Mortiis e Mayhem

Mortiis e Mayhem a Bari – I defunti non defungono più!

I Mayhem per me sono la rappresentazione della necrofilia nel metal. Una band nata morta, attaccata a una rendita cr(i)onica e revisionata dai figli bastardi che la matrice principale generò prima di mangiarsi viva, per un pubblico che non si accontenta del mito, vuole anche la salma o magari, come nel caso di Dio, l’ologramma. Perché diciamocelo: i Mayhem sono mitologia, un brandead che se i fondatori vedessero cosa è diventato si suiciderebbero (o si farebbero pugnalare) almeno altre tre volte.

Ora, questo tour dei Mayhem e Mortiis era in progetto… dal 2020, ma come sappiamo tutti… Covid eccetera…

Ma alla fine ce l’hanno fatta e le tre date in Italia sono state coperte.

La prima partendo dal tacco dello stivale, Bari al Demodè Club, locale che ormai credevo definitivamente dissociato dall’ambiente metal e invece non ancora.

Mentre viaggiamo verso Bari con ritardo, discuto con i miei compagni di viaggio di questa cosa dei Mayhem brandead di cui sopra. Io per consolidare la mia idea mi sono andato a recuperare, dopo anni, la discografia del “progetto”. Inutile dire che a metà Grand Declaration of War ho stoppato tutto e rimesso De Mysteriis Dom Sathanas a palla. Sarò un cagacazzi, ma era come ascoltare due gruppi totalmente differenti.

Parliamo però dell’evento che a Bari aveva in cartellone solo due performance: Mortiis e Mayhem, categorici anche nell’orario in scaletta, una novità nell’ambiente pugliese.

Arrivato sul posto, trovo parte del pubblico ancora fuori intento a bere birra ascoltando metal attraverso delle casse portatili. Non vorrei dire, ma il concerto è dentro, quindi cosa cazzo state a fare qui fuori?

Va beh, cazzo mene, cazzi loro.

Mostrato il biglietto digitale (con grandi difficoltà dello staff…) entro a concerto già iniziato.

Ammetto che mi aspettavo un Mortiis tipo periodo The Smell of Rain, quindi un industrial rock degno di una sala da ballo. A mia sorpresa invece abbiamo Mortiis a centro palco col sintetizzatore e alla sua sinistra (o mia destra che dir si voglia) un percussionista.

L’effetto dungeon synth live è spettacolare, c’è una grande immersione. Il pubblico non sa apprezzarlo ed esce fuori a fumare una sigaretta, anche chi aveva smesso di fumare ha colto l’occasione per riprendere. I rimasti sono pochissimi e per me e i miei amigos è facilissimo raggiungere il bordo palco per una visione ravvicinatissima.

Camminando tra le file trovo un mio vecchio amico a cui chiedo cosa ne pensa del nostro Mortiis. Lui mi risponde:

A me Mortiis piace a casa mia, ascoltato su cd, con un buon impianto stereo e fatto di acidi. Oggi però sto lavorando, quindi mi sono fermato alla terza birra.

Parole dure di un metallaro nero come un cuore nero.

Che poi sì, sono “deluso” in parte della scelta live, ma ehi Mortiis nasce dungeon synth e diciamocelo, escluso lui, quanti altri conoscete capaci di suonare un genere simile su un palco che non sia il garage noleggiato dal cucino di quinto grado?

Anzi, più di una persona mi ha detto che Mortiis live sarebbe stato tipo un karaoke, ma ben venga.

Una pecca davvero i suoni. La voce c’erano momenti in cui era totalmente inascoltabile, rendendo il tutto più una solfa involontariamente strumentale. Ma siamo abituati a queste cose qui al Demodè.

Breve pausa in cui scambio i soliti saluti e mi butto al lato sinistro del palco, vicino quasi alle transenne. Mi preparo per i Mayhem.

Inutile dire che il pubblico è triplicato in pochissimo, perché si sa, l’ambient non è roba per molti. Il live si suddividerà in tre tempi, distribuiti per circa 80 minuti.

La prima parte vede la band con un vestiario classico, casual. Luci blue, un po’ di fumo. Solo Attila indossa un abito più particolareggiato, mentre si lancia tra balletti ed effusioni amletiche col suo fidato teschio. Anche Teloch (se è lui… ora ho i miei dubbi) si presenta rasato col corpse paint.

Parliamo dei pezzi…

Noiosi. Non voglio dire che mi sono addormentato, ma mi sono quasi addormentato, Attila è un grande performer che gioca con le sue ossa intrattenendo il pubblico con uno stile che tutto tranne “un rituale black metal”, ma comunque NON sembrano pezzi scritti dai Mayhem.

A un certo punto vediamo Necrobutcher incazzarsi con il pubblico, inveire contro qualcuno, scendere sulle transenne e risalire felice come uno dopo l’happy ending al centro massaggi.

Nessuno capisce cosa sia successo e non conosco nessuno presente nell’ala destra. Qualcuno mi dirà gli hanno lanciato un mozzicone di sigaretta sul braccio.

Io so solo che è invecchiato malissimo. Me lo ricordavo più muscoloso.

I Mayhem spariscono dal palco, le luci si fanno scure. Vengono rivolti verso il pubblico dei manichini che ricordano i frati mummificati nelle chiese nostrane.

Io discuto col mio amico di come se non fanno Freezing Moon qui ci scappa la rissa. Tempo che finisco la frase ed è subito… Freezing Moon.

Divento un brodo di giuggiole, e quindi giuggiolo ascoltando i vecchi classici e intanto penso, stai godendo ma non puoi negare a te stesso che i Mayhem di oggi sono la fottuta cover band di se stessi. Sì perché almeno Attila quei pezzi li ha incisi. Attila quell’album l’ha vissuto ed è in piena forma e tutti quanti lo siamo con lui ma Attila oggi sembra intento a rappresentare una vecchia leggenda e non un passaggio fondamentale della sua carriera.

Noto formarsi un’area pogo, ma oggi il cavallo è in stalla. Io devo godermi sto cazzo di live. A Pagan Fear ero tipo in lacrime. Per me potevano chiuderla li.

E invece cazzo no.

Di nuovo spariscono e io ricordo una battuta che fece un comico stand up riguardo la differenza tra America e Europa. Che il bis, l’encore è una usanza tipica di noi europei. Che agli intrattenitori glipiace andare via, sapendo che poi il pubblico li richiamerà per una conclusione extra.

Ed ecco che le luci si fanno rosse e i nostri tornano vestiti con uno stile molto thrash metal.

Deathcrush. Ragazzi, ci fanno Deathcrush, Chainsaw Gutsfuck. Non pogo solo perché voglio segarmi sulla figura di Attila e lasciarla impressa nella mia retina mentre le mie gocce bianche stillano sul pavimento del locale e si uniscono al guado sudorifero della serata Napalm Death.

Unica nota dolente di tutto… i cazzo di suoni impastati.

Puoi anche essere il miglior fonico del mondo, ma quando metti due chitarre al Demodè, il suono non uscirà mai decente. Ma ehi, fa molto black metal. Difatti, ho apprezzato il grezzume sonoro di questo passaggio a ritroso della storia della band. Tipo Vedere Teloch che suona con un solo pick up mi ha molto emozionato.

Lo ammetto.

Giunti alla conclusione le solite perle ai porci. Plettri (a prenderne uno) la setlist (che Attila regala a un’altra persona, bastardo).

Nella saletta d’attesa perdiamo tempo parlando di Death In June, se qualcuno vuole venire con me a un live NSBM solo per urlare “fate i Nabat” e sopravvivere. Ma il tempo è poco, e non credo che la band uscirà presto in mezzo al pubblico. Sarà per la prossima volta. Ce ne saranno, di certo.

E poi io il giorno dopo devo andare davvero a vedere i Nabat, ma questa è un’altra storia.

Ps: ma perché in tutto ciò non ho mai citato Hellhammer? Perché l’abbiamo visto giusto il tempo di sedersi dietro la batteria, un kit composto da rullanti, piatti e croci rovesciate che rendevano impossibile scorgerlo durante l’esecuzione. Aggiungete il fumo e le luci posizionate proprio di fronte a lui. Potevano anche aver usato una drum machine , non se ne sarebbe accorto nessuno.