Ancora vampiri? Sì, ecco i Creeper (ma ascoltateli, sono forti!)

Mi rendo conto che negli ultimi anni in campo musicale difficilmente riesco ad appassionarmi a qualcosa che non abbia in sé un certo grado di camp, con ciò intendendo consapevole frivolezza auto-ironica e riuso di materiale popular anche trito, ai fini di una produzione che punti alla piacevolezza estetica non per ricreare un effetto di finta autenticità o pretesa novità, ma anzi giocando sull’artefazione, sull’apprezzamento di secondo grado di chi – come me – inizia ad averne sentite tante e fisiologicamente porta con sé più passato che futuro. Lo so che non è un segno salutare, ma che volete pretendere da uno che ancora sta dietro alle canzonette a 50 anni?

Con questo vengo a presentarvi i Creeper, gruppo inglese di una certa popolarità in patria del quale mi pare non si parli molto qui da noi. Li ho scoperti leggendo la descrizione del loro precedente “Sanguivore” quando fu incoronato nientemeno che disco dell’anno 2023 dalla versione online di Loudwire-Metal Hammer UK.

Per una volta sembrava che in queste classifiche di fine anno della stampa specializzata primeggiasse qualche autentico rocker e non il solito duo di origini bolivo-turkmene stanziato in South Dakota e autore di un vinile con due canzoni di 33 minuti cadauna di dream-death-cyber-depressive-black-postgaze stampato in 78 copie dalla label del nipote del co-fondatore della Southern Lord; quindi mi sono messo ad ascoltarli e ne sono rimasto discretamente appassionato.

Ho scoperto peraltro che i Creeper sono in giro già dal 2014, e che per tutti gli anni dieci hanno riscosso un certo successo anche di classifica con una proposta musicale tutta diversa da quella di oggi: melodic punk di matrice midwest-emo (Alkaline Trio, Get Up Kids) con già qualche coloritura dark alla A.F.I. e cenni di teatralità alla My Chemical Romance.

Ottimi spunti e un piccolo capolavoro di goth-teen come la ballad “Misery”, ma da consigliare solo agli amanti del genere. Col disco del 2020 “Sex, Death And The Infinite Void” finirono in top 10 UK per mezzo di una virata verso un pop-rock chitarristico molto british, ma – a partire dalla transizione electro-dark dell’EP American Noir – hanno scoperto riferimenti stilistici del tutto nuovi che, nel succitato “Sanguivore” e nel nuovissimo “Sanguivore II – Mistress of the Dark” (addirittura seconda parte di una trilogia), uscito lo scorso Halloween, me li hanno avvicinati a quella sensibilità di cui dicevo all’inizio.

Quali sono questi riferimenti?

Di che genere di musica sto parlando, insomma, che non si è capito un cazzo? Eccoci. Riprendiamo il discorso lateralmente per dire che il successo dei Ghost ha aperto delle strade. O, forse, ha ampliato la soglia del socialmente accettabile permettendo di pubblicare come singolo qualcosa costruito sostanzialmente come segue: attacco col coro tipo “You Give Love a Bad Name” dei Bon Jovi o “Heaven is a Place on Earth” di Belinda Carlisle, ritmica gothic metal da gruppo di inizio pomeriggio del Wave Gotik Treffen 2002, ingresso di chitarroni tipo Kane Roberts nel 1988 e coro letteralmente – LETTERALMENTE – copiato da “Bed of Nails” di Alice Cooper.

So che la conoscete: anziché “Our looooove/is a bed of nails” cantate “Bloooood Magick/(It’s a Ritual)” e avrete titolo e ritornello del pezzo dei Creeper che descrivo, uscito in anteprima questo agosto.
Certa gente lo chiamerebbe stronzata megagalattica, ma noi possiamo chiamarlo Paradiso.

Chiaro che se hai il coraggio di scrivere questo non ti tiri indietro di fronte a nulla: del resto stai pubblicando una trilogia su una storia di vampiri rock’n’roll con spiccate tendenze S&M che si aggirano a mo’ di assassini (ma vittime a loro volta di qualcuno che sarebbe forse boh, questa signora della morte….) nella California degli anni ’80, e nella ballad finale “Pavor Nocturnus” (ancora il latino ad cazzum di marca ghostiana) riesci quasi a farla sembrare anche davvero commovente.

Lo sprezzo del ridicolo è l’arma segreta di questi ragazzi, che nel disco precedente si erano messi in testa di rifare “Bat Out Of Hell” con un pezzo-mondo in apertura (“Further Than Forever”) e un lentone alla fine (“More Than Death”), incorniciandovi tra le altre una murder ballad apocrifa come “The Ballad Of Spook & Mercy”.

L’ispirazione da Meat Loaf è diffusa più orizzontalmente in quest’ultimo disco, dove esplode nei ritornelli magniloquenti di pezzi altrimenti molto diversi quali “Headstones” (addirittura NWOBHM nel riffing) e “Prey For The Night” (asciuttissimo electro-dark danzereccio nella strofa).

Il tutto con voce baritonale e intarsi di cori femminili da pagina 1 del Manuale dei giovani Sisters Of Mercy (ancora Steinman, oltretutto), solida matrice di tutte le fioriture stilistiche descritte sin qui.

Altri punti salienti del disco comprendono: un assolo di gran gusto melodico negli eterni eighties di “Daydreaming In The Dark”; un bizzarro tentativo di pop jazz con voce femminile in “Razor Wire”; gothic metal in “The Crimson Bride”; viralità melodica power pop nel coro di “Parasite” (in cui il verso “Suck! Suck!” è cantato come se si stesse effettivamente succhiando qualcosa). Madamina il catalogo è questo.

Ma il punto, come sempre, qual è? Tutte le canzoni descritte – e anche altre che non sto a dire – sono costruite e funzionano come delle fottutissime hit!

Poi magari non lo diventano, perché il pubblico che li seguiva all’inizio era magari legato a un’ideale di espressione emotiva diretta che con tutto ‘sto bendiddio di citazionismo viene inevitabilmente meno; infatti da Roadrunner sono finiti su Spinefarm, non credo un upgrade.

E io non so chi gliel’ha fatto fare a questi Creeper di mollare le ragazzine emo-revival del black country inglese per venire incontro ai gusti contorti di un cinico estenuato postmodernista come il sottoscritto. Però io ascolto e consiglio. Ascolto tanto, così come l’anno scorso ascoltai tanto i simili Unto Others, l’anno prima i più austeri Green Lung, quello prima ancora l’imperiale Impera. Tu chiamali, se vuoi, dischi dell’anno.