Nella mitologia greca l’Acheronte è il fiume del dolore, un fiume che conduce agli inferi. La nostra musica è molto simile. La nostra musica porta l’ascoltatore in un viaggio nelle regioni più oscure della mente.” – Vincent Crowley
Come fece giustamente notare Stefano Marzorati al tempo dell’uscita del loro disco di debutto, “Rites Of Black Mass”, gli Acheron si distinguevano dalla mandria di band death metal perché non stavano cercando di pasticciando e atteggiandosi da satanisti per sconvolgere il pubblico impressionabile, ma affrontavano la materia in modo assai ponderato e competente. Stiamo parlando di un disco che, secondo le stesse parole del loro leader Vincent Crowley, non esprimeva il desiderata sanguinario di un nemico dell’umanità, ma metteva in scena, passo dopo passo, un’autentica messa nera della Chiesa di Satana.
Difficile oggi spiegare a chi non c’era quanto un lavoro così addentro alla liturgia nera e rivestito dell’armatura metallica più invisa e temuta dei primi anni 90, potesse inquietare o addirittura spaventare sul serio gli ascoltatori curiosi.
“Rites of the Black Mass” era un lavoro autentico, progettato in collaborazione con la Chiesa di Satana, di cui facevo parte. Dal punto di vista delle liriche, si trattava di testi presi pari pari dalla ‘Messe Noir’ e musicati. Le introduzioni di Gilmore servivano a evocare un’emozione o un’atmosfera prima dell’inizio della canzone vera e propria. Quando premevi play sul tuo lettore CD, stavi davvero ascoltando un rito empio. Mi fa ride quando su riviste e webzines, altre band vengono elogiate per essere veramente sataniche e noi non veniamo menzionati. Solo in anni recenti, prima che chiudesse, Terrorizer ci ha inserito nella sua classifica dei 75 migliori gruppi veramente diabolici e ha menzionato Rites of the Black Mass per questo.” – Vincent Crowley
Non era la prima volta che qualcuno portava la vera liturgia in un contesto musicale pop. Vi basti pensare al primo album dei Black Widow, che è un concept su un sacrificio umano. Poi c’è il lato di B dell’esordio dei Coven, occupato interamente dalla registrazione di un’autentica messa nera.
Eppure in quei casi, l’attitudine delle band occult rock non era così sfacciata e aggressiva. Il sound generale dei padri di questo genere, escludendo i Black Sabbath che sono ancora messi in cima alla catena evolutiva, ma solo per via di un madornale fraintendimento, è leggero, quasi dolciastro.
La potenza immonda, la violenza e la rabbia disumane del death metal aggiunsero quei nuovi ingredienti negli anni 90, seguendo l’esempio dei Venom. Deicide e Morbid Angel riuscirono subito a impressionare i media e i ragazzini si avventuravano sui loro dischi come fossero prove di coraggio. Cose come “Altar Of Madness” o “Deicide”, per gli adolescenti di allora, erano una via di mezzo tra il dormire in una casa infestata, la lettura di un libro di magia nera e la visione di una videocassetta porno.
Direte voi che il collegamento non vi è chiaro, ma ancora, è dura se non eravate lì. Per me avere in casa l’esordio dei Morbid Angel e farlo suonare in cameretta, era come se in un colpo solo producessi, nel cuore domestico e benigno della mia educazione, un varco per il male, da qualunque posto venisse.
Non avevo idea di quanto quelle band fossero serie e di sicuro non mi sentivo a mio agio nel sapere che non stavano soltanto suonando il metal più rumoroso, ma che invocavano e imploravano i demoni di farsi vivi e divorare il cuore del mondo.
Non avevo ancora l’età per sfogliare un autentico libro di Magia Nera, fatto di formule e descrizioni cerimoniali, ma sapevo che qualche tizio del mio paese l’aveva fatto ed era finito impiccato in un casolare diroccato in mezzo al bosco. Quello che mi sconvolgeva era che ci aveva vissuto per settimane in quel posto. Mi basta per credere che certe letture andavano evitate, almeno per il momento.
Ero nel mentre riuscito a procurarmi, rubandola a un amico più grande, una videocassetta porno. Ebbene, quando la guardavo di nascosto in casa, i rari momenti in cui non c’era nessuno a parte me, provavo un senso di vertigine, di ansia e di feroce eccitazione. Quell’oggetto però, che poi nascondevo nel fondo di una cesta di vestiti, sembrava esistere nel mio piccolo mondo e respirare e attendere che lo tirassi ancora fuori e gli offrissi un altro giro nel videoregistratore e di seguito un altro tributo spermatico al male, al peccato. Che ci crediate o no, questa è stata la mia prima adolescenza: death, pippe e sensi di colpa.
La cassetta di Altar Of Madness, confrontata alla VHS di Buco profondo, con Moana Pozzi e Peter North, era la stessa cosa. Stava lì, tra decine di altre cassette messe in fila sulla mensola, ma io la sentivo che aspettava paziente, come gli Antichi, il momento in cui l’avrei fatta tuonare a tutto volume nelle stanze e fuori in giardino. Magari stavolta non avrei fatto in tempo a toglierla prima che i demoni avessero trovato la via d’uscita.

Se avessi ascoltato gli Acheron e il loro Rites Of The Black Mass, probabilmente avrei potuto prendere più sul serio le parti strumentali incise da Peter H. Gilmore, allora membro di spicco ma non ancora amministratore della Chiesa di Satana. E di sicuro avrei attribuito alle tracce di puro death metal inventate da Vincent Crowley, un potere maggiore. Oggi mi sembrano solo un cumulo di riff tipici del genere, stantii, intercambiabili e che non mi lasciano nulla.
Ed è un peccato, perché da quello che ho capito, i dischi davvero occulti non vanno giudicati e tantomeno farlo come fossero dischi normali. Sarebbe come dare un voto a una messa cattolica come se si trattasse di una piece teatrale. Generalmente gli artisti praticanti con un piede nel mondo esoterico non prendono l’ascoltatore al collo con un gancio da classifica o un riff avvincente (escludendo i Morbid Angel).
La parte creativa è una vestale accessoria al vero atto di profanazione o di invocazione, realizzato a diversi livelli: usando le parole, esercitando dei riti preliminari intorno al luogo creativo e quello dove si registrano i pezzi. Tutto questo procedere su più strati è dominato da una matrice di pura volontà che dovrebbe fondere tutti questi ingredienti in un insieme inscindibile e diretto allo scopo di chi l’ha reso possibile.
Ovvio che io, andando oggi a fare il critico scoglionato, anche con un disco come questo, non potrò godermelo davvero fino in fondo. Mi annoierò e lo considererò trascurabile.
Sapere inoltre che un progetto così purista come Rites… fu vittima della furberia di un’etichetta, allenta ancora di più la mia voglia di lasciarmi suggestionare. Che cazzo, si fecero prendere in giro da qualche ladro di polli mentre chiamavano Satana in questo mondo?
Era la tedesca Turbo Music, che pubblicò tra gli altri, anche il primo album dei finnici Beherit. Erano dei ladri di polli, come ne è pieno il music business a ogni livello, per carità. Persino Charles Manson, con tutto il suo alone di terroristico avvento malvagio, lo prese in culo dall’ambiente discografico, no? Solo che il bisogno di vendicarsi gli ispirò l’Helter Skelter e tutti sappiamo come andò a finire; mentre nel caso di Crowley e i suoi Acheron, le cose andarono avanti di sòla in sola, di label infingarda in altra label più infingarda. In Nomine Satanas.
Del resto ho un mio percorso alle spalle e non sono più l’ex chierichetto timorato di dio che temeva anche solo nominare parole come “strega”, “diavolo” o “inferno”. Ho un trascorso da satanista e lo vivo con grande serenità. Conosco la Chiesa di Satana e non la considero minacciosa o pericolosa. Lo stesso Vincent Crowley da molto tempo se ne è andato da lì, come molti altri. Lui ha riconsegnato la sua tessera e oggi vive a modo suo un rapporto spirituale con il creato senza fossilizzarlo in etichette o socializzarlo in qualche organizzazione a numero chiuso.
Quindi pure lui, sarà orgoglioso di aver tentato, negli anni delle sparate altisonanti di Glen Benton o delle pose da cenobita isterico di Trey Azagtoth, di tentare una divulgazione senza filtri con una vera congrega satanica alle spalle, ma con molta probabilità, vivrà con una maggiore leggerezza tutto il trascorso. Oggi fa sorridere dirlo; è chiaro che la Chiesa di Satana sia divenuta nel tempo una specie di Partito dell’Asinello e che il dettato del suo fondatore Anton LaVey vada preso non come la visione di un profeta oscuro, ma l’inizio di un nuovo, ennesimo, sistema filosofico.

Nel disco degli Acheron, “Rites of the Black Mass”, c’è anche ospite Mike Browning dei Nocturnus, che nel 1992 avevano già fatto uscire il loro capolavoro “The Key” e che si apprestavano a bissare quasi lo stesso livello con “Thresholds”.
Il gruppo oggi è ricordato e riconosciuto come il primo nel death metal a usare decisamente le tastiere, e questo aspetto, non si sa bene come, sembra aver reso i Nocturnus meno sinistri di altri nomi storici del periodo.
Quasi tutti trascurano l’aspetto satanico in evidenza nei loro dischi. Lo stesso Vincent Crowley ci suonava negli anni 80. A un certo punto se ne andò per dare vita agli Acheron, ma lui assicura che molti dei riff presenti nei primi album degli Acheron, soprattutto il secondo, “Lex Taglionis”, partirono da idee lasciate nel cassetto dai tempi dei Nocturnus e che per questo, l’inserimento di Browning in formazione, divenuto fisso fino al 1994, fu del tutto naturale per entrambi, anche data la loro grande amicizia.
Tornando al Crowley e i suoi Acheron, si capisce ascoltandone lo stile tecnico e creativo, molto grezzo e minimale, come sarebbe stato avulso rispetto alle altezze strumentali raggiunte dai Nocturnus in The Key e che quindi fu meglio per tutti che andasse per una strada propria.
La cosa curiosa e poi vi lascio, è che Vincent non è pelato, come le foto possono farvi credere. Scelse di radersi a zero verso la fine degli anni 80 per distinguersi in una scena dominata da giovani capelloni e anche per omaggiare i grandi ispiratori del suo cammino: LaVey era pelato, così come Aleister Crowley (nessuna parentela). Persino Manson a un certo punto si fece la boccia. In effetti il legame tra persone calve e satanismo mi era sfuggito e forse lo approfondirò in futuro.

