1 – QUANDO IL PROG DIVENTA TROPPO PROG PER IL PROPRIO BENE
Se dovessimo stilare una classifica delle ingiustizie cosmiche del rock progressivo, il fatto che i Van Der Graaf Generator non abbiano mai raggiunto la fama di Yes e Genesis si posizionerebbe comodamente tra l’assassinio di Franz Ferdinand e la cancellazione di Firefly. Eppure qui siamo, nel 2025, ancora quindi a spiegare alla gente chi diavolo fossero questi quattro pazzi che nel 1971 decisero di registrare “Pawn Hearts”, probabilmente l’album più intenso, claustrofobico e visceralmente disturbante che il prog abbia mai partorito.
L’Elefante nella Stanza (Quello con il Sassofono) – Apriamo con la domanda da un milione di sterline: perché i VDGG sono rimasti un culto mentre Rick Wakeman si pavoneggiava in mantello dorato davanti a stadi interi? La risposta è semplice quanto brutale: Pawn Hearts non è un album che puoi mettere su durante una cena. Non è un album che fa venire voglia di ballare. Non è nemmeno un album che fa venire voglia di vivere, per essere onesti.
Prendiamo “A Plague of Lighthouse Keepers”, ventitre minuti di delirio organistico che occupa l’intera seconda facciata. Dove i Genesis ti avrebbero raccontato una fiaba fantasy con tanto di fate e folletti, Peter Hammill ti trascina in un abisso esistenziale dove il protagonista impazzisce lentamente, accompagnato da organi che suonano come la colonna sonora dell’Apocalisse e dal sassofono di David Jackson che urla come un animale ferito.
È magnifico. È terrificante. È assolutamente in-commerciabile.
Il Problema Hammill – Ecco il punto: mentre Jon Anderson cantava di astronavi e Rick Wakeman faceva cose magiche con i sintetizzatori analogici, Peter Hammill urlava nel microfono come se stesse letteralmente esorcizzando demoni personali. La sua voce non è “bella” nel senso convenzionale – è angosciata, drammatica, teatrale fino all’assurdo. È la voce di qualcuno che ha letto troppo Kafka a colazione.
“Lemmings” dura quasi dodici minuti e parla dell’umanità che si getta collettivamente in mare come, appunto, i lemming, quei graziosi animaletti che secondo la leggenda, si suiciderebbero in massa entrando nel mare. Non esattamente “Roundabout”, capite? Non è materiale da singolo radiofonico. È materiale da “mi sento male ma in modo filosofico”.
2 – LA MATEMATICA DELLA SFORTUNA
Facciamo i conti:
Gli Yes avevano:
Melodie orecchiabili (per quanto complesse)
Un look fantascientifico-hippie commercialmente appetibile
”Roundabout” che ancora oggi spacca su TikTok
Roger Dean e le sue copertine psichedeliche
I Genesis avevano:
Peter Gabriel che si travestiva da volpe/fiore/alien
Phil Collins che sarebbe diventato Phil Collins
Canzoni con inizio, metà e fine riconoscibili
Una progressione verso il pop che avrebbe fatto soldi a palate
I VDGG avevano:
Un nome impronunciabile rubato a un romanzo di Van Vogt
Zero sintetizzatori (gli organi Hammmond non contano come “futuristici”)
Testi che citavano Hieronymus Bosch
Peter Hammill che sembrava sempre sul punto di piangere o strangolare qualcuno
Il Capolavoro che Nessuno Voleva – “Man-Erg” apre l’album come una sferzata di guanto bagnato sulla faccia. È prog, ma è anche proto-punk nell’attitudine. È il suono di persone intelligenti che hanno deciso di smettere di fingere che tutto vada bene. Il piano di Hugh Banton crea tappeti sonori da incubo industriale mentre Jackson fa squittire il suo sax come se fosse sotto tortura.
E poi c’è “A Plague of Lighthouse Keepers” (sì, ci torno, perché è impossibile non farlo). Undici movimenti. UNDICI. I Beatles facevano interi album in meno tempo. È un’opera in miniatura che attraversa folk acustico, hard rock, momenti quasi jazzistici, sezioni corali deliranti. È la prova che il prog poteva essere letteratura, cinema e terapia psichiatrica allo stesso tempo.
Ma chi vuole tutto questo quando può avere “I Know What I Like (In Your Wardrobe)”?
Il Verdetto dell’Irrelevanza Mainstream – Il problema fondamentale di Pawn Hearts è che richiede impegno. Non puoi ascoltarne “giusto qualche pezzo”. È un’esperienza totale che ti lascia emotivamente esausto, come leggere Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo o guardare un film di Lars von Trier.
I VDGG hanno fatto l’errore di essere troppo veri in un’epoca in cui il prog stava diventando spettacolo. Troppo emotivi quando serviva maestria tecnica. Troppo dark quando servivano colori psichedelici. Troppo europei (quella sensibilità quasi espressionista tedesca) quando il mercato voleva suoni anglo-americani.
3 – CONCLUSIONI DA FAN AMAREGGIATO
Pawn Hearts è un capolavoro. Punto. È uno dei cinque album prog più importanti mai registrati. Ma è anche la perfetta dimostrazione del perché l’arte più pura raramente diventa la più popolare.
I Van Der Graaf Generator non hanno mai accettato compromessi, non hanno mai cercato il singolo radiofonico o smussato gli spigoli. E per questo sono rimasti nell’ombra mentre band oggettivamente meno coraggiose eccole lì in cima alle preferenze degli appassionati.
Ma sapete cosa?
Tra cinquant’anni, quando qualche giovane musicista “scoprirà” Pawn Hearts per la prima volta, avrà la stessa esperienza che abbiamo avuto noi: la sensazione di aver trovato qualcosa di pericolosamente autentico in un mondo di repliche sicure.
E questo, alla fine, vale più di tutti i dischi di platino del mondo.
Voto finale: 10/10 (e che vi piaccia o no)

