. Si tratta ormai di un “secondo album d’esordio”. Ma forse ogni disco è un nuovo inizio, no?
Quindi da Split Lip divennero i Chamberlain, come il primo ministro inglese che Hitler bullizzò nel proprio ufficio, prima dell’invasione tedesca ai danni della Francia eccetera eccetera.
Essendo le stesse persone di entrambe le band, in fondo si sente che Wounded e Fate’s sono parenti. Con lo stesso principio, i Die Kreuzen avrebbero potuto esordire a ogni loro album, mentre invece hanno una discografia che è una appassionante e travagliata “circonvoluzione” di incapaci, vale a dire quelli che corrono dietro ai gruppi con l’etichettatrice del supermarket.
Ciò che c’è in quei due album è una prosecuzione naturale, mentre il primo si muove dall’hardcore e il metal verso qualcosa di più strano e indecifrabile, il secondo disco sfuma in una direzione più soft senza perdere l’ispirazione e il sapore del precedente.
Per la band fu necessario cambiare il nome. Loro lo dicono anche dopo molti anni. Ci stava perché avevano bisogno di chiudere con una scena di cui si erano sentiti parte e che ritenevano stagnante, noiosa, troppo ferma. Cambiando identità, non prima, ma dopo aver realizzato il disco, crearono un senso di alienazione, a detta degli stessi Split Lip/Chamberlain, nel pubblico che li seguiva (e secondo me un po’ anche in loro stessi).
Qualcuno del pubblico rimase fermo, aspettando il nuovo degli Split Lip, magari senza mai scoprire che uscì ma con l’altro nome Chamberlain. Altri seppero dove cercare i primi e avrebbero preferito non saperlo. Sono sicuro che ci fu chi comprò l’esordio dei secondi, rimanendo deluso, sentendosi tradito, per la fuga identitaria e la mancanza di potenza e tiro rispetto al passato della band, che però non poteva essere accusata di disonestà. Se su una confezione ci scrivi banane e non latte, sempre insistendo con le similitudini alimentari, non puoi mica lamentarti che non puoi versarle nel caffè.
Comunque. Sia Wounded che Fate’s sono due grandi lavori di una fantastica band schizofrenica.
Mi concentrerò però soprattutto sul primo, perché mi piace di più. For The Love Of The Wounded è il mio preferito perché non si discosta dal metal ma lo mette in una centrifuga insieme a una gran varietà di altre cose. C’è rabbia, dolore e una gran voglia di reagire rispetto a Fate’s, che è sì emotivo e sognante, ma meno battagliero. Il mondo fa schifo ma culliamoci su questo bell’arpeggio, aspettando che l’urina sui nostri vestiti si asciughi.
Nel 1993-94 erano parecchi tra i gruppi giovani mescolare le carte ma in fondo senza aggiungere nulla di nuovo. Nel caso dei Lip però si sente qualcosa di più. Sembra che stessero già dalle parti dei Deftones, prima che questi esordissero ufficialmente, un anno dopo. Inoltre, per quanto non sia gradito a molti citarli, ci ho trovato qualcosa degli iniziali Thesteelprophets e dei Machine Head del periodo Nu Metal.
Insomma, cazzo. Se non erano avanti questi ragazzi, non so chi lo fosse. Col grunge non c’entravano quasi nulla e col nu-metal nemmeno. Dei due però sono sicuro che abbiano ispirato parecchi gruppi della seconda scena. Avrebbero raccolto più frutti se fossero rimasti fermi su quel punto, senza andare chissà dove con un nome diverso. Li rispetto molto per questa scelta, sia chiaro, hanno seguito l’istinto creativo in barba alle logiche di mercato, ma allo stesso tempo non credo ci fosse il bisogno di cambiar nome. Si capiva anche in For The Love Of The Wounded che niente e nessuno avrebbe tenuto fermi quei tizi. Vi basti ascoltare Anthem Boy. Dentro quei tre minuti e rotti c’è così tanta roba da restare frastornati e il resto del disco è anche meglio.
Fuzz quando li recensì su Metal Shock provò a definirli unendo nella stessa frase, Savatage, Kansas, Fugazi e Helmet. Sufficiente a farvi capire quante cose possono racchiudere in quei brani gli Split Lip?
Intanto niente ritornelli. Strutture in divenire e vai dove ti porta l’anima. Però non ce n’è bisogno di melodie portanti, di frasi ripetute fino a farcele notare. Non ve ne sareste accorti se non vi avessi avvertito, che non esistono refrain. Io stesso l’ho realizzato molto dopo, leggendo una recensione in rete, che non ce n’erano. E se non me ne sono accorto, vuol dire che non ne sentivo il bisogno. I pezzi sono così ben costruiti che non annoiano, trascinano avanti, possiedono tutti qualcosa di particolare e seduttivo all’orizzonte.
Poi, quando proprio vi sembrerà di aver capito che non fanno per voi, cari metallers defenders of sta minchians, eccovi la strumentale Upright Motive 9, una specie di sgroppata maideniana con sincopi progressive stile Fates Warning. Vi sembrerà di essere skippati in un territorio amico senza accorgervene e invece è sempre lo stesso infido e paludoso guado di grinta e lamentose divagazioni.